Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16864 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 15/06/2021), n.16864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRISCARI Giancarlo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19009/2015 R.G. proposto da:

N.I., rappresentata e difesa giusta delega in atti dagli

avv. ti Domenico Di Casola e Daniela Coviello, con domicilio eletto

in Roma, presso l’avv. Ludovica De Falco, alla via L. Calamatta n.

16;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 506/28/15 depositata il 21/01/2015, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

26/02/2021 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR campana rigettava l’appello proposto contro la sentenza di primo grado e confermando la pronuncia della CTP dichiarava la legittimità dell’atto impugnato, cartella di pagamento per IRES, IRPEF, IVA, IRAP e tributi regionali per l’anno 2004;

– ricorre a questa Corte la contribuente con atto affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento al periodo d’imposta 2004, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., motivazione apparente e/o insufficiente per non avere la CTR fatto comprendere attraverso quale indagine essa sia pervenuta alla conclusione di cui al decisum;

– il motivo è inammissibile;

– esso infatti costituisce censura motivazionale; vigente ratione temporis l’art. 360, comma 1, n. 5, nel testo più recente essa come tale è inammissibile (Cass. Sez. Unite, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) in presenza di una motivazione che – sebbene non brillante per chiarezza ed esaustività si pone certamente al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” e non risulta quindi meramente apparente, diversamente da quanto prospettato nel motivo;

– in questo contesto, anche la trascrizione in ricorso del contenuto dell’atto di sgravio risulta inidonea a sostenere la censura di apparenza ed arbitrarietà della motivazione dal momento che parte ricorrente non offre alcun elemento atto a illustrare il collegamento del provvedimento medesimo (peraltro risalente, pare, a data anteriore alla sentenza della CTR) con il presente giudizio;

– il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia gravata per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c., per aver la CTR violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto il giudice dell’appello era stato investito unicamente dell’indagine sulla corretta applicazione dei criteri fissati nella sentenza n. 194/11;

– il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza;

– come questa Corte ha da tempo statuito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10605 del 30/04/2010) ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 c.p.c., affermandosi che la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta è avvenuta sin dal primo grado, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito, non potendo a tal fine limitarsi ad asserire che si tratti di fatto pacifico allorchè neppure individui l’allegazione con la quale esso sarebbe stato introdotto e mantenuto nella controversia, posto che è pacifico soltanto il fatto che la parte abbia allegato, in modo tale che la controparte possa ammetterlo direttamente ed espressamente oppure in modo indiretto, attraverso l’affermazione di un fatto che lo presupponga;

– e nel presente caso, parte ricorrente non trascrive in ricorso per cassazione alcun atto dei gradi del merito dai quali possa evincersi una diversa perimetrazione del thema decidendum e del thema probandum rispetto a quello identificato dalla CTR;

– comunque, la formulazione del motivo lo rende in concreto tale da costituire una censura di merito, il cui nuovo esame è precluso a questa Corte di Legittimità;

– il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento al periodo d’imposta 2004, in relazione all’art. 112, e denuncia l’omessa pronuncia per avere la CTR omesso di statuire sul motivo di ricorso relativo all’illegittimità dell’iscrizione a ruolo di somme a titolo di IRES in capo alla ricorrente, persona fisica e non ente societario;

– il motivo è inammissibile;

– anche in questo caso, parte ricorrente non trascrive alcun atto del giudizio di prime cure dal quale possa evincersi la tempestiva proposizione in ricorso di fronte alla CTP dell’eccezione in parola; pertanto deve ritenersi che la CTR legittimamente non vi abbia posto attenzione, ritenendola implicitamente posta per la prima volta in appello e quindi preclusa alla sua cognizione in quanto già in quella sede inammissibile;

– il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, e al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, per avere la CTR ritenuto legittima l’iscrizione a ruolo anche delle sanzioni in pendenza del processo;

– il motivo è infondato;

– anche di recente questa Corte ha confermato come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5158 del 26/02/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 27867 del 31/10/2018) in tema di riscossione frazionata dei tributi in pendenza del processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, nella formulazione modificata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, ha natura di regola generale, sicchè è legittima l’iscrizione a ruolo e la riscossione delle somme, anche a titolo di sanzioni pecuniarie, in forza di sentenza della Commissione tributaria regionale pubblicata dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 472 del 1997, anche se il relativo giudizio sia iniziato nella vigenza del rito disciplinato dal D.P.R. n. 636 del 1972;

– invero, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 3, prevedeva che “le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione.”. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, in vigore dal 1/04/1998, ha poi abrogato (comma 1, lett. d) le parole “e le sanzioni pecuniarie”. Successivamente, il medesimo D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, nel riordinare tutte le norme in materia di sanzioni per violazioni di norme tributarie, al comma 1, ha disposto che: “in caso di ricorso alle commissioni tributarie si applicano le disposizioni dettate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2, recante disposizioni sul processo tributario.”;

– si deve quindi ritenere che la generica menzione delle commissioni tributarie, in relazione sia al precedente che all’attuale ordinamento, e l’abrogazione, in forza del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 37, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2, che regolava la riscossione frazionata secondo il precedente sistema normativo, fanno sì che il citato art. 68, sia divenuto la regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario (Cass. 12/11/2010, n. 22997; Cass. 10/06/2011, n. 12791). Il tema del decidere è allora regolato dal principio di diritto secondo cui, con riferimento alla riscossione frazionata di sanzioni, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, commi 1 e 2, nella formulazione vigente dal 1 aprile 1998, a seguito dell’intervento abrogativo del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, riguardante proprio le sanzioni pecuniarie, l’applicazione delle medesime in caso di esecuzione frazionata può avvenire anche antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che ad esse si riferisca;

– tale regula juris, applicabile alla fattispecie concreta in esame, consente quindi la riscossione (frazionata) anche delle sanzioni antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che statuisca su di esse (Cass. 4/12/2013, n. 27201; Cass. 11/10/2017, n. 23784);

– la CTR partenopea quindi, nell’affermare la correttezza della riscossione provvisoria delle sanzioni dopo la sentenza di primo grado dichiarativa della legittimità dell’atto impugnato, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto appena enunciato;

– pertanto, il ricorso è complessivamente rigettato;

– le spese seguono la soccombenza;

– sussistono i presupposti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 3.000,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso e a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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