Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16861 del 05/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 16861 Anno 2013
Presidente: FELICETTI FRANCESCO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 84431’07) proposto da:

in materia di
servitù e di
revocazione ex
art. 395 n. 4 c.o.c.

NUSSBAUMER EGARTNER Juliane, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale
in calce al ricorso, dagli Aw.ti Rudolf Pichler e Luigi Manzi ed elettivamente domiciliata
presso lo studio del secondo, in Roma, v. Federico Confalon ieri, n. 5; – ricorrente contro
GUERRATO Mariassunta, TSCHURTSCHENTHALER FORER Waltraud e FORER
Heinrich, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli
Avv.ti Franz Rainer e Maria Cristina Napoleoni ed elettivamente domiciliati presso lo
studio della seconda, in Roma, via Germanico, n. 197; – controricorrenti

e

GIORDANI ROBERTO e SIGHELE Laura, rappresentati e difesi, in virtù di procura

22°7/3

Data pubblicazione: 05/07/2013

speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Paolo Conti e Francesco Ciddio ed
elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, alla v. XX Settembre, n.
15;

– altri controricorrenti –

nonché
– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Trento — sez. dist. di Bolzano n. 244/2006,
depositata il 22 dicembre 2006 (e non notificata) e avverso la sentenza della Corte di
appello di Trento — sez. dist. di Bolzano n. 150/2005, depositata il 27 giugno 2005;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Carlo Albini (per delega) nell’interesse della ricorrente e Francesco
Ciddio, per i controricorrenti Giordani Roberto e Sighele Laura;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Libertino Alberto Russo, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso e per
l’accoglimento del secondo, con il conseguente assorbimento degli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 14 ottobre 1999 la sig.ra Nussbbamuer Egartner Juliane
conveniva, dinanzi al Tribunale di Bolzano-sez. dist. di Bressanone, i sigg. Giordani
Roberto, Giordani Sighele Laura, lsidor Santa, Mutaro Santa Melitta, Guerrato
Mariassunta, Vorhauser Christine, Vorhauser Klaus, Forer Heinrich e Tschurtchenthaler
Forer Waltraud, per sentir dichiarare, nei loro confronti, che la servitù di passaggio e
transito con veicoli che gravava sui fondi di loro proprietà ed a vantaggio dei fondi di essa
attrice era di fatto stata eliminata dai predetti convenuti, attraverso l’erezione di edifici, con

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SANTA lsidor e MUTARO SANTA Melitta;

la conseguente condanna dei medesimi al risarcimento del danno ed alla rimessione dei
luoghi al pristino stato o, in via subordinata, alla reintegrazione per equivalente ai sensi
dell’art. 2058 c.c. . Nella costituzione di tutti i convenuti (ad eccezione di Isidor Santa e
Mutaro Santa Melitta) e con la chiamata in causa (quali garanti in favore di Heinrich Forer

Antonietta, all’esito dell’esperita istruzione probatoria, il giudice adito, con sentenza non
definitiva n. 100 del 2004, rigettava l’eccezione formulata dai convenuti con riferimento alla
dedotta estinzione della servitù per non uso e per mancanza di utilità e, per l’effetto, la
dichiarava sussistente, disponendo per il prosieguo del giudizio con separata ordinanza.
Interposto appello da parte dei convenuti in primo grado e nella resistenza dell’appellata,
la Corte di appello di Trento — sez. dist. di Bolzano, con sentenza n. 150 del 2005
(depositata il 27 giugno 2005), in accoglimento dell’avanzato gravame ed in riforma
dell’impugnata sentenza, dichiarava prescritto il diritto alla servitù come richiesto dalla
sig.ra Nussbamuer Egartner Juliane (affermando, tra l’altro, anche la mancanza di “utilitas”
per il fondo dominante, che era risultato in stato di abbandono) e rigettava,
conseguentemente, tutte le domande dalla stessa proposte con l’atto di citazione di primo
grado.
Con successivo tempestivo atto di citazione la Nussbamuer Egartner Juliane proponeva
domanda di revocazione, in relazione all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., sostenendo
che la Corte aveva erroneamente ritenuto, contrariamente a quanto risultante dagli atti e
dall’istruttoria, che il fondo dominante non era coltivato, ancorché affidato a terzi, in tal
senso restando fuorviata la decisione della Corte territoriale adottata in secondo grado,
con l’accoglimento dell’appello.

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e Waltraud) di Giordani Roberto, Sighele Laura, Lucchetti Veriano e Sighele Maria

Nella costituzione di tutte le parti chiamate in causa (tranne che di lsidor Santa e Mutaro
Santa Melitta), la Corte di appello di Trento — sez. dist. di Bolzano, con sentenza n. 244
del 2006 (depositata il 22 dicembre 2006), rigettava la domanda di revocazione,
compensando tra le parti costituite le spese del giudizio. A fondamento della decisione, la

ritenuto che il fondo dominante versasse in stato di abbandono, evidenziava che la
pretesa mancanza di “utilitas” della servitù non aveva costituito il solo ed unico motivo che
aveva indotto la Corte territoriale a rigettare la domanda, avendo rappresentato, in effetti,
un mero aspetto di contorno sul quale non era stata basata la motivazione essenziale
,

della statuizione emessa in secondo grado.
Avverso la richiamata sentenza n. 244/2006 resa all’esito del giudizio di revocazione ed
avverso la sentenza presupposta n. 150/2005 ha proposto un unico ricorso per cassazione
la sig.ra Nussbamuer Egartner Juliane, riferito a sette motivi (i primi due relativi alla
sentenza in tema di revocazione e gli altri alla sentenza n. 150 del 2005), avverso il quale
si sono costituiti in questa fase con distinti controricorsi, per un verso, i sigg. Giordani
Roberto e Sighele Laura, e, per altro verso, i sigg. Guerrato Mariassunta, Heinrich Forer e
Waltraud Forer Tschurtschenthaler. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in
questa sede. I difensori di tutte le parti costituite hanno depositato memoria difensiva ai
sensi dell’art. 378 c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In linea pregiudiziale deve evidenziarsi che la ricorrente, con un unico ricorso, ha inteso
impugnare contestualmente sia la sentenza n. 155 del 2005 della Corte di appello di
Trento-sez. dist. Di Bolzano (con la quale fu deciso nel merito in sede di appello sulla

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suddetta Corte, pur rilevando che nella sentenza impugnata era stato erroneamente

domanda originariamente proposta dalla stessa Nussbaumer) sia la sentenza della stessa
Corte territoriale (intervenuta tra le medesime parti) n. 244 del 2006 con la quale fu statuito
sulla istanza di revocazione riferita alla predetta sentenza di secondo grado, nel corso del
cui giudizio il collegio ebbe a sospendere, all’udienza del 10 maggio 2006, il termine per la

domanda di revocazione ai sensi dell’ad. 398, comma 3, c.p.c. .
Pertanto, tenuto conto che entrambe le sentenze non risultano notificate (con la
conseguente applicazione del termine lungo ex art. 327 c.p.c., “ratione temporis” vigente) e
che il termine per la formulazione del ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di
cui era stata invocata la revocazione era stato ritualmente sospeso ai sensi del richiamato
ad. 398, comma 4, c.p.c., la sopravvenuta impugnazione con un unico e contestuale
ricorso per cassazione di entrambe le sentenze deve ritenersi tempestiva ed ammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, precisato che è da considerarsi ammissibile
il ricorso per cassazione proposto con un unico atto avverso sentenze diverse, tra le
stesse parti ed in ordine alla stessa controversia (condizioni queste ambedue
sussistenti nella specie), dal medesimo organo giurisdizionale, quale giudice di
appello e giudice della successiva istanza di revocazione (cfr., specificamente, Cass.
n. 15522 del 2002 e, in termini più generali, Cass. n. 5472 del 1994; Cass., SU., n. 4445
del 1997; Cass. n. 5744 del 1998 e Cass., S.U., n. 28267 del 2005, ord.).
2. Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza
impugnata n. 244 del 2006 della Code di appello di Trento — sez. dist. di Bolzano (con la
quale è stato definito il giudizio di revocazione) per assunta violazione dell’ad. 51, comma
1, n. 4, c.p.c., formulando, al riguardo, il seguente quesito di diritto ai sensi dell’ad. 366 bis

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proposizione del ricorso ordinario per cassazione avverso la sentenza oggetto della

c.p.c. (“ratione temporis” applicabile): “dica la Corte se la sentenza che si pronuncia sulla
domanda di revocazione per errore di fatto è affetta da nullità per violazione dell’obbligo di
astensione previsto dall’art. 51, comma 1, n. 4) c.p.c. se questa è redatta dal magistrato
che aveva già deciso nella sua stessa qualità di giudice estensore la sentenza impugnata

2.1. Rileva il collegio che il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Con tale censura, la ricorrente ha inteso dedurre (per come documentalmente
riscontrabile) che, nella fattispecie, lo stesso consigliere estensore della sentenza di
appello con la quale fu deciso nel merito la controversia in questione aveva svolto la
medesima funzione anche con riferimento alla stesura della sentenza con la quale fu
statuito sull’istanza di revocazione avanzata dalla medesima ricorrente, ragion per cui
quest’ultima sentenza si sarebbe dovuta considerare nulla per assunta violazione di un
necessario obbligo di astensione da parte del predetto magistrato.
Rileva, innanzitutto, il collegio che, nel caso di specie, l’errore revocatorio discendeva da
un errore di traduzione della deposizione testimoniale attinente alla circostanza della
coltivazione o meno del fondo in questione, come tale non addebitabile al giudice in gul4à
da determinarne un dovere di astensione, contrariamente a quanto prospettato dalla
ricorrente. Il motivo è, in ogni caso, da respingere per l’assorbente principio,
condivisibilmente enunciato nella precedente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui
la pretesa incompatibilità del giudice, che ebbe a pronunciare sulla sentenza oggetto
della domanda di revocazione, a far parte del collegio chiamato a decidere su di
essa (svolgendo, eventualmente, anche le funzioni di giudice relatore ed estensore)
non determina nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto la stessa

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con la domanda di revocazione?”.

incompatibilità può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la
parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice,
nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (cfr. Cass. n. 13433 del 2007).

3. Con il secondo motivo — rivolto ancora alla sentenza n. 244 del 2006 resa dalla Corte

insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto
controverso e decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), ovvero con
riferimento all’aspetto che essa, per un verso, aveva riconosciuto che la sentenza oggetto
di revocazione era affetta da un errore di fatto (determinato da un grave errore di
traduzione e/o di lettura delle deposizioni testimoniali rese in lingua tedesca) e, per altro
verso, aveva affermato che l’erronea supposizione della mancata coltivazione del fondo
dominante fosse irrilevante ai fini della decisione in quanto non aveva, in alcun modo,
influenzato il giudizio sulla prescrizione del diritto di servitù per non uso ventennale ai sensi
dell’art. 1073 c.c. .
3.1. Anche questo motivo è privo di pregio giuridico e deve essere, perciò, respinto.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l’errore di fatto previsto dall’art.
395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nell’affermazione o
supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo
indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si
configura quindi in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e
immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un
fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un
fatto decisivo che dagli atti e documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto

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territoriale all’esito del giudizio di revocazione – la ricorrente ha denunciato l’omessa,

consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività
valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività.
Orbene, alla stregua di tale presupposto, è stato, altresì, puntualizzato (cfr., ad es., Cass.
n. 25376 del 2006 e Cass. n. 3935 del 2009) che l’errore di fatto idoneo a legittimare la

ma deve avere anche carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e
determinante della pronuncia impugnata per revocazione. Il giudizio sulla decisività
dell’errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non
sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi
logici e da errori di diritto. In altri termini si è specificato che, a norma dell’ad. 395, n. 4),
c.p.c., il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la
valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità
storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice
autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera
diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della
causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logicogiuridica.
Sulla base di tale premessa, deve rilevarsi che la Code territoriale, pur avendo evidenziato
che – nella sentenza oggetto dell’istanza di revocazione — risultava attestato che il fondo
dedotto in controversia era stato abbandonato, nel mentre — a causa di un errore di
traduzione del contenuto delle inerenti deposizioni testimoniali — esso era stato, in realtà,
ceduto in coltivazione a terzi, donde l’emergenza di un errore di fatto, ha, con motivazione
logica ed adeguata, ritenuto che tale vizio non poteva essere idoneo a comportare la

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revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione delle cose,

revocazione dell’impugnata sentenza, non avendo esso assunto una valenza propriamente
decisiva in funzione della soluzione decisoria adottata. In particolare, la Corte altoatesina
ha posto in risalto, nel congruo percorso logico seguito, come la suddetta circostanza
dell’accertata coltivazione del fondo non fosse idonea ad incidere sul non uso della servitù,

mancanza di “utilitas” della servitù (erroneamente desunta dall’asserito abbandono del
fondo dominante) era stata indicata nella sentenza oggetto di revocazione solo “ad
colorandam”, essendosi basata detta sentenza sulle complessive testimonianze acquisite
nel giudizio di primo grado, dalle quali era scaturito l’accertamento del non uso
ultraventennale della servitù medesima. In sostanza, la Corte di appello ha idoneamente
messo in evidenza come la suddetta circostanza erroneamente supposta avesse, in effetti,
costituito un elemento di contorno che non aveva sorretto la decisione di merito in secondo
grado, la quale era stata fondata, in via essenziale e risolutiva, sulla intervenuta
prescrizione per non uso (per come ricavabile dalle risultanze della prova orale, dalla quale
non era emerso alcun ragguaglio circa l’utilizzo del tracciato in questione a decorrere dal
mese di ottobre 1979 in poi, ferma rimanendo, ovviamente, la possibilità per la ricorrente di
dedurre l’eventuale vizio motivazionale, in sede di ricorso ordinario per cassazione,
avverso la valutazione compiuta in sede di merito).
Quindi, al di là dell’aspetto che non era propriamente controversa tra le parti la circostanza
alla quale si riferiva l’errore di fatto in discorso, il motivo deve essere rigettato per la
motivata “non decisività” dell’errore stesso, da considerarsi — come già sottolineato — come
valutazione demandata, in via esclusiva, al giudice di merito e, nella specie, da
considerarsi incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome adeguatamente e

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comunque appurato in base ad altri elementi. Ed infatti la stessa Corte ha rilevato che la

logicamente argomentata.
4. Con il terzo motivo, riferito alla sentenza n. 150 del 2005 (pubblicata il 27 giugno 2005 e,
perciò, non soggetta temporalmente all’applicazione dell’art. 366 bis c.p.c., riferibile ai soli
provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006) la ricorrente ha censurato la

nonché per insufficienza e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, proponendo alla Corte di risolvere la seguente questione giuridica: “qualora
una servitù di passaggio non viene esercitata per un periodo infraventennale (art. 1073
c. c.) e se in tale periodo sopravviene una causa di impossibilità di usare la servitù (ari.
1074 c. c.) dovuta a fatti dipendenti dai titolari dei fondi serventi, che si protragga per un
altro periodo infraventennale, i due periodi del mancato esercizio e della impossibilità di
usare la servitù possono sommarsi al fine del raggiungimento di una fattispecie estintiva
ventennale o meno?”.
4.1. Anche questa doglianza si profila destituita di fondamento e deve, quindi, essere
disattesa.
Secondo la prospettazione della ricorrente l’interpretazione fornita nella sentenza
impugnata integrerebbe la violazione e falsa applicazione degli artt. 1073 e 1074 c.c.,
poiché con essa — difformente da quanto statuito con la sentenza di primo grado – non si
sarebbe tenuto conto delle differenze strutturali (tanto per i presupposti quanto per gli
effetti) intercorrenti tra le due previsioni normative, dal momento che la sopravvenuta
impossibilità di cui al citato art. 1074 c.c. non costituisce una semplice ipotesi di non uso
riconducibile alla norma antecedente, ma configura un’autonoma causa estintiva; pertanto,
con l’inizio dell’attività edificatoria da parte degli originari convenuti si era venuta a

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sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1073 e 1074 c.c.,

verificare la fattispecie propriamente contemplata dal richiamato art. 1074 c.c.
dell’impossibilità di uso della controversa servitù, con la conseguenza che, a partire da tale
momento, si sarebbe dovuto ritenere che la servitù fosse entrata in uno stato di
quiescenza, tale da sospendere il decorso del termine ventennale di prescrizione indicato

Prendendo le mosse dal presupposto generale in base al quale la mens legislatoris ha
inteso individuare un sistema normativo orientato a garantire, per quanto possibile, il
principio della certezza dei rapporti giuridici, individuando l’ipotesi dell’estinzione del diritto
che non venga esercitato per un periodo continuativo di venti anni, deve, in questa sede,
evidenziarsi che l’art. 1074 c.c. stabilisce, in effetti, che l’impossibilità di usare della servitù
da sola non è idonea a determinare l’estinzione del diritto di servitù, se non sia trascorso il
termine ventennale previsto dall’art. 1073 c.c. . Da tale piana ricostruzione non si può far
conseguire — come ha correttamente statuito la Corte di appello di Trento – sez. dist. di
Bolzano – la deduzione che il termine di venti anni ex art. 1074 c.c. debba essere
considerato autonomo ed indipendente dal pregresso (eventuale) periodo di non uso
disciplinato dal precedente art. 1073 c.c. . Del resto anche la stessa giurisprudenza
evocata dalla ricorrente non esclude propriamente che si possano sommare il termine di
non uso decorso in virtù dell’art. 1073 c.c. e quello decorso per impossibilità di uso ai sensi
dell’art. 1074 c.c., ma sancisce che l’impossibilità di uso comporta l’ingresso della
servitù in una fase di quiescenza (la quale rimane, tuttavia, pienamente tutelabile, in
presenza dell’illegittimo comportamento del titolare del fondo servente ovvero di
terzi, anche prima che il ripristino del suo esercizio divenga possibile), che, tuttavia,
non impedisce la possibilità della configurazione della sua estinzione per non uso

I’

nel precedente art. 1073 c.c. (che, perciò, nella fattispecie, non poteva dirsi maturato).

qualora esso si protragga complessivamente per almeno venti anni (cfr. Cass. n.

1854 del 2006 e Cass. n. 7485 del 2011), così riconoscendosi ai termini stabiliti dagli
artt. 1073 e 1074 c.c. il valore di quantità omogenee, tra loro cumulabili.

In tal senso, con ulteriori puntualizzazioni, si è affermato (cfr. Cass. n. 7220 del 1997 e

come il sopravvenuto venir meno della “utilitas” che ne costituisce il contenuto, sono idonei
a determinare non altro che un mero stato di quiescenza del relativo diritto, perdurante sino
a quando non venga a maturazione il termine di prescrizione estintiva previsto in tema di
“iura in re aliena” (sempre che non risultino stipulate, per iscritto, nuove pattuizioni che
modifichino l’estensione della servitù o la sopprimano), così che la sola, astratta possibilità
di un ripristino futuro del suo concreto esercizio conferisce, al titolare del fondo dominante,
una attuale legittimazione ad agire, ex art. 100 c.p.c., per la tutela del suo diritto, almeno
fino a quando non risulti giudizialmente accertata (su domanda o su eccezione del
proprietario del fondo servente) l’intervenuta prescrizione del vantato diritto. E a
quest’ultimo riguardo si è ribadito — come evidenziato anche dalla Corte altoatesina – che il
principio, secondo cui l’impossibilità di fatto di usare della servitù o il venir meno dell’utilità
della medesima non fanno estinguere la servitù se non è decorso il termine di venti anni ex
artt. 1073 e 1074 c.c. (il cui “dies a quo” si computa, in ogni caso, secondo i criteri stabiliti
dallo stesso art. 1073 c.c.) si applica qualunque sia la causa dell’impossibilità di esercizio
della servitù, e cioè sia se tale causa derivi da eventi naturali, sia che si identifichi in fatti
imputabili al proprietario del fondo servente od a quello del fondo dominante.
Alla stregua di tali principi la Corte territoriale ha, perciò, condivisibilmente rilevato che, se
in una fattispecie che inizi con la volontaria inerzia del proprietario del fondo dominante (e,

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Cass. n. 13260 del 2004) che l’impossibilità di fatto di godere di una servitù prediale, così

quindi, con il suo non uso intenzionale) si innesti un fatto riconducibile al proprietario del
fondo servente che impedisca l’esercizio della servitù (così determinando un’impossibilità
sopravvenuta dell’uso del titolare del fondo dominante di carattere involontario),
quest’ultimo evento non è idoneo ad interrompere il primo termine ventennale che sia

— la prescrizione per “non uso” (inteso in senso lato) è una sola con riferimento alle servitù
ed essa decorre qualunque sia la causa del non uso delle stesse.
Essendosi conformata la Corte territoriale ai suddetti principi svolgendo una motivazione
logica ed adeguata per giustificare la soluzione adottata, la doglianza dedotta con il terzo
motivo va rigettata.
5. Con il quarto motivo — anch’esso rivolto alla sentenza di merito n. 150/2005 della Corte
altoatesina – la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027,
1061, 1066, 1073 e 1140 c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un punto decisivo della controversia, con l’esposizione della seguente questio iuris:
“dica la Corte se, in tema di servitù di passaggio, ogni singolo transito effettuato dal
proprietario del fondo dominante rispettivamente effettuato su incarico di quest’ultimo è
idoneo ad interrompere il corso della prescrizione di cui all’art. 1073 c. c. o, viceversa,
devono effettuarsi transiti continuati ed apparenti, che si manifestano pure nella presenza
di una via”. In particolare, con questa censura, la ricorrente ha inteso dedurre l’illegittimità e
l’irragionevolezza della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che soltanto
un esercizio continuo ed apparente fosse idoneo ad interrompere la prescrizione di cui
all’art. 1073 c.c., omettendo di considerare che una servitù di passaggio costituisce una
tipica servitù discontinua, il cui termine di prescrizione dedorre dal giorno in cui si è cessato

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cominciato precedentemente a decorrere, poiché — secondo la logica poc’anzi individuata

di esercitala, con l’ultimo transito esercitato, che, sulla scorta di alcune deposizioni
testimoniali, si sarebbe dovuto far risalire al 1987.
5.1. Anche questa doglianza non coglie nel segno e deve essere respinta.
Diversamente dall’impostazione indicata dalla ricorrente occorre rimarcare che, in effetti,

complessive risultanze istruttorie — la servitù in questione non era stata mai esercitata in
conformità del titolo, precisando, inoltre, che qualche passaggio occasionale, oltretutto non
univocamente realizzato in conformità del tracciato della servitù (ed, inoltre, valutato come
risalente ad un’epoca anteriore al ventennio prima dell’introduzione della causa, in base ad
un’adeguata analisi delle complessive risultanze istruttorie acquisite ritenute maggiormente
attendibili e consonanti), non poteva essere considerato propriamente l’esplicazione di
un’attività propriamente corrispondente all’esercizio della servitù (funzionale al
soddisfacimento di un bisogno effettivo del fondo dominante). La Corte di appello non ha,
perciò, ritenuto necessario che gli atti di interruzione della prescrizione dovessero essere di
carattere continuo ed apparente, né che la servitù stessa dovesse essere resa apparente
da opere visibili; essa, invero, ha inteso interpretare l’assenza di opere visibili ed apparenti
come meri indizi addotti a conferma del risultato — univoco ed autonomamente
apprezzabile – emerso in sede testimoniale circa la mancata utilizzazione del tracciato sul
quale era stata costituita la servitù.
6. Con il quinto motivo — inerente sempre la richiamata sentenza n. 150 del 2005 – la
ricorrente ha denunciato il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
il punto decisivo della controversia riguardante la prova del mancato uso ultraventennale
della servitù, evidenziando la rilevanza dell’insussistenza dello stato di abbandono del

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con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha meramente rilevato che — alla luce delle

fondo dominante e la supposta carenza di valutazione probatoria di alcuni riscontri
testimoniali dai quali, invece, si sarebbe dovuta evincere la circostanza dell’avvenuto
esercizio di plurimi transiti proprio sul tracciato a cui era riferita la servitù.
6.1. Anche questa censura — che si risolve nella denunzia di un assunto vizio

Oltre a ribadire quanto già evidenziato con riguardo alla non decisività della valutazione —
fondata su un errore di fatto — dello stato di abbandono del fondo dominante, la Corte di
appello di Trento — sez. dist. di Bolzano è pervenuta, in virtù di idonei accertamenti di
merito desunti dalla prove orali maggiormente affidabili e convincenti (anche in
considerazione del rapporto intercorrente tra i testi assunti ed i luoghi di causa e, quindi,
del maggior o minor grado di attendibilità degli stessi), alla conclusione che era stata
offerta una prova idonea e sufficiente relativa al mancato esercizio della servitù da parte
dell’attuale ricorrente, con la conseguente declaratoria di estinzione per prescrizione del
relativo diritto.
Del resto, è risaputo che — secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le
tante, Cass. n. 15355 del 2004 e, da ultimo, Cass. n. 6288 del 2011) – il vizio di omessa o
insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c., sussiste
solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia
riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può,
invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello
preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce al giudice di legittimità il potere
di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del

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motivazionale — non si prospetta fondata e deve, perciò, essere respinta.

merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, in
proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le
risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
7. Con il sesto motivo — riferito ancora alla sentenza n. 150 del 2005 – la ricorrente ha

violazione e falsa applicazione degli artt. 1073 e 2943 e segg. c.c., sollecitando questa
Corte a risolvere la questione giuridica sul: “se il titolare di una servitù di passaggio, che
diffida mediante spedizione di una lettera raccomandata il rispetto del proprio diritto ai
proprietari dei fondi serventi, che mediante attività edificatorie hanno reso impossibile
l’esercizio della servitù, interrompe — ai sensi dell’art. 2943 e segg. c. c. — nei loro confronti
efficacemente il corso della prescrizione estintiva”.
7.1. Anche questa censura è destituita di fondamento e va disattesa.
Infatti, se è pur vero che, nonostante che nella sentenza impugnata, a pag. 5 (come
evidenziato dalla ricorrente), si ponga riferimento – nello svolgimento del processo – alla
dedotta interruzione della prescrizione ricondotta alla lettera del 1993, la Corte di appello
abbia omesso qualsiasi motivazione sul punto, è altrettanto vero che il mancato esame di
tale aspetto non rivestiva il carattere di decisività poiché la prescrizione di cui all’art. 1073
c.c. avrebbe potuto essere interrotta solo dall’esperimento di un’azione giudiziale ovvero
dal riconoscimento della servitù da parte del titolare del fondo servente (anche in forma
stragiudiziale): tuttavia, questi due presupposti non sono stati accertati sussistenti in fatto.
In proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 5958 del
1978 e Cass. n. 228 del 1980) ha statuito che l’interruzione del termine prescrizionale,
previsto dall’art. 1073 c.c., può essere ricondotta soltanto alla proposizione di

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dedotto il vizio di omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché la

un’azione giudiziale. Ed infatti l’idoneità dell’atto interruttivo consistente nella
costituzione in mora o in una diffida stragiudiziale (per come previsto dall’art. 2943,
comma 4, c.c.) è circoscritta — quanto alla sua giuridica efficacia – ai soli diritti di
obbligazione e, perciò, non è applicabile ai diritti reali (cfr. Cass. n. 4427 del 1986 e

8. Con il settimo ed ultimo motivo — riferito sempre alla sentenza n. 150 del 2005 – la
ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per omessa motivazione circa un punto
decisivo della controversia, unitamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,
1322, 1362, 1367, 1372 e degli artt. 1073 e 2944 c.c., formulando, in proposito, il seguente
interrogativo giuridico :”dica la Corte se la clausola contenuta nel contratto di vendita del
fondo servente, che l’immobile dedotto in vendita viene trasferito ed accertato con le
servitù come risultano nel libro fondiario è da considerarsi riconoscimento del diritto di
servitù ai sensi dell’art. 2944 c. c. idoneo ad interrompere la prescrizione estintiva di cui
all’art. 1063 c.c.”. Secondo la prospettazione della ricorrente la Corte di appello altoatesina
sarebbe incorsa nelle denunciate violazioni nel ritenere irrilevante e, comunque, inefficace
la clausola del contratto di compravendita con la quale i contraenti avevano dato atto di
trasferire l’immobile con le servitù che risultavano da libro fondiario, tanto più che il rinvio
contenuto nella stessa clausola si riferiva ad una servitù regolarmente intavolata all’atto
della stipula del contatto.
8.1. Anche quest’ultima censura appare infondata e deve essere rigettata.
A questo riguardo deve rilevarsi, innanzitutto, che non sussiste il vizio di omessa
motivazione perché la Corte territoriale ha individuato un preciso percorso logico sul punto.
Non risultano, peraltro, essersi configurate nemmeno le dedotte violazioni di legge.

17

Cass. n. 15199 del 2011).

Occorre, in primo luogo, sottolineare che, in generale, in materia di interpretazione del
contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del
negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde
la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la

seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato
contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi,
peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il
ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché, in caso contrario, la critica alla
,
ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di
un’interpretazione diversa. In altri termini, il ricorso in sede di legittimità, riconducibile, in
linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove censuri
l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i
contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità
dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione)
dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o
– anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla
conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un
risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di
giustificazione prospettate come più congrue.
Ciò posto, nella specie, la Corte territoriale ha adeguatamente e logicamente valutato la
portata della clausola controversa, escludendo la configurazione del preteso
riconoscimento degli acquirenti della servitù sulla base di un quella che avrebbe dovuto

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motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Si attesta la registrazione presso
l’Agenzia delle Entra 9 di Roma 2
serie 4 al n. 3.Cd(.22. yersate
considerarsi una mera “clausola di stile”, in virtù della quale gli iMélgg igitZIS ati
acquistati nello stato di fatto e di diritto in cui si trovavano e con tutte le servitù (e con gli
oneri, attivi e passivi), di cui godevano ed erano gravate e che, perciò, non poteva valere
come una esplicita ricognizione sul punto dell’esistenza di uno specifico diritto trascritto

esercizio in relazione all’ubicazione dei fondi: cfr. Cass. n. 11674 del 2000 e, da ultimo,
Cass. n. 18349 del 2012) ma di cui la proprietaria del fondo dominante non si era
interessata sino al decorso del ventennio, che aveva determinato la prescrizione del diritto
reale di godimento per suo non uso.
9. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere
integralmente respinto. Ritiene il collegio che sussistono, tuttavia, idonei e giusti motivi — in
relazione alla complessità delle questioni giuridiche trattate, alcune delle quali anche
obiettivamente controvertibili (per come dimostrato anche dall’esito contrapposto dei gradi
di merito), e alla peculiarità della controversia — per disporre l’integrale compensazione
delle spese del presente giudizio fra tutte le parti che si sono costiuite.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti costituite le spese del
presente giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 7 febbraio 2013.

(nemmeno idoneamente indicato con la specificazione dell’estensione e delle modalità di

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