Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16869 del 07/07/2017

Cassazione civile, sez. I, 07/07/2017, (ud. 28/04/2017, dep.07/07/2017),  n. 16869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in Roma, al viale G. Marconi

n. 57, presso lo studio dell’Avv. Giulio Cimaglia, che lo

rappresenta e lo difende insieme agli Avv.ti Stefania Di Biagio e

Claudia Depalma del Foro di Latina, come da mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Paola M.

Iannicola, e con essa elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Anna Maria Luciani Asta, al viale Glorioso n. 16, in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3506/2013 della Corte d’appello di Roma del

5.12.2012, depositata il 17 gennaio 2013;

sentita la relazione svolta dal relatore dott. Paolo Di Marzio;

udito l’Avv.to Giulio Cimaglia per il ricorrente;

udite le conclusioni del P.M., dr. Ceroni Francesca, che ha chiesto

dichiararsi l’inammissibilità e comunque respingersi il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza impugnata, n. 3506 del 5 dicembre 2012 (dep. 17.1.2013), la Corte d’Appello di Roma ha pronunciato la separazione giudiziale dei coniugi, riformando parzialmente la decisione di prime cure.

Il Tribunale di Latina, adito dalla D.G. con ricorso depositato il 19.8.2003, con decisione del 28-9/19-10-2009 aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi, accogliendo le reciproche domande di addebito proposte dalle parti. La figlia minore A., nata il (OMISSIS), era stata affidata alla madre, ed il Tribunale aveva provveduto a disciplinare il diritto di visita del padre, che era stato pure gravato dell’assegno mensile di Euro 400,00 quale contributo per il mantenimento della minore, all’epoca tredicenne. Il Tribunale aveva infine dichiarato compensate tra le parti le spese di lite.

Era stata proposta impugnazione dalla D.G., che aveva contestato l’addebito della separazione (anche) a lei, ed aveva domandato il riconoscimento di un assegno di mantenimento in suo favore, includente anche quota parte del costo di locazione dell’immobile in cui viveva con la figlia, oltre alla vittoria delle spese di lite.

Aveva resistito il R., proponendo inoltre appello incidentale per contestare l’addebito della separazione (anche) a lui, domandando l’affidamento a sè della figlia, o almeno l’affidamento condiviso della minore, riducendosi l’onere di mantenimento previsto in suo favore. Domandava, inoltre, condannarsi la ricorrente alla restituzione delle somme percepite per il proprio mantenimento nel corso del giudizio, a far data dal provvedimento presidenziale che le aveva riconosciute. Chiedeva, infine, il favore delle spese di lite in relazione ad entrambi i gradi del giudizio.

La Corte di merito confermava la pronuncia di separazione dei coniugi, ma poneva l’addebito della stessa a carico del solo marito. Confermava anche l’affidamento della figlia di età minore alla madre, e l’ammontare dell’assegno mensile posto a carico del padre per il suo mantenimento. Gravava, inoltre, l’odierno ricorrente anche di un assegno da valere quale contributo per il mantenimento della moglie nella misura di Euro 200,00 mensili rivalutabili. Condannava, infine, il R. al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque articolati motivi, R.C.. Resiste con controricorso D.G.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 143 cod. civ., art. 151 c.c., comma 2, art. 2697 c.c., comma 1, nonchè degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ., per la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittora motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito pronunciato la separazione dei coniugi con addebito esclusivo al marito. Contesta il ricorrente che il Tribunale aveva addebitato ad entrambi la separazione, per le condotte aggressive del R. e l’infedeltà coniugale della D.G., mentre la Corte territoriale aveva confermato l’addebito al (solo) R., ma sulla base di testimonianze da considerare inattendibili. Non solo, l’infedeltà della D.G. emergeva indubitabile dall’istruttoria dibattimentale, ma la Corte d’Appello aveva trascurato questi elementi nel negare la pronuncia di addebito nei confronti della moglie. Del resto prova certa della relazione adulterina derivava dalla circostanza incontestata che la D.G. aveva avuto una figlia con il nuovo compagno, che la donna ammetteva contribuisse anche al mantenimento suo e della bambina.

1.2 – Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ. e artt. 2 e 3 Cost., nonchè la insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5, in materia di presupposti per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie. Il ricorrente critica, in proposito, l’omessa valutazione comparativa dei redditi delle parti, nonchè del “tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio con quello consentito dalle condizioni attuali”. Inoltre, la Corte d’Appello ha trascurato di valorizzare la perdita del lavoro da parte del ricorrente, che è stato licenziato dall’impresa presso cui lavorava quale camionista. Neppure la “convivenza stabile e continuativa” della D.G. con altro uomo è stata valutata dalla Corte territoriale al fine della stima della sussistenza di un obbligo di mantenimento a carico del R..

1.3 – Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente ha ulteriormente contestato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 cod. civ., e degli artt. 2 e 3 Cost., in conseguenza della contraddittoria motivazione su un punto decisivo della sentenza, per domandare la riduzione dell’importo dell’assegno di mantenimento per la figlia.

L’impugnante osserva, in proposito, che l’assegno è stato impropriamente confermato nel suo ammontare dalla Corte d’Appello, nella misura originariamente fissata in primo grado nell’anno 2009, trascurando di considerare che nell’anno 2011 il ricorrente ha perso il lavoro, che la sua condizione reddituale è peggiorata e non può più essere gravato dei medesimi oneri che gli erano stati imposti quando la situazione era diversa.

1.4 – Con il quarto motivo di impugnazione, il ricorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed anche ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, per insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, la decisione della Corte capitolina in materia di decorrenza dell’assegno di mantenimento per moglie e figlia, fissata alla data di deposito della sentenza di primo grado. Afferma il ricorrente che – pur in considerazione dell’esistenza di una giurisprudenza di legittimità che ritiene discrezionale la pronuncia in materia di decorrenza dell’assegno di mantenimento – la decisione in merito della Corte territoriale non risulta legittima, perchè emessa “in totale spregio del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.)”, essendosi la Corte di merito pronunciata “in assenza di un’esplicita domanda… e senza fornire alcuna motivazione”.

1.5 – Con il quinto motivo, il ricorrente ha infine criticato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 Cost., in relazione all’art. 91 cod. proc. civ., per la ritenuta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’Appello condannato al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio il ricorrente, “pur dando atto della diminuzione del reddito annuale… e di un peggioramento delle sue condizioni economiche e reddituali”, derivandone “l’irragionevolezza (soprattutto nel quantum dovuto) della condanna”.

Occorre innanzitutto osservare che la controricorrente ha domandato dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per cassazione, perchè introdotto tardivamente dal ricorrente. La contro ricorrente ritiene infatti applicabile quale termine di presentazione del ricorso, in assenza della notificazione della sentenza, il termine semestrale di impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ., il quale troverebbe applicazione con decorrenza dal 4.7.2009. Diversamente, deve osservarsi che il ricordato termine semestrale ha sostituito il termine annuale precedentemente previsto, effettivamente con decorrenza dal 4.7.2009, ma soltanto in relazione ai giudizi istaurati dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1). Tenuto conto che il presente giudizio è stato istaurato nell’anno 2003, appare evidente che il termine di impugnazione applicabile fosse quello annuale, a cui deve peraltro aggiungersi il prolungamento del termine dipendente dal c.d. periodo feriale, con la conseguenza che la contestazione proposta dalla controricorrente è infondata ed il ricorso è stato tempestivamente proposto.

Tanto premesso i motivi di ricorso proposti appaiono in parte inammissibili e, per la parte restante, infondati.

2.1 – Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in sostanza, che la separazione personale dei coniugi è stata addebitata (solo) a lui. Il ricorrente propone innanzitutto una propria lettura alternativa delle risultanze delle deposizioni testimoniali raccolte nei suoi confronti, ritenendole inattendibili. Non è tuttavia il giudizio di cassazione il contesto in cui è possibile proporre una simile lagnanza. La Corte di merito ha valutato le prove raccolte, non solo le testimonianze, con apprezzamento di fatto coerente e non specificamente censurato, che a questa Corte non è consentito sovvertire. Il ricorrente, del resto, omette invero di criticare in ogni sua affermazione la pronuncia della Corte d’Appello sul punto. La Corte capitolina evidenzia le affermazioni della D.G. in materia di lesioni subite a causa della condotta del marito, ed il ricorrente si limita ad affermare che si tratta di meri indizi, senza neppure prospettare di non essere stato lui a provocare le lesioni refertate. Ancora, il ricorrente afferma che i procedimenti penali, iscritti in conseguenza delle lesioni che la moglie sostiene esserle state causate dal R., sarebbero stati archiviati per rimessione di querela – fermo restando che l’eventuale estinzione dei reati per rimessione di querela non esclude il possibile verificarsi dei fatti oggetto della querela stessa – ma neppure ha cura di indicare da quali documenti acquisiti al fascicolo processuale sia possibile evincere questi elementi.

Nello stesso motivo di impugnazione il ricorrente critica pure l’omesso addebito della separazione (quantomeno: anche) alla moglie. Pure in questo caso l’impugnante domanda un riesame delle risultanze testimoniali, di cui propone una valutazione alternativa rispetto alla Corte di merito, che non è però consentito domandare in sede di giudizio di legittimità. Tanto premesso, il ricorrente non centra la propria critica, mancando nuovamente di contestare specificamente gli argomenti posti dalla Corte d’Appello a fondamento della decisione assunta. La Corte di merito non ha messo in dubbio che la D.G. abbia intrapreso una relazione extraconiugale, da cui è pure nata una figlia nel (OMISSIS), ma questo evento si è verificato anni dopo la proposizione del ricorso per la separazione personale dei coniugi, che è stato depositato il 19.8.2003. Il giudice di seconde cure, in definitiva, ha ritenuto indimostrato che la relazione affettiva intrapresa dalla moglie abbia avuto inizio prima che la definitiva cessazione dell’affectio coniugalis tra le parti si fosse già verificata, e questa ratio decidendi non trova alcuna critica specifica nell’argomentare del ricorrente.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.2 – Con il secondo motivo il ricorrente contesta, sempre mescolando ragioni di violazione di legge con la critica di vizi di motivazione, il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore della moglie. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe omesso di comparare i redditi delle parti e di stimare quale fosse il tenore di vita sostenuto durante la convivenza matrimoniale. Inoltre, la Corte di merito non avrebbe adeguatamente valorizzato la circostanza che la controricorrente convive ora stabilmente con altro uomo, il quale contribuisce alle esigenze della famiglia che hanno formato.

Occorre invero rilevare che la decisione della Corte d’Appello non merita gli appunti che le sono stati rivolti. La Corte territoriale non ha trascurato che la D.G., pur non avendo avuto occupazione stabile, ha sempre cercato di svolgere attività lavorativa ed ha evidenziato che ella non è proprietaria di beni immobili, a differenza del R.. Non solo, ha anche dato atto che il nuovo compagno della donna assicura un contributo economico. La Corte territoriale ha tenuto con ogni evidenza conto anche del non elevato tenore di vita della famiglia durante la convivenza coniugale, nonchè della modestia dei redditi dell’obbligato, se ha posto a carico di quest’ultimo il pagamento di un assegno mensile, da valere quale contributo per il mantenimento della moglie, di importo invero modesto (200,00 Euro mensili). Tutti questi argomenti non sono stati fatti oggetto di specifica critica da parte del ricorrente. Quest’ultimo, peraltro, nello stesso motivo di ricorso, invocando precedenti nella giurisprudenza di legittimità, prospetta che l’assegno di mantenimento dovrebbe essere negato avendo la D.G. formato una famiglia di fatto con altro uomo, da cui ha avuto una figlia, essendo tutti i componenti della nuova famiglia conviventi. Anche questa contestazione risulta inammissibile, perchè il ricorrente omette di criticare specificamente la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui essa afferma che, accertata la relazione, successiva alla separazione dei coniugi, tra la D.G. ed un altro uomo, da cui ha avuto una bambina, non risulta invece accertata la convivenza tra i due, come emerge anche dalla relazione dei Servizi sociali del 9.3.2012. Il ricorrente opera peraltro generico riferimento a certificazioni dello stato di famiglia della controricorrente ma, anche a prescindere da ogni valutazione circa la loro eventuale idoneità a provare lo stato di convivenza delle persone iscritte nelle certificazioni, neppure ha cura di indicare dettagliatamente dove tali certificati si troverebbero, nell’ambito dell’incartamento processuale.

2.3 – Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente contesta il vizio di motivazione per non avere la Corte d’Appello ridotto l’assegno mensile di cui è stato gravato e da valere quale contributo per il mantenimento della figlia. Il ricorrente critica che la Corte di merito non ha tenuto conto del peggioramento delle condizioni patrimoniali dell’onerato, che è stato anche licenziato. Invero la Corte di merito ha esaminato specificamente la richiesta proposta sul punto dall’odierno ricorrente, ed ha ritenuto, con motivazione esauriente, che la stessa non possa in nessun caso essere accolta, poichè il modesto assegno di cui è stato gravato il ricorrente corrisponde al minimo contributo necessario.

Il motivo di ricorso deve essere quindi respinto.

2.4 – Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente contesta che la decorrenza dell’assegno di mantenimento per la moglie sia stata fissata dalla Corte territoriale a far data dal deposito della sentenza di primo grado. Non risulta invero completamente comprensibile la critica proposta dal ricorrente, che oltre a lamentare l’assenza di una domanda di controparte di fissare la decorrenza dell’assegno di mantenimento a far data dalla sentenza di primo grado, opera generiche considerazioni sull’esigenza che la pronuncia sia motivata. Invero il principio generale è che la decorrenza dell’assegno deve essere fatta risalire al momento della domanda, perchè la lunghezza del processo non deve risolversi in un danno per la parte che ha ragione (cfr. Cass. sez. 1, sent. 11.7.2013, n. 17199). Nel caso di specie, poi, la decorrenza è stata indicata dalla Corte di merito in un momento evidentemente successivo, ed il ricorrente non ha dimostrato il proprio interesse a contestare una simile pronuncia.

Il motivo di ricorso deve essere perciò respinto.

2.5 – Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente contesta, per vizio di motivazione, la decisione della Corte di merito di condannarlo al pagamento delle spese del primo e secondo grado del giudizio, senza tener conto “della diminuzione del reddito annuale… e di un peggioramento delle sue condizioni economiche e reddituali”, con la conseguenza che risulterebbe violato, dall'”irragionevolezza (soprattutto nel quantum dovuto) della condanna… il principio di proporzione, che è alla base della razionalità e del principio di eguaglianza”, costituzionalmente garantiti. Sembra in proposito sufficiente osservare che la disciplina delle spese di lite, quale principio generale, comporta la condanna al pagamento nei confronti della parte soccombente, e questo criterio ha correttamente applicato la Corte d’Appello nel caso di specie. A quanto sembra il ricorrente intende però contestare anche l’ammontare delle spese che gli sono state addebitate, che stima eccessivo. Merita allora di essere ricordato che il calcolo dell’ammontare delle spese di lite riconosce al giudice una discrezionalità limitata, essendo egli tenuto al rispetto dei parametri indicati dalla legge. La parte che intenda contestare la valutazione operata, pertanto, ha l’onere di criticare specificamente quali voci ritiene che siano state erroneamente calcolate dal giudicante (cfr. Cass. n. 19419 del 2009, conf. Cass. n. 7654 del 2013) ma l’odierno ricorrente non vi ha provveduto. Rimane poi estranea, alla valutazione del giudice che deve pronunciare in materia di spese di lite, la condizione patrimoniale del condannato, che può invece incidere, anche in considerazione dei parametri costituzionali invocati dal ricorrente, su diversi profili, come il diritto all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Anche questo motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

La spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

Riscontrato che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso;

condanna R.C. al pagamento delle spese di lite in favore della costituita resistente e le liquida in complessivi Euro 3.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. 30 2003, n. 196, art. 52, comma 5, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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