Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16867 del 10/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/08/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 10/08/2020), n.16867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13327-2016 proposto da:

A.A.A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DINI MODIGLIANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO BERTOLUZZA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/03/2016 R.G.N. 381/2015.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 45 del 2016, ha rigettato l’appello proposto da A.A.A.R. (cittadino straniero non titolare di carta di soggiorno, ora permesso CE – UE, per soggiornanti di lungo periodo), nei confronti dell’Inps, avverso la sentenza del Tribunale di rigetto della sua domanda tesa ad ottenere l’assegno sociale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6; la Corte territoriale, dato atto che il primo giudice aveva rigettato la domanda per mancanza di prova dell’effettiva residenza in Italia in via continuativa da almeno dieci anni, a cui il D.L. n. 112 del 2008, art. 20 conv. in L. n. 133 del 2008 subordina il beneficio, ha ritenuto, richiamando precedenti di questa Corte di cassazione, che la domanda fosse infondata per difetto della titolarità del permesso di soggiorno, non essendo irragionevole la previsione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 80 comma 19, che richiede il requisito della titolarità del permesso di soggiorno per esigenze diverse da quelle tendenti a soddisfare bisogni primari inerenti alla sfera essenziale di tutela della persona che avevano formato oggetto delle sentenze della Corte costituzionale indicate dall’appellante a sostegno della propria tesi; avverso tale sentenza ricorre per cassazione A.A.A.R. sulla base di un unico articolato motivo;

resiste l’Inps con controricorso;

la causa, originariamente chiamata alla pubblica udienza del 7 marzo 2019, è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19;

parte ricorrente ha depositato memorie in vista sia dell’udienza del 7 marzo 2019 che dell’adunanza camerale del 19 febbraio 2020.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 335, art. 3, comma 6, L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41 in ragione della violazione del principio interpretativo della conformità a Costituzione in relazione all’art. 2 Cost., art. 3 Cost., comma 1, art. 38 Cost., art. 117 Cost., comma 1, ed all’art. 14, art. 8 ed art. 1, prot. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con L. n. 848 del 1955 ed alle Convenzioni nn. 97/1949 e 143/1975, approvate in seno all’O.I.L e rese esecutive con le L. n. 1305 del 1952 e L. n. 158 del 1981, per omessa proposizione di questione di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19;

in sostanza, il ricorrente, preso atto della giurisprudenza di questa Corte di cassazione espressa dalla sentenza n. 22261 del 23 giugno 2015, a sè sfavorevole e che ha ispirato la sentenza impugnata, sollecita una lettura diversa della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, ispirata ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che mette in evidenza la natura di prestazione assistenziale necessaria ai fini del soddisfacimento di condizioni minime di esistenza dell’assegno sociale, in considerazione della quale deve ritenersi discriminatoria ed irragionevole la disposizione contenuta nell’art. 80, comma 19, cit.;

con la memoria da ultimo depositata, il ricorrente evidenzia il profilo di incompatibilità della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, con la direttiva 2011/98/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che, ad avviso del medesimo ricorrente, comporterebbe la necessità di disapplicare la detta disposizione in applicazione del principio di parità di trattamento imposto dalla direttiva;

il ricorso è infondato;

è opportuno ricordare che la disciplina applicabile alla fattispecie va ricondotta: a) alla L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, che testualmente dispone “ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 41 (…), l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno (…)” la carta di soggiorno è stata sostituita dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ossia, soggiornanti da almeno cinque anni), di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 come sostituito dal D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, art. 1 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) ed ha, quindi, assunto la denominazione di “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”, a seguito della modifica in tal senso apportata alla rubrica del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 dalla disposizione finale di cui al D.Lgs. 13 febbraio 2014, n. 12, art. 3 di attuazione della direttiva 2011/51/UE, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale); b) il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 10, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133, ha poi stabilito che “a decorrere dal 1 gennaio 2009, l’assegno sociale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 6, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale”;

la sentenza impugnata, dopo aver ricordato che nel corso del giudizio di primo grado, tralasciata la questione della legittimità costituzionale del requisito del possesso della carta di soggiorno, il giudice non aveva ritenuto provato il requisito del soggiorno ininterrotto in Italia per almeno dieci anni, ha esaminato il profilo del possesso della carta di soggiorno, certamente assente nel caso di specie, ed ha convenuto con l’indirizzo espresso da questa Corte con la sentenza n. 22261 del 2015 secondo il quale tale requisito, non sospettabile di incostituzionalità, si cumula con quello della ininterrotta residenza per dieci anni in Italia richiesto dalla L. n. 133 del 2008, art. 20, comma 10, con riguardo non solo ai cittadini extracomunitari, ma anche a quelli dei Paesi UE;

come affermato dalla sentenza impugnata, questa Corte di cassazione, con la sentenza n. 22261 del 2015, ha ritenuto che non è irragionevole la previsione della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, applicabile “ratione temporis”, là dove ne subordina la concessione agli stranieri, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, al requisito della titolarità della carta di soggiorno, trattandosi di emolumento che prescinde dallo stato di invalidità e che, pertanto, non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza;

si è, inoltre, affermata la cumulatività dei criteri della permanenza continuativa e della titolarità del permesso per lungo-soggiornanti, come conferma il riferimento agli “aventi diritto” di cui all’art. 20, comma 10, cit. il quale “presuppone la ricorrenza” in capo agli stranieri di tutti i requisiti di legge, tra i quali appunto la titolarità del succitato permesso, “cui si aggiunge” la condizione del decennale soggiorno continuativo;

in tal senso, Cass. n. 16989 del 2019 ha poi affermato che lo straniero extracomunitario ha diritto al riconoscimento dell’assegno sociale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, alla condizione del possesso della carta di soggiorno a tempo indeterminato – ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo – nonchè, a decorrere dal 1 gennaio 2009, per effetto del D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 10, conv. con modif. nella L. n. 133 del 2008, del soggiorno legale, in via continuativa, per almeno dieci anni, nel territorio nazionale, senza che tale requisito possa essere considerato quale limite alla libertà di circolazione di cui all’art. 16 Cost., comma 2, artt. 21 e 45 T.F.U.E., perchè non implica alcuna violazione della libera scelta del singolo e si sostanzia in un radicamento territoriale che non si identifica con la assoluta, costante ed ininterrotta permanenza sul territorio nazionale;

la Corte Costituzionale con la sentenza n. 50 del 2019, come è noto, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19, prospettata in relazione alla violazione dell’art. 3 Cost., art. 10 Cost., commi 1 e 2, art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione all’art. 14 CEDU, e art. 38 Cost., nella parte in cui la concessione dell’assegno sociale agli stranieri che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali previste dalla legge, legalmente e continuativamente (cioè da almeno dieci anni) soggiornanti in Italia, è subordinata all’ulteriore requisito della titolarità della carta di soggiorno, divenuta permesso CE (ora UE) per soggiornanti di lungo periodo;

la Corte ha affermato che il legislatore può legittimamente prevedere specifiche condizioni per il godimento delle prestazioni assistenziali eccedenti i bisogni primari della persona, purchè tali condizioni non siano manifestamente irragionevoli nè intrinsecamente discriminatorie, com’è appunto – nella specie – la considerazione dell’inserimento socio-giuridico del cittadino extracomunitario nel contesto nazionale, come certificata dal permesso di soggiorno UE di lungo periodo, al quale l’ordinamento fa conseguire il riconoscimento di peculiari situazioni giuridiche che equiparano il cittadino extracomunitario – a determinati fini – ai cittadini italiani e comunitari (sentt. nn. 306 del 2008, 11 del 2009, 187 del 2010, 329 del 2011, 40, 222 del 2013, 22, 230 del 2015);

la pronuncia della Corte Costituzionale ora citata ha senz’altro fornito risposta negativa ai dubbi sollevati dal ricorso per cassazione che toccano in sostanza le medesime questioni affrontate dal Giudice delle leggi, sebbene i parametri invocati non siano del tutto coincidenti, per cui in applicazione di tale pronuncia non può che darsi atto della correttezza dell’interpretazione adottata dalla sentenza della Corte d’appello di Bologna qui impugnata e della infondatezza del motivo di ricorso;

nè il ricorrente ha interesse a che questa Corte valuti la disposizione contenuta nell’art. 80, comma 19, cit. con riguardo alla compatibilità con l’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, in vista della sua disapplicazione per violazione del principio di non discriminazione, posto che l’atto discriminatorio per ragioni di nazionalità postula che la causa della nazionalità sia determinante ai fini del rigetto della prestazione, mentre nel caso di specie l’assegno sociale richiede che il beneficiario, anche cittadino dell’Unione, dimostri l’ulteriore requisito della stabile permanenza nel territorio nazionale che qui è rimasta negativamente accertata;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

la peculiarità e complessità delle questioni trattate, sulle quali è intervenuta la Corte Costituzionale, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2020

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