Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16856 del 05/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16856 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 6919-2008 proposto da:
ITAL.GE .SU

ITAL

GESTIONE

SUPERMERCATI

SRL

IN

FALLIMENTO in persona del Curatore Fallimentare pro
tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato

PANARITI PAOLO, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 05/07/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controrícorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI VITERBO;

intimato

di ROMA, depositata il 24/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/05/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato BUZZI delega
Avvocato PANARITI che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DE SOCIO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per il
rigetto del ricorso con eventuale correzione della
motivazione.

avverso la sentenza n. 211/2006 della COMM.TRIB.REG.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Curatore fallimentare della Ital.Ge.Su. s.r.1., con ricorso del 5.3.2002, impugnava innanzi alla
CTP di Viterbo il silenzio rifiuto avverso la domanda di rimborso IVA di £.223.000.000 presentata
il 31.3.1999 ai sensi dell’art.30 dpr n.633/1972 al concessionario per la riscossione per crediti
esposti nella dichiarazione dei redditi per l’anno 1998, contestando la sospensione del rimborso
disposta il 7 maggio 1999 dopo che la Guardia di Finanza, con p.v.c. del 5.5.1999, aveva accertato
l’assenza di indicazioni circa l’esistenza della società all’indirizzo indicato come sede sociale.

esito adottava gli avvisi di rettifica delel dichiarazioni annuali IVA relativi agli anni di imposta
1996e 1997.
2. L’Agenzia delle Entrate, costituitasi, sosteneva la legittimità della sospensione evidenziando che
erano stati notificati alla società due avvisi di rettifica per le dichiarazioni annuali 1996 e 1997 dai
quali risultava un credito erariale di £.1.541.854.000.
3. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso, evidenziando che gli avvisi indicati dall’Ufficio erano
stati annullati per effetto dei ricorsi proposti dalla società e condannava l’Ufficio al rimborso del
credito preteso, maggiorato di interessi legali, ma non della svalutazione monetaria.
4. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate innanzi alla CTR del Lazio veniva accolto con
sentenza depositata il 24 gennaio 2007.
4.1 Secondo la CTR il contenzioso relativo agli avvisi relativi agli anni 1996 e 1997 non era stato
definito con sentenza passata in giudicato. Peraltro, la CTP di Roma aveva respinto il ricorso
proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno 1998 con il
quale l’Ufficio aveva contestato la indebita detrazione ai fini IVA di un credito di £.2.767.524.000,
nonché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per £.1.450.406.000.
4.2 Aggiungeva che la tesi dell’Ufficio per cui la società contribuente era stata costituita in modo
simulato per finalità esclusivamente tributarie e per salvaguardare il patrimonio immobiliare della
società interposta era stata conclamata da elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, idonei a
confermarne la fondatezza.
4.3 Specificava, in particolare, che dalle indagini svolte dalla GDF era emerso che la società non
aveva né una struttura fisica né personale dipendente, né alcun tipo di organizzazione che potesse
consentire lo svolgimento di un’effettiva attività e che attorno ad un complesso immobiliare da
adibire ad ipermercato erano state costituite, secondo il sistema delle c.d.scatole cinesi, numerose
società con capitale limitato, tutte riconducibili alla famiglia di Sensi Socrate.
4.4 Aggiungeva che la ITAL Ge.Su. aveva preso in locazione tale immobile per la durata di sei
anni, accollandosi un canone consistente pur senza utilizzare l’immobile, sicuramente superiore a
quello che avrebbe potuto ricevere dalle successive sublocazioni, impegnandosi ad eseguire lavori

Peraltro, con successivo p.v.c. del 5.7.2001 l’Ufficio contestava la natura fittizia della società ed in

di ristrutturazione per oltre dieci miliardi senza concordare alcun diritto di riscatto o di rinnovo del
contratto di locazione.
4.5 Evidenziava poi che la Leasing Roma spa, proprietaria dell’immobile, oltre a percepire i canoni
locativi, aveva beneficiato della ristrutturazione senza oneri e rischi, mentre le società locatarie
avevano sostenuto gli oneri, diventando creditrici di consistenti importi IVA per i relativi costi
sostenuti per poi essere dichiarate fallite.
4.6 Precisava, ancora, che gli amministratori erano stati sottoposti a procedimento penale per

Ge.Su. e delle altre società che si erano alternate nella conduzione dell’immobile era stata
finalizzata all’affidamento fittizio della gestione del complesso industriale, salvaguardando la
società proprietaria dai rischi gestionali e conseguendo il diritto al rimborso di rilevanti importi
IVA. Era pertanto illegittima la pretesa di operare le detrazioni di imposta, in presenza di acquisti
operati da imprese che avevano operato in modo simulato e per fittizia interposizione. Doveva,
allora, considerarsi legittimo l’operato dell’Ufficio che aveva negato il rimborso richiesto dalla
società.
5. La curatela del fallimento della Ital.Ge.Su s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a
quattro motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Con il primo motivo la curatela della società contribuente ha dedotto violazione dell’art.57
d.lgs.n.546/1992, 345 e 112 c.p.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. Lamenta che l’Agen4a
aveva introdotto con l’atto di appello motivi nuovi a giustificazione del provvedimento di
sospensione adottato a fronte dell’istanza di rimborso, rispetto ai quali non aveva accettato il
contraddittorio. Detti elementi erano rappresentati dalla mancata presentazione della dichiarazione
dei redditi per l’anno 1998 e dall’esistenza di ragioni di credito correlate ad avvisi di rettifica relativi
agli anni 1996 e 1997, in relazione ai quali non erano stati emessi autonomi provvedimenti
sospensivi. E poiché la CTR aveva fondato la decisione su siffatti elementi, risultava palese la
violazione dell’art.57 cit.
7. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, evidenziando che fin dalla costituzione nel
giudizio di primo grado, nel quale incombeva peraltro sul ricorrente contribuente l’onere di
dimostrare l’esistenza del credito preteso, aveva evidenziato l’insussistenza del preteso credito in
ragione dell’esistenza di elementi dai quali risultava che la società era stata costituita al solo scopo
di ottenere indebiti rimborsi IVA e che l’ufficio aveva emesso avvisi di rettifica per gli anni di
imposta 1996 e 1997.
8. La censura e’ priva di fondamento.

bancarotta fraudolenta e che lo svolgimento dei fatti dimostrava come la costituzione della Ital

8.1 Coglie nel segno la difesa dell’Agenzia nel rilevare che nel giudizio connesso al rifiuto
dell’amministrazione di riconoscere il credito reclamato dal contribuente, e’ quest’ultimo che assume
la veste di attore in senso formale e sostanziale, ricadendo sul medesimo l’onere di dimostrare la
ricorrenza dei presupposti giustificativi della pretesa indebitamente rifiuta dall’Ufficio. Ed è
appunto in tale giudizio che si innesta la questione della validità del provvedimento di sospensione
adottato dall’amministrazione che, per effetto dell’art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472,
consente in via generale la sospensione dei pagamenti di crediti in favore di contribuenti autori di

definitivi-cfr. Cass . n. 16535 del 14/07/2010-.
8.2 Ora, risulta che l’Agenzia, fin dalla costituzione del giudizio di primo grado, ha contestato il
credito IVA, assumendo che la società era stata costituita al solo fin di ottenere indebiti rimborsi di
imposta. Di tale circostanza da’ atto espressamente la stessa curatela del fallimento a pag. 4 periodo
4 del ricorso- oltrechè l’Agenzia a pag.3 del controricorso-. E, del resto, che già in primo grado
l’Ufficio avesse evidenziato, a conferma del proprio assunto difensivo, l’esistenza di avvisi di
rettifica emessi nei confronti della società per gli anni 1996 e 1997 risulta incontestabilmente dalla
sentenza impugnata, in cui si dà atto che la CTP di Viterbo aveva accolto i ricorsi della società,
ritenendo pertanto che gli stessi erano stati privati dal valore originario.
8.3 Ciò consente di ritenere che all’interno del giudizio intentato dalla società contribuente la
prospettata novità degli elementi addotti dall’Agenzia in fase di appello non coglie nel segno, ove
anche si consideri che l’Ufficio era certamente titolato ad eccepire in giudizio fatti estintivi o

modificativi della pretesa patrimoniale e che l’oggetto del ricorso giudiziario proposto dalla
società contribuente era rappresentato, come detto, oltre che dalla legittimità delle ragioni addotte
dall’amministrazione a sostegno del provvedimento di sospensione anche dalla illegittimità del
silenzio rifiuto sulla richiesta di rimborso. Ragion per cui la decisione del giudice di appello, che ha
capovolto l’esito del giudizio di primo grado, ritenendo che l’annullamento ad opera della CTP— non
ancora divenuto definitivo- delle rettifiche relative agli anni 1996 e 1997 non poteva giustificare il
riconoscimento del rimborso, si e’ mossa nel solco delle difese già esposte dall’Agenzia in primo
grado, disattendendo la richiesta di rimborso e ritenendo, inoltre, l’assenza dei presupposti
giustificativi per l’accoglimento della domanda, sulla base di quanto sostenuto dall’Agenzia a
proposito del carattere simulato della società e della finalità realmente perseguite dal sodalizio.
8.4 Ed è appena il caso di rammentare che non e’ stato in alcun modo valorizzato dal giudice di
appello l’elemento della omessa dichiarazione dei redditi al quale ha fatto riferimento la parte
ricorrente, mentre quello relativo al procedimento penale a carico degli amministratori della società
non poteva certo annoverarsi fra le eccezioni nuove, inscrivendosi, semmai fra gli elementi
difensivi a sostegno di quanto già esposto, sicuramente prospettabili anche in sede di gravame

violazioni finanziarie, raggiunti da atti di contestazione o di irrogazione di sanzioni, ancorché non

anche attraverso il deposito di nuovi documenti, ammessi nel procedimento tributario alla stregua
dell’art.56 d.p.r. n.546/92.
8.5 La censura va pertanto disattesa.
9. Con il secondo motivo la società contribuente prospetta il vizio di omessa motivazione sul fatto
controverso e decisivo del giudizio, rappresentato dalla legittimità del provvedimento di diniego
del rimborso, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che il giudice di appello, invece di
valutare la legittimità dell’operato dell’Ufficio a fronte della richiesta di rimborso, avevano esteso il

centrale, rappresentato dalla legittimità del diniego sul presupposto che la società era priva di sede
leale. Ed infatti la CTR aveva omesso di considerare il trasferimento della società, come si evinceva
dalla documentazione prodotta in giudizio. Aggiungeva che, in punto di diritto, la normativa in
tema di rimborsi non disponeva alcunché sul punto e che solo per gli accertamenti successivi alla
corresponsione del rimborso- circostanza non ricorrente nella specie- l’art. 38 bis cit. richiedeva
idonea garanzia a copertura del credito.
10. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, rilevando la congruità della motivazione.
11. Il motivo è infondato.
11.1 Ferme le precisazioni in ordine al contenuto del giudizio relativo al diniego di rimborso per
come precisati esaminando il primo motivo di ricorso, il giudice di appello ha pienamente e
congruamente esposto le ragioni posti a base della decisione di rigetto del ricorso e, dunque, della
legittimità del diniego proveniente dall’Ufficio, ritenendo conclamato un quadro di presunzioni
gravi, precise e concordanti in ordine alla illegittimità delle detrazioni di imposta operate dalla
società rispetto ad acquisti provenienti da imprese che avevano operato, in modo simulato insieme
alla società contribuente, al fine di realizzare ed ottenere falsi rimborsi IVA.
11.2 Ne consegue che la censura di omessa motivazione sul fatto controverso del trasferimento
della sede che giustificò il provvedimento di sospensione e’ infondata, senza peraltro tacere che il
motivo di ricorso, individuando il fatto controverso, risulta privo del requisito di specificità nella
parte in cui ha omesso di indicare in quale circostanza processuale e’ stata data la prova del
trasferimento di sede che, a tutto voler concedere, non avrebbe comunque potuto rappresentare un
elemento idoneo a dimostrare la fondatezza del credito preteso dalla società medesima.
12. Con il terzo motivo di ricorso la società ha dedotto il vizio di insufficiente motivazione in
relazione all’art.2729 c.c. ed all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la ricostruzione operata
dalla CTR circa il carattere fittizio della società contribuente e delle attività da questa poste in
essere prendendo in locazione un immobile facente parte del patrimonio riconducibile alla famiglia
di Sensi Socrate che controllava un gruppo di società, pagando un elevatissimo canone senza
utilizzare il cespite immobiliare ed impegnandosi ad eseguire lavori di ristrutturazione sullo stesso

giudizio ad altri fatti e circostanze, irrilevanti o ininfluenti, tralasciando di considerare l’elemento

per oltre dieci miliardi tanto da diventare creditrice di consistenti importi di IVA si era basata su
elementi documentali raccolti dall’Ufficio senza contraddittorio, tralasciando l’esame di altri fatti
non meno rilevanti che, se correttamente rilevanti, avrebbero dimostrato il carattere reale delle
attività poste in essere dalla società, peraltro documentate anche da rilevanti operazioni
commerciali, non risultando nemmeno che gli immobili presi in locazione fossero riconducibili alla
famiglia di Sensi Socrate. E poiché doveva presumersi che tutte le attività poste in essere dalla
società diverse da quelle indicate nella norma anti elusiva introdotta dal d.lgs.n.313/97 fossero

caratteri indicati dall’art.2729 c.c. e risultavano per di più smentite dai fatti.
13. L’Agenzia ha dedotto l’inammissibilità della censura e la sua infondatezza.
14. Il motivo è inammissibile.
14.1 E’ noto che a questa Corte e’ impedito il controllo in ordine alle valutazioni compiute dal
giudice di merito sulle emergenze probatorie, alla stessa residuando soltanto il compito di verificare
la congruità, logicita’ o contraddittorietà della motivazione.
14.2 Orbene, la società contribuente, nella censura qui esamina, prospetta, in realtà, una
ricostruzione fattuale diversa da quella posta a base della decisione che non e’ consentito alla Corte
di esaminare, non riscontrandosi elementi di illogicità o manifesta incongruità nella motivazione
impugnata, nella parte in cui ha desunto l’insussistenza del credito per rimborso IVA in ragione
della fittizieta’ delle detrazioni operate sulla base di acquisti provenienti da società facenti capi alla
medesima famiglia rispetto alle quale la società contribuente, priva di struttura e dipendenti,
costituiva uno degli elementi posti in essere al fine di realizzare indebiti rimborsi IVA. E poiché la
società contribuente nemmeno ha indicato in modo analitico e specifico gli elementi di segno
contrario non esaminati dal giudice di appello che avrebbero reso manifesta la soluzione contraria a
quella alla quale e’ pervenuta la CTR la censura, anche sotto tale profilo e’ inammissibile.
15. Con l’ultimo motivo la società prospetta la violazione dell’art.38 bis DPR n.633/1972, in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che l’Ufficio non aveva mai contestato la
sospensione del credito per la sussistenza del reato di emissione o annotazione di operazioni
inesistenti, nemmeno pendendo procedimento penale a carico degli amministratori della società, per
cui la CTR aveva errato nell’accogliere l’appello sulla base dell’art.38 bis DPR n.633/1972. Ne’
poteva ritenersi che ricorresse l’ipotesi di restituzione a carico del contribuente del credito per
accertamenti o rettifiche successive alla corresponsione del rimborso.
16. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, non avendo la CTR fondato le proprie
valutazioni sull’art.38 bis DPR n.633/72, avendo richiamato in fase di gravame l’esistenza del
procedimento penale per bancarotta solo al fine di confermare l’inattendibilità della contabilità
aziendale.

rilevanti ai fini IVA, le affermazioni della CTR erano ben lungi dal costituire presunzioni dotate dei

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17. La censura e’ inammissibile, non risultando che la stessa sia stata prospettata dalla società
contribuente fin dal ricorso introduttivo e, successivamente, riproposta in fase di appello.
17.1 La stessa è comunque infondata, posto che l’amministrazione ha rifiutato di corrispondere il
rimborso per come ha ammesso la società contribuente a pag.2 ultimo periodo del ricorso e che la
stessa, per come emerge dalla sentenza impugnata- pag.2 1^ periodo- ha impugnato il silenzio
rifiuto sull’istanza di rimborso, contestandone la legittimità.
18. Il ricorso va quindi rigettato.Segue la condanna alle spese della ricorrente

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in favore
dell’Agenzia in euro 12.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 21 Maggio 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile.

P.Q.M.

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