Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16856 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 07/08/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 07/08/2020), n.16856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24891-2018 proposto da:

ACSM-AGAM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO

BORSANI;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

LOTARIO 6, presso lo studio dell’avvocato SILVIA TAGLIENTE,

rappresentato e difeso dagli avvocati PIETRO MASSAROTTO, MARIO

DOMENICO CICCARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1203/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/06/2018 R.G.N. 450/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO BORSANI;

udito l’Avvocato MONICO GIANMARIA per delega verbale Avvocato PIETRO

MASSAROTTO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 22/6/2018 la Corte d’appello di Milano, in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Como in sede di opposizione, ha accolto la domanda di annullamento del licenziamento intimato il 5/4/2016 a B.F. dalla società ACSM-AGAM s.p.a. a seguito della perdita dell’appalto per la distribuzione del gas nei Comuni di (OMISSIS) e ai sensi del D.M. 21 aprile 2011, art. 2 recante norme comuni per il mercato interno del gas.

2. La Corte territoriale, rilevato preliminarmente che il D.M. del 2011 prevede un passaggio diretto dei dipendenti all’impresa subentrante nel servizio di distribuzione del gas previa adozione di un atto da qualificarsi quale licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo da parte dell’impresa uscente, la cui posizione di società controllata o controllante è irrilevante, ha accertato l’inclusione del B. nell’ambito delle “funzioni centrali dei servizi amministrativi” (servizio informatico) così come illustrati dal suddetto D.M., ma ha ritenuto illegittimo il licenziamento essendo stati violati i criteri di buona fede e correttezza con riguardo alla scelta effettuata nell’ambito di lavoratori con mansioni fungibili.

3. La società ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il lavoratore ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione del D.M. 21 aprile 2011, art. 2 e della L. n. 604 del 1966, art. 3 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, erroneamente qualificato come “licenziamento” l’atto risolutivo disposto dall’impresa, da ritenersi cessazione del rapporto di lavoro ex lege senza l’intervento della volontà dell’impresa uscente e con passaggio diretto del personale alle dipendenze dell’impresa subentrante.

5. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, della L. n. 604 del 1966 e della L. n. 223 del 1991 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, erroneamente applicato in via analogica i criteri di scelta dettati dalla L. n. 223 del 1991 e ritenuto violati i criteri di buona fede e correttezza che, dovendo coincidere con l’unico parametro dettato dal D.M. 21 aprile 2011 (ossia lo svolgimento di funzioni centrali di supporto all’attività di distribuzione del gas), erano stati rispettati dalla società uscente (come correttamente accertato dal giudice di merito).

6. Con il terzo motivo si deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte territoriale, trascurato diverse circostanze riferite dai testimoni, apparendo pertanto priva di fondamento la conclusione dei giudici di merito relativa alla deposizione del teste S. definita “oltre che generica…smentita dalla stessa C.” nonchè scarsamente valutate le circostanze relative all’assunzione dell’ingegner P.F..

8. I primi due motivi di ricorso non sono fondati.

Questa Corte ha più volte affermato – e qui ribadisce – che nè all’autonomia individuale nè a quella collettiva è consentito, in ordine alla risoluzione del rapporto, sottrarsi alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali o collettivi (cfr. Cass. n. 1011 del 2001 che ha ritenuto nulle le clausole contrattuali che prevedevano una risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una determinata età).

Analogamente, Cass. n. 6175 del 2000, con riferimento al rapporto di lavoro dei dipendenti dell’ente Poste Italiane, ha affermato che il rapporto di lavoro di natura privatistica, è regolato dall’ordinaria disciplina civilistica anche con riguardo alle ipotesi di risoluzione: è stato, pertanto, considerato nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative (L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970), l’accordo integrativo dei c.c.n.l. nella parte in cui prevedeva la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva, dovendo escludersi che la contrattazione collettiva possa, in assenza di una norma che ciò espressamente consenta, prevedere cause estintive del rapporto a tempo indeterminato diverse rispetto a quelle già individuate e disciplinate dall’ordinamento (licenziamento, dimissioni, mutuo consenso ovvero verificarsi delle ipotesi di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5); conf. Cass. nn. 13851, 14387, 9958, 6175 e 6176 del 2000, ed altre pronunce precedenti.

Nè, per evocare una fattispecie specifica in materia di imprese editrici, questa Corte ha ritenuto derogato il suddetto principio dalla L. n. 416 del 1981, artt. 35 e 36, che riguarda l’estensione del trattamento straordinario di integrazione salariale ai giornalisti professionisti, ai pubblicisti e ai praticanti dipendenti da imprese editrici e la risoluzione del rapporto di lavoro in caso di riconoscimento, da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, della situazione di crisi occupazionale, con erogazione – in aggiunta alle normali competenze di fine rapporto – di una indennità aggiuntiva.

Nella medesima prospettiva, questa Corte ha sottolineato che diversa avrebbe potuto essere la valutazione di legittimità della clausola contrattuale concernente la risoluzione del rapporto di lavoro nella opposta prospettiva del licenziamento collettivo, potendo la clausola avere la più limitata funzione di individuazione di un criterio di scelta dei lavoratori da licenziare e non già quella di introdurre una nuova fattispecie di risoluzione del rapporto (Cass. n 535 del 2003).

Nel caso di specie, la L. n. 164 del 2000 (recante attuazione della direttiva 98130/CE in materia di liberalizzazione del mercato interno del gas naturale) che, all’art. 28, comma 6, ha demandato al Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato nonchè al Ministro del lavoro e della previdenza sociale l’adozione di un provvedimento che definisca “condizioni minime al cui rispetto sono tenuti i nuovi gestori di reti di distribuzione per un’adeguata gestione degli effetti occupazionali connessi alla trasformazione del settore del gas”, non contiene alcun criterio che consenta di derogare al principio generale della tipicità delle cause estintive del rapporto di lavoro subordinato rappresentate da licenziamento, dimissioni e risoluzione per mutuo consenso.

Il D.M. 21 aprile 2011 recante “Disposizioni per governare gli effetti sociali connessi ai nuovi affidamenti delle concessioni di distribuzione del gas in attuazione del D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, art. 28, comma 6 recante norme comuni per il mercato interno del gas” recita:

“Art. 1. Definizioni.

1. Personale addetto alla gestione degli impianti di distribuzione del gas naturale è il personale, direttamente dipendente dalla società concessionaria o da una società da essa interamente controllata o dalla sua controllante, purchè al 100%, che svolge, indipendentemente dalla sede di lavoro, una delle seguenti funzioni sull’impianto di distribuzione oggetto di gara: installazione e manutenzione condotte e impianti; allacciamento clienti; direzione lavori; programmazione lavori, coordinamento tecnico realizzazione impianti, coordinamento tecnico gestione impianti, reperibilità, gestione e movimentazione odorizzante, ricerca dispersioni, attività di accertamento della sicurezza degli impianti, aggiornamento cartografico, gestione automezzi, progettazione di dettaglio, protezione catodica, manutenzione impianti di telecontrollo, budgeting e reporting costi operativi, gestione dei cicli di lettura dei contatori, gestione degli approvvigionamenti e dei magazzini locali, posa, sostituzione e spostamento contatore; pronto intervento; lettura contatori; gestione della qualità del servizio specifica dell’impianto. E’ escluso dalla definizione il personale che svolge una delle funzioni centrali.

2. Funzioni centrali sono la direzione dell’impresa, l’ingegneria, il vettoriamento, le tariffe e il rapporto con le istituzioni e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, la gestione centralizzata della qualità del servizio, il servizio legale, i servizi amministrativi, la gestione del personale, il servizio di supporto informatico, il call center, la gestione del patrimonio e dei servizi.

Art. 2. Tutela dell’occupazione del personale.

1. Il personale addetto alla gestione degli impianti di distribuzione del gas naturale oggetto di gara e una quota parte del personale che svolge funzioni centrali di supporto all’attività di distribuzione e misura degli impianti stessi è soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro e salvo espressa rinuncia degli interessati, al passaggio diretto ed immediato al gestore subentrante, con la salvaguardia delle condizioni economiche individuali in godimento, con riguardo ai trattamenti fissi e continuativi e agli istituti legati all’anzianità di servizio. (…).

Il decreto ministeriale ha previsto, in caso di subentro di altra impresa nell’attività di distribuzione del gas, un presupposto giustificativo, esterno rispetto alla volontà del datore di lavoro (l’appartenenza al personale addetto alla gestione degli impianti e al personale che svolge funzioni centrali), che abilita il datore di lavoro a ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La garanzia del passaggio dal datore originario all’impresa subentrante, di natura regolamentare, mira ad assicurare la salvaguardia dei livelli occupazionali, ma lascia distinti i rapporti lavorativi, sicchè non solo una fonte normativa di rango secondario non potrebbe mai escludere la tutela legale che sanziona il recesso illegittimo, ma neppure sarebbe invocabile trattandosi di distinti rapporti contrattuali rispetto ai quali differenti sono le obbligazioni e responsabilità datoriali. Pertanto, nelle ipotesi di subentro di altra impresa nella concessione relativa alla distribuzione del gas, l’originario datore di lavoro, sarà tenuto a dimostrare la sussistenza del presupposto di natura organizzativo e produttivo che legittima il recesso (delineato dal D.M. e consistente nella perdita dell’appalto e nell’appartenenza del lavoratore prescelto ad una delle due categorie di personale delineate dall’art. 2 D.M.) e l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre posizioni lavorative compatibili.

Orbene, nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, per la giurisprudenza di questa Corte, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (v. Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).

In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). In analoga prospettiva si è puntualizzato che il ricorso a detti criteri resti giustificato non tanto sul piano dell’analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti dal predetto L. n. 223 del 1991, art. 5 uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (cfr. Cass. n. 6667 del 2002 e giurisprudenza ivi citata in motivazione; cfr. da ultimo Cass. n. 19732 del 2018).

Pertanto, non è in grado di determinare la cassazione della sentenza impugnata nemmeno il secondo mezzo di gravame della società che non spiega perchè la Corte milanese avrebbe errato a ritenere violato il consolidato principio di legittimità in base al quale – a fronte dell’esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, di ridurre di una o più unità il numero dei dipendenti dell’azienda – nella scelta del lavoratore licenziato, tra più lavoratori appartenenti alla “quota parte del personale adibiti a funzioni centrali di supporto” e occupati in posizione di piena fungibilità, occorre rispettare le regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. e può riferirsi, quali idonei parametri standards al fine di scegliere i lavoratori da licenziare, ai criteri previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5.

9. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

La sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134). L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta)”.

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.

La Corte distrettuale ha, invero, rilevato come fosse pacifico che ” B., alla data del licenziamento, era inserito all’interno dell’ufficio sistemi informativi ACSM; che il responsabile dell’ufficio sistemi informativi era il signor S.F. che coordinava, per quanto rilevante nella fattispecie, le prestazioni degli addetti al sistema JDE, cioè B. e C., nonchè le prestazioni di Co., unico addetto all’applicativo Terranova, proprio della distribuzione del gas”. Ha, poi, aggiunto che “dalla istruttoria orale svolta non siano invece emersi i criteri che hanno condotto ACSM-AGAM a scegliere fra gli addetti all’ufficio sistemi informativi la persona del B. invece di altri ed in particolare di C., addetta, come B., al software JDE”, concludendo, pertanto, per la violazione dei criteri di buona fede e correttezza che – a parità di mansioni fungibili – debbono presidiare la scelta del datore di lavoro.

10. Va rilevato che altre cause discusse nella medesima udienza (in relazione alle quali sono state confermate le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato legittimi i licenziamenti ivi impugnati nei confronti di ACSM AGAM s.p.a.) hanno – concordemente alla presente causa – confermato la ricostruzione esegetica della risoluzione del rapporto prevista dal D.M. 21 aprile 2011 quale licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma hanno avuto esito differente in considerazione del diverso quadro probatorio concernente i requisiti dettati dalla L. n. 604 del 1966, art. 3.

11. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

12. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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