Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16871 del 07/07/2017

Cassazione civile, sez. I, 07/07/2017, (ud. 31/05/2017, dep.07/07/2017),  n. 16871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8855/2016 R.G. proposto da:

G.G., rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Camerino,

con domicilio eletto in Roma, via Silvio Pellico n. 2 presso lo

studio dell’avv. Francesca Crimi, giusta procura in calce al ricorso

– ricorrente –

contro

CASSA DI RISPARMIO DEL VENETO s.p.a., rappresentata e difesa dagli

avv.ti Ugo e Marco Ticozzi, con domicilio eletto presso il loro

studio in Roma, via del Tritone n. 102, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 277/2016

depositata il 15 febbraio 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 31 maggio 2017

dal Consigliere Dott. Paolo Fraulini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

Udito l’avv. Giuseppe Crimi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Padova ha respinto la domanda proposta da G.G. nei confronti della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, poi divenuta Cassa di Risparmio del Veneto, per la dichiarazione di nullità di tre operazioni di acquisto di bond argentini con l’intermediazione della convenuta ovvero di risarcimento del danno subito dall’attore. La Corte di appello di Venezia, confermando la decisione di primo grado, ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva del G. a far valere i diritti azionati in giudizio. Quanto ai primi due ordini di acquisto la Corte distrettuale ha rilevato che risultavano firmati direttamente dalla sua mandataria senza rappresentanza F.M. e che l’azione di nullità non spettava al mandante. Quanto al terzo ordine ha rilevato che la nullità per difetto di forma scritta è deducibile solo dal cliente (nella specie la F.) e non anche dal rappresentato e che in ogni caso che l’eccepita nullità doveva ritenersi insussistente nella fattispecie, prevedendo il contratto-quadro la libertà di forma degli ordini, con il solo onere dell’intermediario di provare le relative annotazioni, nella specie da ritenersi osservato. Avverso tale decisione il G. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. La banca resiste con controricorso. Con ordinanza interlocutoria numero 10300/17 la Sesta Sezione civile – Prima sotto sezione – di questa Corte ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:

1.1. Primo motivo: “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 58 al 1998, art. 21, lett. c) e d) e dell’art. 28, comma 2 e art. 29 della Delib. Consob 1 luglio 1998, n. 11222, nonchè in relazione all’art. 1705 c.c., comma 2, lamentando la nullità della sentenza laddove avrebbe escluso la legittimazione attiva del ricorrente nonostante il suo credito si fondasse anche sulla responsabilità precontrattuale del terzo contraente nella fase antecedente la stipulazione del contratto-quadro di prestazione di servizi finanziari.”.

1.2. Secondo motivo: “nullità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 112 e 81 c.p.c., per non avere la Corte pronunciato su tutta l’estensione della domanda, in particolare sulla responsabilità precontrattuale della banca e per avere escluso la legittimazione del mandante in caso di mandato senza rappresentanza a chiedere il risarcimento del danno come conseguenza dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto in via autonoma.”.

1.3. Terzo motivo: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 commi 1, 2 e 3” lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la domanda di nullità degli ordini d’investimento potrebbe essere proposta solo dal cliente.

1.4. Quarto motivo: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., violazione dei principi sull’onere della prova” deducendo l’erronea applicazione dei principi in tema di assolvimento dell’onere della prova del conferimento del terzo ordine di investimento, poichè nell’atto di citazione in primo grado era stata affermata l’inesistenza dell’ordine di acquisto e non la nullità per difetto di forma scritta e che la banca, a fronte di tale eccezione, non aveva provato il contrario.

2. Il ricorso va respinto.

2.1 Quanto ai primi due motivi va infatti data continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte n. 24772/2008 secondo cui, in tema di azioni esercitabili dal mandante nell’ipotesi di mandato senza rappresentanza, il sistema normativo è imperniato sul rapporto regola-eccezione, nel senso che, secondo la regola generale (art. 1705 c.c., comma 1), il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il mandante, mentre costituiscono eccezioni le disposizioni, tanto sostanziali quanto processuali, che prevedono l’immediata reclamabilità del diritto (di credito o reale) da parte del mandante, con conseguente necessità di stretta interpretazione di queste ultime e dell’esclusione di qualunque integrazione di tipo analogico o estensivo, nell’ottica della tutela della posizione del terzo contraente. Ne deriva che l’espressione “diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato” (art. 1705 c.c., comma 2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta all’esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela (nullità, annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno). Tale conclusione, che il Collegio condivide e fa propria, non è inficiata da quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19785 del 2015, come invece opina il ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., datata 13 ottobre 2016. Ed invero il passo della decisione riportato dal ricorrente nel virgolettato della citata memoria è tratto dalla pag. 10 della citata sentenza, nella quale le Sezioni Unite esaminano l’evoluzione giurisprudenziale nella materia. Dunque le posizioni ivi rappresentate non fanno parte del decisum della sentenza, ma costituiscono la premessa necessaria a scrutinare tutti gli orientamenti espressi sulla questione discussa. Allorchè infatti la sentenza passa ad esprimere la propria posizione (vedi paragrafo 7) si legge che il riferimento all’art. 1705 c.c., comma 2, viene ritenuto estraneo alla fattispecie del leasing – che costituisce oggetto della decisione, come fatto palese dalla lettura di pag. 15 della sentenza laddove è scritto: “E’ proprio la presenza di siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all’utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c., comma 2)”. In nessun’altra parte della sentenza in esame le Sezioni Unite tornano sulla questione del mandato senza rappresentanza, sicchè può concludersi che tra le due sentenze delle Sezioni Unite non vi sia alcuna sovrapposizione nè tampoco revirement o contrasto, atteso che il principio di diritto affermato dalla sentenza del 2008 non risulta affrontato nella sentenza n. 19785 del 2015. Ne consegue l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso. Si aggiunga che il secondo motivo di ricorso è anche inammissibile, posto che la Corte distrettuale non ha affatto omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, avendo anzi espressamente affermato (pag. 9 sent.) che il difetto di legittimazione del mandante doveva ritenersi esteso a tutto il novero di azioni risarcitorie, ivi compresa dunque anche la responsabilità precontrattuale.

2.3. Il terzo e il quarto motivo riguardano entrambi il terzo ordine di acquisto dei titoli e vanno pertanto esaminati congiuntamente. Entrambe le censure sono formulate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e deducono che la violazione di legge sarebbe conseguente alla mancata considerazione da parte della Corte distrettuale che l’azione di nullità era stata formulata dal G. non già in forza del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, bensì in forza dell’art. 1421 c.c., posto che il terzo ordine era stato prospettato come privo di alcuna sottoscrizione e non già come non firmato dal cliente (la mandataria F.) e che alcuna prova la banca aveva fornito dell’effettiva sottoscrizione dell’ordine.

Entrambe le argomentazioni sono infondate e vanno respinte. La Corte di appello ha affermato (pag. 10 sentenza) che il contratto quadro sottoscritto dalla F. prevedeva la possibilità di ordini impartiti con modalità diverse dallo scritto e che era agli atti la prova dell’annotazione dell’ordine di acquisto in questione, fornita dalla banca con l’estratto conto del deposito amministrato, come espressamente previsto per tale ipotesi dal contratto quadro. Tale motivazione, che all’evidenza contraddice la tesi del ricorrente circa l’inesistenza di alcun ordine, non risulta censurata nei motivi in esame, posto che – ove anche si volesse considerare la precisazione della domanda contenuta nella memoria di replica del ricorrente ex D.Lgs. n. 5 del 2003, l’allegazione difensiva è sempre stata quella della mancata prova dell’ordine; mentre, come si ripete, la sentenza impugnata afferma espressamente che la banca ha assolto tale onere probatorio, con affermazione non attinta da alcuna specifica censura in questa sede.

3. La soccombenza regola le spese.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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