Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16863 del 02/08/2011

Cassazione civile sez. un., 02/08/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 02/08/2011), n.16863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente Sezione –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Marrazzo Angelo s.a.s. in persona dell’accomandatario, elettivamente

domiciliata in Roma, via G.G. Porro 8, presso l’avv. ABBAMONTE

GIUSEPPE, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Comune di Afragola in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Marzio 3, presso

l’avv. VAIANO PAOLO, che con l’avv. Sebastiano Artale lo rappresenta

e difende giusta delega in atti;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso le sentenze non definitiva e definitiva della Corte d’appello

di Napoli, rispettivamente nn. 3972/06 e 489/07 del 22.12.2006 e

23.2.2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

5.7.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Abbamonte per la ricorrente e Donella Resta su delega

per il Comune;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso, per il ricorso principale, in

parte per il rigetto ed in parte per l’inammissibilità; per il

ricorso incidentale, in parte per l’assorbimento, in parte per

l’inammissibilità o il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Nella impugnata sentenza della Corte di Appello di Napoli è riferito che con contratto del 28.11.1986 il Comune di Afragola aveva affidato alla Marrazzo Angelo s.a.s. lo svolgimento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani per il periodo 1.11.1988 – 31.10.1995, per un corrispettivo annuo di L. 2.219.700.000, soggetto a revisione prezzi.

Con successivo contratto del 28.6.1991 il servizio era stato poi esteso ad altra area del territorio comunale (zona 11^), con proporzionale incremento del corrispettivo ed il Comune, con una serie di delibere, aveva prorogato l’affidamento del servizio fino al 15.5.1998.

Essendo sorta controversia in ordine al computo della revisione prezzi, le parti in data 8.7.1998 stipulavano una transazione, con la quale veniva quantificato il dovuto nella misura di L. 6.000.000.000 (dei quali L. 3.050.254,133 venivano versate a titolo di acconto), accordo che veniva tuttavia superato dall’annullamento in via di autotutela, da parte della Commissione Straordinaria, della delibera di giunta con la quale la transazione era stata approvata.

La delibera di annullamento veniva quindi impugnata davanti al TAR Campania, che rilevava tuttavia un difetto di giurisdizione, ed il preteso inadempimento del Comune veniva quindi sottoposto all’attenzione dell’autorità giudiziaria, che rilevava come ai sensi dell’art. 7 del contratto la cognizione della controversia dovesse essere devoluta al collegio arbitrale.

La Marrazzo notificava dunque atto di accesso all’arbitrato, che si definiva con l’accoglimento parziale delle domande e quindi con la condanna del Comune al pagamento di Euro 4.042.510,94, per maggiorazione dei canoni, la relativa revisione e gli interessi maturati sulle somme non corrisposte; con il riconoscimento di un controcredito del Comune di Euro 1.776.464,56; con la condanna del Comune al pagamento di Euro 540.754,22 e di Euro 205.588,71, rispettivamente per ammortamento automezzi e cassonetti; con il riconoscimento di interessi e rivalutazione su tutte le somme liquidate in favore della società appaltatrice.

2. – Il lodo veniva quindi impugnato dal Comune, che ne deduceva la nullità sotto diversi aspetti con argomentazioni contrastate dalla Marrazzo, e la Corte di appello con sentenza non definitiva dichiarava dapprima la nullità parziale del lodo, condannava il Comune al pagamento di Euro 422.224,70 in favore della Marrazzo per canoni revisionati relativi al periodo 1.1.94 – 31.10.95, riservava al definitivo la decisione concernente i canoni aggiuntivi per ammortamento dei mezzi d’opera fino al 31.10.95, accertava in tale sede un credito del Comune di Euro 831.589,33, operata la compensazione fra le reciproche posizioni creditorie delle parti in causa. In particolare la Corte territoriale rilevava che sulla questione attinente alla giurisdizione del giudice amministrativo relativamente alle pretese avanzate dalla società Marrazzo sulla revisione prezzi non si era formato il giudicato; che la revisione prezzi non poteva essere considerata un diritto dell’appaltatore, ma costituiva una facoltà del committente e la giurisdizione ordinaria poteva essere ravvisata solo a fronte del riconoscimento del relativo diritto da parte dell’amministrazione; che nella specie il riconoscimento era formalmente intervenuto fino al 31.12.93 ed il contenzioso doveva essere inteso come limitato al periodo successivo;

che implicitamente il medesimo diritto era stato riconosciuto per il periodo 1.1.94 – 31.10.95, mentre alcun riconoscimento poteva essere apprezzato per il periodo successivo, non potendosi segnatamente considerare tale la deliberazione di approvazione della transazione avente anche ad oggetto la revisione prezzi maturata, atteso l’intervenuto annullamento della detta delibera in sede di autotutela; che risultava affetta da nullità sopravvenuta la clausola di devoluzione agli arbitri delle controversie concernenti la rinnovazione e la proroga di contratti di fornitura di beni e servizi per le pubbliche amministrazioni, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, come modificata dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724; che appariva infine priva di pregio la censura del Comune concernente l’affermata mancata cessione all’impresa appaltatrice dei mezzi necessari per il servizio, secondo quanto prescritto dall’art. 32 del contratto.

Avverso la decisione la società Marrazzo proponeva ricorso per cassazione affidato a dodici motivi, cui resisteva il Comune di Afragola con controricorso contenente anche ricorso incidentale in parte condizionato (per i primi tre motivi), articolato in cinque motivi, atti entrambi successivamente illustrati da memoria.

All’udienza del 21.2.2011, fissata per la trattazione, il Collegio disponeva la trasmissione degli atti al Sig. Presidente della Corte per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, in ragione delle prospettazioni offerte dalla società Marrazzo, che sotto diversi profili aveva ritenuto l’operatività della clausola compromissoria inserita nel contratto di appalto in esame e l’insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.

La controversia veniva infine decisa all’esito dell’udienza pubblica del 5.7.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. – Disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., si osserva che con quello principale la Marrazzo Angelo s.a.s. ha rispettivamente denunciato:

1) violazione di legge, con riferimento all’affermata giurisdizione del TAR per quanto riguarda la revisione prezzi, per il periodo di proroga dell’appalto. La Corte avrebbe infatti omesso di considerare che la detta proroga era stata voluta in quanto funzionale alla continuazione del servizio; che le cause di nullità sopravvenuta della clausola compromissoria (quale sarebbe stata quella in oggetto) avrebbero dovuto essere specificamente indicate, ipotesi non verificatasi nella specie; che la proroga recepisce interamente il regime del rapporto prorogato, e quindi anche la parte relativa alla revisione del prezzo; che nel caso in esame si sarebbe trattato di proroga e non di rinnovo del contratto, sicchè le preclusioni riconducibili a tale ultima ipotesi non sarebbero estensibili alla prima;

2) violazione di legge e vìzio di motivazione per il fatto che, pur avendo affermato “la competenza del giudice amministrativo, che pertanto sarebbe stato il solo organo avente potestà a giudicare la controversia”, la Corte di appello avrebbe pronunciato nel merito delle domande relativamente al periodo 1995 – 1998, con ciò cadendo in contraddizione ed eccedendo i limiti della sua giurisdizione;

3) violazione dei principi sul giudicato interno in tema di giurisdizione arbitrale, atteso che la stessa era stata espressamente affermata dal TAR e poi ribadita dal giudice ordinario, con la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola;

4) violazione di legge in relazione all’errato frazionamento del rapporto di appalto, alla negata giurisdizione degli arbitri sulla revisione prezzi, all’omesso esame di fatti attestanti il riconoscimento della revisione. Dagli atti processuali sarebbe infatti emerso il riconoscimento, da parte del Comune, del diritto della società Marrazzo alla revisione e la riconducibilità della proroga concordata all’esigenza di assicurare la continuità del servizio in corso, relativo alla rimozione e alla sistemazione dei rifiuti;

5) violazione dell’art. 11 preleggi, per l’errata applicazione retroattiva della L. n. 537 del 1993, art. 6, a contratto stipulato in epoca antecedente e l’omessa considerazione che alla data di proposizione della domanda arbitrale era già in vigore la L. n. 205 del 2000, che prevede la compromettibilità in arbitrati delle questioni rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

6) violazione “del principio del contrarius actus”, in quanto alla delibera di annullamento della transazione non ne aveva fatto seguito altra, avente ad oggetto l’annullamento di quella con cui era stato disposto il connesso finanziamento;

7) violazione di legge con riferimento all’affermata nullità parziale della clausola compromissoria, atteso che la formulazione della clausola non avrebbe consentito di escludere alcuna controversia pertinente all’oggetto della negoziazione intercorsa tra le parti;

8) vizio di motivazione per l’omesso esame del parere richiesto dal Comune all’avv. A. sulla spettanza o meno della revisione prezzi nel periodo di proroga, nonchè di quello del consulente del P.M. prof. G.;

9) violazione di legge per il fatto che nella specie non si sarebbe verificato alcun rinnovo del contratto, ma una sua semplice proroga, sicchè sarebbe stata errata la scissione dei due periodi;

10) violazione di legge e vizio di motivazione per la negata efficacia alle clausole contrattuali, che erano state prorogate per assicurare la continuità del servizio durante il tempo necessario a riappaltare le gara;

11) violazione di legge per l’avvenuta esclusione dalla competenza arbitrale della domanda per le somme dovute per il periodo di proroga, mentre la transazione era stata voluta per tutte le questioni dipendenti dall’appalto per il periodo 1988 – 1998;

12 ) violazione di legge per l’affermata nullità della transazione per difetto di forma scritta, che non sarebbe stata viceversa configurabile.

4. – Con il ricorso incidentale il Comune ha a sua volta denunciato:

1) incompetenza del Collegio arbitrale, poichè le proroghe del servizio non erano state disposte con atto scritto, pur necessario, e comunque per l’insussistenza di un valido patto compromissorio per il periodo successivo al 31.10.95, circostanze da cui sarebbe discesa la nullità del lodo;

2) nullità dei contratti per mancanza di forma scritta, atteso che alle delibere di rinnovo del rapporto non aveva fatto seguito la sottoscrizione del contratto in forma scritta;

3) violazione di legge e vizio di motivazione, avendo il Collegio arbitrale pronunciato in carenza di potere sotto diversi aspetti, vale a dire relativamente alla validità di atti deliberativi della P.A., all’applicazione delle clausole pattizie dell’originario contratto, ai limiti del potere del giudice nel caso di dichiarazione di nullità, all’esclusione di ogni finalità di garanzia del puntuale rispetto del sinallagma contrattuale, agli obblighi di controllo della P.A. nei contratti di durata;

4) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all’omesso deposito di documentazione che avrebbe dovuto comprovare l’incremento dei costi, che sarebbe stato perciò da escludere;

5) violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla statuizione sulle spese nel giudizio arbitrale (che erano state compensate), tenuto conto della sostanziale demolizione del lodo da parte del giudice dell’impugnazione, che avrebbe dovuto determinare la condanna della Marrazzo s.a.s. anche al pagamento delle spese anticipate nel detto giudizio.

5. – Prendendo dapprima in esame il ricorso principale, va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del secondo, del settimo, dell’ottavo, del decimo, dell’undicesimo e del dodicesimo motivo, per violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c., all’epoca vigente.

Ed infatti, secondo quanto prescritto dalla citata disposizione, l’illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, nel caso di denuncia di violazione di legge, ovvero con la chiara indicazione del fatto controverso o delle ragioni per le quali la motivazione adottata è inidonea a giustificare la decisione, nel caso di denuncia di vizio di motivazione.

Quanto ai caratteri positivi dei rispettivi requisiti, questa Corte ha affermato, con riferimento alla violazione di legge, che il ricorrente deve procedere all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato, tale cioè da determinare un ribaltamento della decisione adottata (C. 08/24339, C. 08/19768, C. 08/16569, C. 08/11535, C. 08/3519) e, in relazione al vìzio di motivazione, che questo deve contenere un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti (C. 08/26104, C. 08/25117, C. 08/16558, C. 08/4646). Nella specie tuttavia i detti requisiti non sono riscontrabili nei motivi di impugnazione sopra indicati, con i quali la ricorrente si è sostanzialmente limitata a rappresentare quello che la Corte territoriale avrebbe a suo dire dovuto affermare, senza tuttavia alcuna specificazione in ordine al principio di diritto applicato dal giudicante, a quello che diversamente lo stesso avrebbe dovuto applicare, alle ragioni deponenti nel senso dell’erroneità del primo e dell’esattezza del secondo, al fatto controverso che sarebbe stato erroneamente interpretato, alle ragioni che avrebbero dovuto indurre ad una difforme interpretazione, alla decisività di quest’ultima sull’esito della lite.

6.1 – Quanto agli altri motivi, con i quali sono state sostanzialmente poste tre diverse questioni, consistenti in particolare: a) nella pretesa “violazione dei principi sul giudicato interno sulla giurisdizione arbitrale” (terzo motivo); b) nell’asserito riconoscimento della revisione prezzi e degli ammortamenti anche per il periodo di proroga dell’originario contratto di appalto (quarto e sesto motivo); c) nell’affermata erroneità dell’estensione della disciplina normativa attualmente vìgente in tema di rinnovazione tacita dei contratti delle pubbliche amministrazioni di fornitura di beni e servizi anche all’ipotesi di proroga del contratto, ritenuta sussistente nella specie (primo, quinto e nono motivo); gli stessi risultano infondati.

6.2 – Sulla prima questione considerata (preclusione da giudicato) il punto oggetto di contestazione riguarda gli effetti riconducibili alla sentenza del TAR Campania del 26.2.2003. Con tale decisione il giudicante, adito dalla ricorrente per l’annullamento della delibera commissariale che aveva a sua volta annullato in sede di autotutela la delibera della Giunta Municipale recante l’approvazione della transazione stipulata tra le parti, per la composizione della lite insorta nella determinazione dell’importo spettante a titolo di revisione prezzi, nel rigettare il ricorso aveva anche rilevato come la questione concernente la relativa quantificazione fosse rimessa dalla clausola compromissoria alla competenza arbitrale, e sulla base di tale ultima precisazione la Marrazzo ha sostenuto l’avvenuta formazione del giudicato in tema di validità della clausola compromissoria in rapporto alla pretesa alla revisione dei prezzi.

L’assunto tuttavia non può essere condiviso per un duplice ordine di ragioni, di cui una già individuata dalla Corte di appello, consistenti nel fatto che: a) la pronuncia sulla revisione prezzi rappresenta un “obiter dictum”, atteso che il tema trattato non era rilevante sulla decisione; b) l’oggetto della controversia sottoposta all’esame del TAR riguardava esclusivamente la legittimità dell’atto impugnato (la deliberazione della Commissione straordinaria del Comune di Afragola del 31.5.2000) di cui era stato invocato l’annullamento, sicchè è da escludere che possa essere configurato un giudicato su una questione relativa a tematica (per l’appunto quella della revisione prezzi) del tutto estranea all’oggetto del sollecitato giudizio.

6.3 – Il secondo profilo di censura riguarda, come detto, il non condiviso giudizio della Corte di appello secondo cui non vi sarebbe stato “alcun riconoscimento, neppure implicito, del diritto alla revisione per il periodo successivo al 31.10.1995”. In particolare occorre rilevare sul punto che, ad avviso del giudice del merito, dalla documentazione acquisita sarebbe emerso con chiarezza “che l’ente nutriva dubbi sulla fondatezza delle richieste della società appaltatrice riguardo al periodo successivo al 31.10.1995”, e ciò in quanto: a) nelle deliberazioni di proroga era stata espressamente esclusa la revisione; b) non era stata poi deliberata la proroga del contratto, ma più semplicemente l’affidamento del servizio a trattativa privata, senza previsione di revisione; c) a nessuna deliberazione di proroga del servizio aveva fatto seguito la stipulazione del relativo contratto; d) la L. n. 498 del 1992, aveva abolito la revisione prezzi facendo salvi soltanto i contratti già approvati, sicchè ogni ulteriore pretesa per il periodo successivo all’originaria scadenza contrattuale dell’ottobre 1995 sarebbe risultata priva di pregio. Osserva dunque il Collegio che nella specie si tratta di giudizio adeguatamente motivato, che risulta sorretto da argomentazioni immuni da vizi logici e che non appare pertanto sindacabile in questa sede di legittimità.

Nè valgono in senso contrario le deduzioni svolte al riguardo dalla ricorrente, essenzialmente incentrate: a) sull’esistenza (ignorata dalla Corte di appello) di contratto (con data 26.3.1998) asseritamente contenente il richiamo alle precedenti delibere della Giunta municipale e della Commissione Straordinaria, nelle quali si sarebbe fatto riferimento alla proroga ed all’annessa revisione; b) nonchè sulla perdurante efficacia della “delibera consiliare che aveva finanziato e perfezionato la transazione, riconoscendosi da parte del consiglio comunale il diritto alla revisione”.

Quanto al primo aspetto, infatti, la Corte territoriale non ha operato alcun riferimento all’esistenza del negozio sopra richiamato, sicchè la ricorrente avrebbe dovuto specificarne esattamente il contenuto (che contrasterebbe con l’accertamento compiuto dal giudice del merito) ed indicare data e modalità della relativa produzione, e ciò indipendentemente da ulteriori considerazioni circa l’eventuale configurabilità di un vizio revocatorio.

In ogni modo il rilievo appare comunque non meritevole di attenzione atteso che, secondo quanto rappresentato dallo stesso ricorrente, il contratto del 26.3.1998 di cui si discute avrebbe richiamato le precedenti delibere del Comune relative al servizio nel periodo successivo al 31.10.1995, ed è circostanza pacifica ed incontestata che le dette delibere escludevano la revisione prezzi.

E’ poi del tutto inconsistente il secondo profilo di doglianza sopra richiamato, oltre che per la novità della prospettazione che lo rende inammissibile (nulla ha precisato al riguardo la Corte di appello, ne la Marrazzo ha lamentato un’omessa pronuncia), per il fatto che la delibera in esame, priva di ogni riferimento al diritto dell’appaltatore alla revisione prezzi, aveva riguardato soltanto il finanziamento della transazione.

Dall’avvenuta caducazione di quest’ultima discende dunque la irrilevanza e ininfluenza della detta delibera sulla controversia oggetto di giudizio. 6.5 – Resta infine il terzo aspetto di doglianza denunciato, quello cioè attinente all’affermata applicabilità della disciplina in tema di rinnovazione tacita dei contratti delle pubbliche amministrazioni di fornitura di beni e servizi (sanzionata con la nullità dalla L. n. 537 del 1993) alla differente ipotesi di proroga di tali contratti.

Orbene – secondo quanto osservato dalla Corte di appello – “per accogliere la domanda riguardo al periodo successivo al 31.10.1995, il collegio arbitrale ha dovuto considerare le suddette proroghe, ritenerle valida espressione della volontà delle parti di prorogare l’originaria durata del contratto in attuazione della facoltà di rinnovo prevista dall’art. 4 del contratto stesso, interpretare tale clausola nel senso che essa preveda la prorogabilità del contratto (intesa come semplice spostamento del suo termine di scadenza, ferme restando tutte le clausole della convenzione senza una nuova negoziazione fra le parti: C. Stato, sez. 5^, 31.12.2003, n. 9302), in modo tale da sfuggire la disciplina riguardante la rinnovazione dei contratti dalla P.A., invocata dal Comune nelle proprie difese, e fondare sull’affermata prosecuzione del rapporto contrattuale iniziale l’esistenza del diritto dell’appaltatrice alla revisione dei prezzi anche per il periodo di proroga”.

Secondo la Corte di appello, tuttavia, posto che la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 6, (sostituito dalla L. n. 724 del 1994, art. 44) vieta il rinnovo tacito dei contratti di fornitura di beni e servizi della pubblica amministrazione e demanda alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni questione prospettata al riguardo, ha ritenuto che la clausola arbitrale contenuta nel contratto originario fosse viziata per nullità sopravvenuta, nella parte in cui prevedeva l’affidamento della risoluzione di controversie sorte in tema di rinnovo o proroga del contratto al giudizio arbitrale, e che non avrebbe deposto in senso contrario la L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, (che consente il deferimento ad arbitri delle controversie concernenti diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione del giudice amministrativo), la cui efficacia non sarebbe retroattiva.

A fronte della detta prospettazione la società Marrazzo ne ha denunciato l’erroneità sostenendo sostanzialmente: che non ricorreva l’ipotesi di rinnovo del contratto originario, ma quella di proroga del rapporto precedente, che in quanto tale non sarebbe ricaduta nel divieto previsto ai sensi di legge; che la nullità (parziale) sopravvenuta sarebbe in contrasto con il principio dell’irretroattività della legge, tale sanzione non sarebbe prevista dalla L. n. 537 del 1993, art. 6, e L. n. 724 del 1994, art. 44, e per di più la domanda arbitrale era stata proposta quando era già in vigore la L. n. 205 del 2000, art. 6″, che affermava la compromettibilità in arbitrato delle questioni sui diritti soggettivi nelle materie degli appalti”; che i due periodi 1988 – 1995 e 1995 – 1998 non avrebbero potuto essere scissi, essendo unitario il rapporto instaurato con il contratto originario poi prorogato, e ciò proprio allo scopo di evitare il non consentito rinnovo del contratto e di assicurare ad un tempo la indispensabile continuità del servizio.

In proposito osserva il Collegio che risultano innanzitutto privi di pregio i rilievi della ricorrente attinenti alla non condivisa estensione della disciplina dettata in tema di rinnovo del contratto nei termini sopra precisati (nel senso cioè che questo non era consentito) alla diversa ipotesi della proroga dell’accordo.

Ed infatti, per la parte di interesse, occorre considerare che sino all’entrata in vigore del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 3, convertito con modifiche nella L. 8 agosto 1992, n. 359, era riconosciuta all’amministrazione appaltante (ai sensi del D.Lgs.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501) la facoltà di procedere alla revisione del prezzo dell’appalto dell’opera pubblica, facoltà poi viceversa soppressa per effetto della citata disposizione e sostituita con il meccanismo di adeguamento all’inflazione previsto dalla L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 26.

Con la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 6, (come sostituito dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 44), in tema di contratti pubblici, è stato poi stabilito (nel comma 4) che i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo, da operare all’esito di una istruttoria condotta dall’amministrazione sulla base dei dati specificati nel successivo comma sesto. Il secondo comma dello stesso articolo sei dispone il divieto del rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per le forniture di beni e servizi, mentre il diciannovesimo comma devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie derivanti dall’applicazione dell’art. 6 in questione.

L’interpretazione del contratto nella parte di interesse suggerita dalla Marrazzo risulta dunque incompatibile con l’attuale quadro normativo, quale sinteticamente richiamato, mentre d’altro canto l’affermata applicabilità retroattiva delle disposizioni contenute nella L. n. 537 del 1993, è riconducibile al disposto dell’art. 1339 c.c. ed è in sintonia con la giurisprudenza formatasi in proposito (Cons. Stato, 5^, 20.1098, n. 1508, Cons. Stato, 6^, 27.4.2001, n. 2434, Tar Campania, Salerno, 1^, 18.6.2002, n. 511, Tar Marche, 28.5.99, n. 692, Tar Lombardia, Milano 3^, 14.7.97, n. 1271).

Quanto poi all’invocata applicazione della L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, che consente di deferire ad arbitri le controversie riguardanti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la prospettazione della Marrazzo è infondata sotto il duplice riflesso che nella specie la controversia non riguarda diritti soggettivi (la Corte di appello ha infatti stabilito che per il periodo successivo all’ottobre 1995 non vi è stato alcun riconoscimento in ordine al diritto dell’appaltatore alla revisione prezzi) e la norma in questione non è applicabile a contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, come d’altro canto già precisato dal giudice del merito (C. 01/15608, Cons. Stato, 5^, 5.12.2005, n. 7214, 13.9.2005, n. 4698, 3.8.04, n. 5652, 4.5.04, n. 2726, Sez. 6^, 8.4.2002, n. 1902).

6.6 – Passando poi all’esame del ricorso incidentale, si osserva che restano assorbiti i primi tre motivi di impugnazione, in quanto condizionati, mentre devono essere viceversa disattesi gli altri due motivi, il quarto risultando inammissibile ed il quinto infondato.

Più precisamente, per il quarto, ne va rilevato il vizio di autosufficienza poichè il Comune si è doluto in proposito del fatto che la Corte di appello avrebbe male interpretato la sua domanda, avendo respinto il motivo di impugnazione del lodo sulla base dell’affermata inesistenza, a carico dell’appaltatore, di un obbligo di allegazione di documentazione comprovante l’incremento dei costi a pena di decadenza, mentre invece era stato più semplicemente rappresentato un onere a suo carico.

Tale doglianza, tuttavia, non appare confortata dai necessari elementi di riscontro (quali l’indicazione dei documenti di cui si discute ed il relativo contenuto, le deduzioni prospettate sul punto, l’incidenza della statuizione adottata al riguardo nella decisione nel suo complesso, la diversità che ne sarebbe derivata ove correttamente interpretata la documentazione in questione), la cui mancanza rende generica la censura e non consente di apprezzarne la rilevanza sul conclusivo giudizio di merito. Per il quinto ne va invece affermata l’infondatezza, atteso che la disposta compensazione delle spese del giudizio arbitrale appare, da una parte, ricondotta all'”operato non contestato degli arbitri” (p. 10 della sentenza n. 489 del 2007) e, dall’altra, in sintonia con l’esito della lite, solo parzialmente favorevole per il Comune.

6.7 – Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere rigettati, e ciò induce alla compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2011

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