Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16866 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 15/06/2021), n.16866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 7517 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

C.G., in proprio e nella qualità di liquidatore e

legale rappresentante pro tempore della CAG.GI. sas di

Ca.Gi. & C., ca.gi. e N.F.,

rappresentati e difesi, giusta procure in calce al controricorso

dall’Avv. Danilo Lombardi ed elettivamente domiciliati in Roma, Via

degli Scipioni 268/A, presso lo studio dell’Avv. Alessio Petretti;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 1756/31/14 della Commissione tributaria

regionale della Toscana depositata il 23.09.2014;

udita nella Camera di consiglio del 9.3.2021 la relazione svolta dal

consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Toscana, ha confermato le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Siena che ha accolto i ricorsi proposti dalla società e dai soci avverso distinti avvisi di accertamento aventi ad oggetto IVA ed IRAP, nonchè IRPEF, relative all’anno 2002.

Il processo verbale che ha originato l’accertamento è stato redatto e notificato il (OMISSIS) a seguito di una verifica della Guardia di Finanza iniziata il (OMISSIS) che ha avuto ad oggetto rapporti bancari dei soci che presentavano versamenti che non sono stati giustificati e che, pertanto, sono stati ricondotti a ricavi.

E’ stato così rideterminato sia il reddito della società che quello dei soci con avviso di accertamento notificato il (OMISSIS).

Il motivo di accoglimento, comune ad entrambe le sentenze di merito, si è fondato sulla ritenuta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in ragione dell’emissione degli avvisi di accertamento nonostante il mancato decorso del termine di sessanta giorni entro i quali il contribuente può comunicare eventuali osservazioni, a meno che non ricorrano condizioni di particolare e motivata urgenza che, nel caso di specie, non sono state indicate.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandolo a tre motivi.

I controricorrenti hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La norma asseritamente violata non impone che le ragioni di urgenza siano esplicitate nell’avviso di accertamento, potendo essere dedotte e provate in corso di causa e dovendo esistere nella realtà giuridico fattuale.

Nel caso di specie, ai giudici di merito era stata sottoposta l’esistenza delle ragioni di urgenza in ordine alle quali l’avviso aveva operato un rinvio per relationem al verbale della Guardia di Finanza ove si era fatto riferimento alla imminenza dei termini di prescrizione delle annualità oggetto di verifica (2002-2004).

Tanto era stato ribadito negli atti di appello avverso le sentenze di primo grado.

Inoltre, l’emissione anticipata era stata giustificata con l’imminente scadenza anche del termine decadenziale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non dovuta ad inerzia dell’Amministrazione ma ad una difettosa programmazione delle verifiche da parte della Guardia di Finanza.

2. Con il secondo motivo è stata eccepita violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’accertamento ha avuto luogo mediante verifiche bancarie ed in tale tipo di verifiche il contraddittorio preventivo non è previsto a pena di nullità.

3. Il terzo motivo ha avuto ad oggetto la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto l’ulteriore profilo che un’interpretazione eccessivamente formalistica della norma comporterebbe un sacrificio eccessivo e sproporzionato nell’ipotesi di evasione conclamata.

In ogni caso, secondo la ricorrente, si pone il problema dell’applicazione integrale di quanto deciso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18184 del 2013, ovvero se sia possibile una lettura orientata dei principi del contraddittorio endoprocedimentale alla luce della giurisprudenza comunitaria con una conseguente limitazione della relativa applicazione.

In particolare, ha richiamato l’ulteriore ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite del 14.1.2015, circa l’ampiezza del principio del contraddittorio prospettando, in particolare, la praticabilità dell’interpretazione in base alla quale l’atto emanato in violazione del diritto del contribuente al contraddittorio debba essere giudicato invalido solo se, in mancanza di tale violazione, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso.

Sul punto, in via subordinata, ha chiesto di sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 367 TFUE “per chiarire se in caso di violazione del diritto di essere sentiti prima della emanazione dell’avviso, sia compatibile con i principi comunitari una normativa nazionale (quale quella contenuta nel citato art. 12, comma 7) che preveda la nullità dell’atto – con conseguente perdita del gettito IVA – anche laddove la mancata partecipazione al procedimento del contribuente non avrebbe portato alla emanazione di un atto diverso”.

4. Il primo ed il secondo motivo vanno esaminati congiuntamente e sono infondati con le precisazioni di cui si dirà.

L’accertamento esitato nel processo verbale di constatazione del (OMISSIS) è stato redatto a seguito di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza avviati in data (OMISSIS) con la verifica fiscale alla quale si fa riferimento nel ricorso (pagg. 2 e 4) ed in sentenza ove si fa riferimento ad “operazioni ispettive”, con ciò dovendosi intendere che la relativa attività è stata svolta previo accesso ai locali della società e non mediante la mera acquisizione di documentazione presso terzi.

Ne consegue che trova applicazione la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione al quale vanno ricordati i fondamentali arresti delle Sezioni Unite che hanno dapprima affermato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Cass. sez. un. 29 luglio 2013, n. 18184) e, successivamente, precisato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Cass. sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823).

Nella seconda sentenza le Sezioni Unite hanno espressamente delimitato l’applicazione della norma in rilievo nella presente controversia ai casi di “accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente” escludendo, gli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi o dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (cd. “verifiche a tavolino”).

Nè risulta che l’ufficio, successivamente alla chiusura del processo verbale, abbia proceduto ad ulteriori verifiche sulla base di una istruttoria interna quale attività aggiuntiva ed autonoma rispetto all’accesso presso i locali del contribuente (fattispecie espressamente contemplata da Cass. Sez. 6-5, 30 ottobre 2018, n. 27732, quale causa esonerativa dell’applicazione del citato art. 12, comma 7).

4.1. In ordine alle conseguenze derivanti dal mancato rispetto del termine di sessanta giorni, la motivazione della sentenza della CTR deve, invece, essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

Infatti i giudici di merito, hanno accolto il ricorso dei contribuenti affermando che il vizio degli avvisi di accertamento per i quali è causa risiede nella mancata indicazione dei motivi di urgenza che hanno determinato il mancato rispetto del predetto termine dilatorio.

Pur essendo pervenuta alla conclusione corretta della fondatezza dell’eccezione sollevata dai contribuenti, la CTR ha errato nella motivazione atteso che ciò che assume rilievo non è l’omessa indicazione formale delle ragioni di urgenza nell’avviso di accertamento, ma l’effettiva inesistenza di tali ragioni.

Sul punto quanto affermato da citata Sez. Un. n. 18184 del 2013, è stato ribadito, più recentemente da Cass. Sez. 6 – 5, 23 luglio 2020, n. 15843 (fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto valida ragione d’urgenza la rilevanza penale, comprovata dall’Agenzia in giudizio, delle contestate violazioni fiscali, protrattesi per almeno due anni, esulanti dalla sfera dell’ente impositore).

Nel caso di specie, le ragioni dell’urgenza sono state indicate da parte dell’Agenzia nell’imminente scadenza del termine decadenziale in ragione della “grande quantità dei movimenti finanziari pervenuti dagli istituti di credito interessati” che ha impedito di rispettare il termine dilatorio di cui si sta trattando.

Sul punto si rileva che è costante l’orientamento di questa Corte dal quale non vi è motivo di discostarsi, secondo cui “in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7” (Cass. sez. 6-5, 10 aprile 2018, n. 8749, conforme Cass. sez. 5, 16 marzo 2016, n. 5149).

Sostanzialmente in termini anche la recente Cass. sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15755, con la quale è stato deciso che “in tema di diritti del contribuente, la sola imminente scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non integra una ragione di urgenza valida ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui allo st. contr. art. 12, comma 7, previsto a seguito della proposizione dell’accertamento con adesione da parte del contribuente, spettando piuttosto all’Amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova, sulla base di fatti concreti e precisi, che l’emissione dell’avviso in prossimità del maturare dei termini decadenziali sia dipesa da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, pena la dissoluzione della finalità di recupero delle imposte non versate”.

L’Agenzia, peraltro, ha formulato una serie di ipotesi e supposizioni senza indicare alcun elemento probatorio concreto idoneo a supportare la tesi della correttezza del proprio operato avendo fatto riferimento ad una (asserita) inadeguata attività di programmazione della Guardia di Finanza.

Per completezza si osserva che l’urgenza che può giustificare il mancato rispetto del termine dilatorio deve prescindere da fatti che siano imputabili all’amministrazione.

La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto sussistenti tali ragioni nel caso di fallimento del contribuente sottoposto a verifica “in ragione dell’urgenza correlata alla necessità dell’Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un’insinuazione tempestiva al passivo, poichè detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori” e “in quanto il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicchè il detto termine per la presentazione di osservazioni e richieste risulta incompatibile con l’attività del curatore, che è svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, stante l’onere informativo nei confronti di tali soggetti” (Cass. Sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8892).

5. Infondato, altresì, il terzo motivo con il quale sono state sollevate questioni afferenti la portata applicativa della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, che risultano, compreso il profilo che riguarda la richiesta di sollevare questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, superate tenuto conto della più recente giurisprudenza di legittimità.

Si richiama, a tale proposito, la decisione di questa Sezione con la quale è stato affermato che: “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio” (Cass. sez. 5, 15 gennaio 2019, n. 701).

Ripercorrendo il quadro della normativa sovraordinata (in particolare art. 111 Cost.) e sovranazionale (Carta Europea diritti fondamentali, artt. 41 e 47) è stato evidenziato che quest’ultima offre una tutela molto più ampia di quella nazionale in quanto non limitata al processo giurisdizionale ma estesa ad ogni provvedimento individuale suscettibile di recare pregiudizio al cittadino.

Sono state richiamate così le considerazioni delle sentenze Kamino e Sopropè della Corte di Giustizia, in particolare, si sono evidenziate le condizioni alle quali il diritto nazionale può ritenersi rispettoso del diritto comunitario: l’obbligo del contraddittorio sussiste ogni volta che l’amministrazione deve adottare decisioni rientranti nella sfera di applicazione del diritto comunitario, anche quando la normativa comunitaria non preveda tale formalità; i termini, quando non sono fissati dal diritto comunitario, rientrano nella sfera del diritto nazionale purchè siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili e non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento comunitario (sul punto anche Corte di Giustizia 8.3.2017, Euro Park Service e 20.12.2017, Preqù Italia srl).

La sentenza ha ricordato come in un passaggio della decisione della Corte di Giustizia 9.11.2017, Ispas, è stato affermato che, in assenza di una disciplina unionale in tema di garanzie, spetta all’ordinamento degli stati membri stabilire le modalità tese a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai contribuenti in forza dei principi generali del diritto dell’Unione, primo fra tutti il diritto di difesa, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

La sentenza ha ricavato, dunque, due principi cardine del diritto comunitario in materia di contraddittorio endoprocedimentale: 1) equivalenza, nel senso che le tutele previste per i tributi armonizzati non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi; 2) effettività, nel senso che il contribuente deve essere messo in condizione di esercitare il contraddittorio.

La Corte ha segnalato, infine, tre punti fondamentali: 1) la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non distingue tra tributi armonizzati e non; nel caso di accesso, ispezioni e verifica nei locali il legislatore ha operato una verifica ex ante in merito al rispetto del contraddittorio assorbendo così la prova di resistenza ed operando un bilanciamento degli interessi coinvolti per il caso in cui esistano esigenze di urgenza; 2) la prova di resistenza è limitata ai casi in cui manchi la previsione del legislatore nazionale circa la nullità per violazione del contraddittorio; le Sezioni Unite del 2015 non hanno introdotto alcun discrimine tra tributi armonizzati e non ma tra casi in cui esiste una normativa specifica (in tal caso si applica a tutti i tributi) e casi in cui tale normativa non esiste (in tal caso subentra il principio unionale); 3) anche per i tributi armonizzati si applica la prova di resistenza nel solo caso in cui la normativa interna non commini la sanzione della nullità.

In sostanza la prova di resistenza opera nel solo caso di verifiche “a tavolino”.

Ogni profilo sul quale è stata sollecitato il rinvio pregiudiziale è stato quindi risolto dalla giurisprudenza interna.

6. Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso.

La circostanza che alcuni temi sollevati siano stati oggetto di evoluzione giurisprudenziale nel corso del giudizio ed anche successivamente al deposito del ricorso, giustifica la compensazione delle spese.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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