Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16868 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/08/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 11/08/2020), n.16868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16478-2015 proposto da:

F.F., T.G.S.M., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANZI, che le rappresenta e difende unitamente

agli avvocati GABRIELLA DE STROBEL, LORENZO PICOTTI;

– ricorrenti principali –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SALERNO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR n. 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

F.F., T.G.S.M.;

– ricorrenti principali – controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 658/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 17/06/2014 R.G.N. 1980/2010.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Salerno, riformando parzialmente la pronuncia del Tribunale della stessa città, ha accolto le domande proposte da F.F. e T.G.S.M., già lettrici di lingua straniera e poi unilateralmente inquadrate come Collaboratori Esperti Linguistici (CEL), con riferimento al diritto delle medesime di percepire, ai sensi del D.L. n. 2 del 2004, art. 1 (convertito con mod. in L. n. 63 del 2004), il trattamento previsto per i ricercatori confermati a tempo definito, per gli anni 1995/1996 e 1996/1997;

la Corte territoriale, pur prendendo atto che le ricorrenti avevano ottenuto sentenza passata in giudicato che aveva riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lettorato a tempo indeterminato, con retribuzione da corrispondere in misura pari a quella del professore associato a tempo definito, riteneva che gli effetti di tale pronuncia non potessero estendersi ai successivi anni oggetto di causa, in quanto dall’istruttoria era emerso che nei corrispondenti periodi esse non avevano svolto le attività contemplate nella predetta sentenza, ma prestazioni di caratura diversa e minore, che le legittimavano soltanto alla percezione del trattamento previsto dal D.L. n. 2 del 2004 cit. per i ricercatori confermati a tempo definito, da intendersi stabilito non solo rispetto agli atenei espressamente contemplati dalla norma, ma anche alle altre Università, come quella di Salerno, ivi non menzionate e presso le quali tuttavia operavano collaboratori linguistici ex lettori di madre lingua straniera;

la F. e la T.G. hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui l’Università ha resistito con controricorso contenente anche un motivo di ricorso incidentale, cui è seguito apposito controricorso delle lavoratrici, che hanno infine altresì depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

l’unico motivo del ricorso principale è rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e destinato alla censura dell’omesso esame di un fatto decisivo, relativo alla continuità sostanziale delle mansioni svolte dalle ricorrenti nel periodo oggetto del presente giudizio, rispetto a quelle svolte nel periodo precedente, già coperto dal giudicato intervenuto inter partes;

tale omesso esame, palesemente non sussiste, perchè la Corte espressamente motiva sul fatto che l’istruttoria avrebbe attestato – lo si cita testualmente – “in maniera inequivoca” che le ricorrenti, negli anni di interesse, “non hanno espletato le attività contemplate nella precedente sentenza”;

lo stesso ricorso fa poi riferimento ad una motivazione che non avrebbe “correttamente” esaminato un fatto decisivo a riprova che l’omessa disamina non sussisteva e semmai si censuravano gli esiti di essa;

anche l’assunto secondo cui l’affermazione dello svolgimento di una diversa attività sarebbe stata “apodittica”, ove se ne volesse predicare una riqualificazione in termini di motivazione apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, è da considerare non vero, perchè la Corte territoriale, richiamando le deposizioni testimoniali, precisa che se ne ricavava il mancato svolgimento di “attività didattica o di programmazione di corsi e lezioni o, ancora, di scelta di libri di testo”, il che tangibilmente esprime il convincimento maturato;

analogamente, il richiamo, nell’ambito del motivo, a mezzi istruttori testimoniali e documentali che avrebbero dimostrato la continuità delle medesime prestazioni è del tutto eccentrico rispetto ad una censura ai sensi della attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qui applicabile ratione temporis;

l’errore valutativo delle prove, al di là di eventuali profili di rilievo revocatorio, non può che transitare attraverso censure per violazione di legge, qui non formulate, mentre la riproposizione, nell’ambito di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, degli elementi istruttori a sè favorevoli si connota come un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione;

il ricorso principale va quindi rigettato;

il motivo di ricorso incidentale afferma la violazione e falsa applicazione della L. n. 63 del 2004, art. 1, della L. n. 236 del 1995, art. 4 nonchè degli artt. 3,33,36,39 Cost., D.P.R. n. 382 del 1980, art. 32 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4);

la denunciata violazione di legge non sussiste, avendo questa Corte univocamente e da tempo ritenuto che “in riferimento alla condizione dei lettori di lingua straniera presso le Università, le disposizioni del D.L. n. 2 del 2004, conv. con modificazioni nella L. n. 63 del 2004, di adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia, n. 212/99 del 26 giugno 2001, devono riferirsi a tutti gli appartenenti alla categoria dei “collaboratori linguistici ex lettori di madre lingua straniera” anche se dipendenti da Università degli Studi diverse da quelle contemplate nell’art. 1 Legge citata” (Cass. 18 novembre 2004, n. 21856 e poi, tra le molte, Cass. 20 febbraio 2007, n. 4147; Cass., S.U., 23 ottobre 2017 n. 24963 e, da ultimo, Cass. 11 luglio 2019, n. 18711) e ciò in quanto la norma espressamente si è posta quale mezzo di attuazione della pronuncia di Corte di Giustizia 26 giugno 2001 nella causa C-212/99, accertativa dell’inadempimento della Repubblica Italiana e destinata a dispiegare comunque effetti nell’ordinamento interno, sicchè non può avallarsi un’interpretazione che ne delimiti l’efficacia alle sole Università in essa menzionate;

la consequenziale eccezione di legittimità costituzionale è poi formulata in termini in gran parte generici e poco meno che accennati;

potendosi solo dire, rispetto ad alcuni profili più specificamente trattati nel ricorso incidentale, che la necessità di adeguare l’ordinamento interno alla citata pronuncia di condanna della Corte di Giustizia al fine di assicurare agli ex lettori, senza dubbio in bonam partem, il mantenimento di un certo trattamento retributivo e dei diritti quesiti esclude che si possa dare rilievo ad ipotetiche compromissioni di prerogative sindacali, mentre poi, come chiarito anche in sede di interpretazione autentica dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, l’intervento normativo si è delineato come di portata sostanzialmente temporanea, nella parte relativa al mantenimento ad personam dei trattamenti eccedenti, essendosi previsto il riassorbimento e quindi la piena confluenza del regime dei CEL nell’ambito della dinamica retributiva quale conseguente alla contrattazione collettiva;

tutto ciò esclude la possibilità di dubitare della compatibilità della disciplina con gli artt. 36 e 39 Cost.;

il motivo è poi da disattendere anche nella sua seconda parte;

in essa si denuncia l’asserita contraddittorietà insita nel fatto che, dapprima, la Corte territoriale avrebbe affermato che alle ricorrenti non si applicherebbe il D.L. n. 120 del 1995, art. 4 istitutivo della figura dei CEL, perchè inidoneo a regolare rapporti di lavoro costituiti, come nella specie, prima della sua entrata in vigore, salvo poi applicare in loro favore il D.L. n. 2 del 2004, art. 2, che viceversa presuppone proprio quello status di CEL;

da ciò deriverebbe secondo l’Università la nullità della sentenza, evidentemente per mera apparenza, sub specie di irriducibilità ad una logica non contraddittoria, della pronuncia;

tale irriducibile contraddittorietà non ricorre, ben potendosi le diverse affermazioni della Corte territoriale essere ricondotte (al di là della fondatezza giuridica dell’assunto, che non rileva ai fini del motivo in esame), da un lato, al disconoscimento di effetti della nuova legge rispetto a quanto statuito dalla sentenza in giudicato (che aveva riconosciuto, per il passato, un certo trattamento) e, dall’altro, alla necessità di dare attuazione alle regole di salvaguardia di cui all’art. 2 D.L. 2 cit., come poi interpretato dall’art. 26, comma 3, cit. (per gli anni oggetto di causa), sul presupposto di un adeguamento delle mansioni a quelle del CEL;

la reiezione dei contrapposti motivi giustifica la compensazione delle spese del grado.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, con compensazione tra le parti delle spese del grado.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascuno dei rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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