Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16858 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 15/06/2021), n.16858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 30012 del ruolo generale dell’anno 2014,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

M.P. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

ricorso, dall’avv.to Gianbattista Rizza, elettivamente domiciliato

presso lo studio dell’avv.to Fabio Federico, in Roma Via F.

Inghirami 24;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, n. 379/16/13,

depositata in data 28 ottobre 2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 febbraio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 379/16/13, depositata in data 28 ottobre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di M.P. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 120/05/2011, della Commissione tributaria provinciale di Siracusa che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, previo p.v.c. del 20.7.2006 della Guardia di Finanza – Compagnia di Siracusa, l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima, l’indebita detrazione di Iva pari a Euro 548.354,80, per l’anno 2004, in relazione a fatture per operazioni ritenute inesistenti, presuntivamente utilizzate per ottenere indebitamente i finanziamenti previsti dalla L. n. 488 del 1992;

– in punto di fatto, dalla sentenza impugnata si evince che: 1) avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, previo p.v.c. della G.d.F., l’Ufficio di Siracusa aveva recuperato nei confronti di M.P. s.p.a. l’Iva indebitamente detratta, per il 2004, in relazione a fatture riferite ad operazioni di acquisto di macchinari ritenute inesistenti, quest’ultima aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Siracusa che, con sentenza n. 120/5/11, aveva accolto il ricorso avuto riguardo al provvedimento dell’8/6/2010 della Procura Regionale della Corte dei Conti di archiviazione dell’indagine condotta sul presunto danno erariale in merito all’erogazione di contributi statali per l’acquisto dei detti beni nonchè avuto riguardo alle perizie prodotte in giudizio comprovanti “con sufficiente certezza che tali macchinari esistevano, che furono acquistati e che, all’epoca dell’accertamento erano anche perfettamente funzionanti”; 2) avverso la sentenza di primo grado, aveva proposto appello l’Agenzia e aveva controdedotto la contribuente chiedendone la conferma;

-la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) la sentenza di primo grado aveva accolto in fatto il ricorso, ritenendo che le circostanze affermate dalla G.d.F. fossero risultate smentite dalle perizie prodotte dalla società e non contestate dall’Ufficio; 2) solo in via sussidiaria e rafforzativa di tale convincimento, la CTP aveva richiamato il provvedimento adottato dalla Procura della Corte dei conti in data 8 giugno 2010 di archiviazione dell’indagine condotta sul presunto danno erariale nel quale, tra l’altro, si dava atto che la circostanza del mancato rinvenimento da parte della G.d.F. di macchinari nuovi di fabbrica acquistati dalla società “non risulta(va) sostenuta da sufficienti riscontri probatori” e che “la società (aveva) dimostrato la regolarità dell’acquisto dei macchinari prescritto dal programma agevolato”, con conseguente legittima erogazione della prima quota di agevolazione economica; 3) con memoria depositata in appello, la società aveva prodotto in giudizio copia di alcuni atti relativi al procedimento penale instaurato dinanzi al Tribunale di Ravenna nei confronti degli autori delle fatture presuntivamente emesse per operazioni inesistenti, conclusosi, nelle more del giudizio, con la sentenza di assoluzione del 25.10.2011 perchè “il fatto non sussiste”;4) con la medesima memoria era stata prodotta anche copia del verbale di udienza del procedimento penale contenente la deposizione del Maresciallo della G.d.F. che aveva effettuato le operazioni di verifica presso la sede della società, il quale aveva affermato che i verificatori avevano commesso gravi errori nel dichiarare che i beni fossero stati rinvenuti solo in parte, mentre, in realtà, i beni erano presenti in azienda ed erano stati consegnati, in parte, nel 2004 e, in parte, nel 2005; 5) tale produzione documentale, non contestata dall’Ufficio, costituiva una ulteriore riprova della infondatezza in fatto dell’accertamento impugnato;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito, con controricorso, la società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 207 norme att. c.p.c. nonchè la violazione dei principi generali di separazione dei processi penale, contabile e civile, per avere la CTR fondato la decisione di invalidità dell’avviso di accertamento sull’illegittimo richiamo: 1) alla sentenza penale (senza sapere se fosse passata in giudicato) di assoluzione di soggetti diversi dalla contribuente, senza considerare che l’oggetto del giudizio penale fosse, in parte, diverso da quello contabile; 2) a una copia, peraltro non autentica, del verbale di udienza del procedimento penale, del tutto estrapolato dal contesto, contenente la deposizione del Maresciallo della G.d.F. che aveva effettuato le operazioni di verifica; 3) a un decreto di archiviazione della Procura della Corte dei conti, benchè non avesse efficacia di cosa giudicata e senza verificare se i fatti in esso contenuti coincidessero con quelli oggetto dell’avviso di accertamento;

– il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi;

– premesso che, nelle ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, questa Corte ha affermato che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. nn. 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001), nella specie, la CTR, con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto sostanzialmente non forniti dall’Amministrazione sufficienti elementi probatori, anche in forma presuntiva, circa la assunta inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate di acquisto di macchinari e, al contempo, comunque assolto dalla contribuente l’onere di dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni contestate in base alle perizie prodotte dalla società in giudizio, peraltro, non contestate dall’Ufficio, che – come osservato già dal giudice di primo grado con decisione confermata in appello – comprova(vano) “con sufficiente certezza che tali macchinari furono acquistati e che, all’epoca dell’accertamento, erano anche perfettamente funzionanti”; “solo in via sussidiaria e rafforzativa di tale convincimento”, la CTR, ha richiamato, in primo luogo, il decreto di archiviazione (già depositato in primo grado) dell’8.6.2010 della Procura della Corte dei conti relativo all’indagine condotta sul presunto danno erariale in merito all’erogazione di contributi statali in favore della società contribuente per l’acquisto dei detti macchinari (nel quale, in motivazione, si dava atto, da un lato, della assenza di “sufficienti riscontri probatori” in ordine alla asserita circostanza del mancato rinvenimento da parte della G.d.F. di macchinari nuovi di fabbrica acquistati dalla società e, dall’altro, della dimostrazione da parte della società della regolarità e effettività dell’acquisto dei macchinari prescritto dal programma agevolato) e, in secondo luogo, la sentenza penale di assoluzione (perchè “il fatto non sussiste”) del Tribunale di Ravenna del 25.10.2011 emessa nei confronti dei presunti autori della falsa fatturazione, nonchè la deposizione resa dal Maresciallo della G.d.F. in sede penale, circa la erroneità della dichiarazione dei verificatori in ordine al rinvenimento in azienda soltanto di una parte dei detti beni, essendo stati, invece, gli stessi consegnati, in parte, nel 2004 e, in parte, nel 2005; pertanto, il giudice di appello ha effettuato la valutazione complessiva di tale produzione documentale, non contestata dall’Ufficio (decreto di archiviazione della Procura della Corte dei conti, sentenza penale di assoluzione nei confronti di terzi, presunti autori della falsa fatturazione, e deposizione del Maresciallo della G.d.F. resa in sede penale) quale “ulteriore riprova” della infondatezza dell’accertamento in questione – già di per sè emergente dalle risultanze delle prodotte perizie della società – in ossequio a condivisi principi già affermati da questa Corte, secondo i quali: 1) anche per gli stessi fatti, vi è totale autonomia – in virtù del noto principio ordinamentale e generale di autonomia delle giurisdizioni- fra il giudizio contabile ed altri giudizi di diversa natura e funzione (ex plurimis: Cass. S.U. n. 10579/2020; 15046/2009, 20701/2013, 10774/2018); 2) stante l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, 4n materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28174 del 24/11/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16262 del 28/06/2017; v. anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19786 del 27/09/2011); 3) “in tema di processo tributario, al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta – in attuazione del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, a garanzia della parità delle armi e dell’attuazione del diritto di difesa – la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale aventi, anche per il contribuente, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari nel processo tributario” (Sez. 5, Sentenza n. 9903 del 27/05/2020);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. per avere la CTR, nel ritenere illegittimo l’avviso di accertamento, da un lato, omesso di evidenziare, con chiarezza, gli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione, sulla scorta del p.v.c. della G.d.F., della ritenuta inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate, e, dall’altro, considerato che le perizie di parte prodotte dalla società costituissero valide prove a contrario, ancorchè queste ultime rappresentassero meri strumenti valutativi di dati probatori ovvero semplici supporti conoscitivi;

– il motivo è inammissibile;

– in primo luogo, la ricorrente, in difetto dei principi di specificità e di autosufficienza, ha omesso di riportare in ricorso ovvero di allegare ad esso, il p.v.c. della G.d.F. e tantomeno, per le parti rilevanti, il contenuto dell’atto impositivo, onde consentire a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura;

– quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poichè se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5, ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6-5, n. 10973/2017, Cass., sez. 5, n. 1715/2007). Infatti, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008). Ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria; nella specie, il motivo di ricorso, pur prospettando una violazione degli artt. 2697,2727 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in realtà, tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che la contestazione dell’Amministrazione circa la inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate per non essere stati i macchinari in questione rinvenuti dalla G.d.F. in azienda non fosse stata sostenuta da sufficienti riscontri probatori, ma anzi fosse risultata sostanzialmente “smentita dalle perizie prodotte dalla società” e non contestate dall’Ufficio, che, viceversa – come osservato dal giudice di primo grado – comprova(vano) “con sufficiente certezza che tali macchinari furono acquistati e che, all’epoca dell’accertamento, erano anche perfettamente funzionanti”; ciò conformemente all’insegnamento di questa Corte secondo cui “Nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente” (Cass. Sez. 5, Sentenza 6/02/2015, n. 2193); peraltro, la valenza delle perizie di parte, nella specie, è stata rafforzata dall’analisi degli ulteriori elementi di prova di carattere documentale (quali il decreto di archiviazione della Procura della Corte dei conti, la sentenza penale di assoluzione nei confronti di terzi, presunti autori della falsa fatturazione, e la deposizione del Maresciallo della G.d.F. resa in sede penale) idonei, nel complesso, a concorrere alla formazione del convincimento del giudice;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la CTR omesso di valutare che il decreto di archiviazione della Procura della Corte dei conti posto a fondamento della decisione impugnata concernesse fatti diversi da quelli cui faceva riferimento l’avviso di accertamento in questione (in particolare, il decreto si riferiva esclusivamente all’erogazione della prima quota di agevolazione economica e faceva riferimento all’effettività dell’acquisto dei soli macchinari di cui ad un presunto contratto di fornitura stipulato il 28/4/2004);

– il motivo è inammissibile;

– va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. Dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 28 ottobre 2013) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in complessive 10.000,00, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

 

 

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