Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16854 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 07/08/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 07/08/2020), n.16854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2945-2015 proposto

M.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE NASTASI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE – A.S.P. di SIRACUSA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NOMENTANA 402, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO

PATTI, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO CANNIZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 695/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 08/07/2014 R.G.N. 613/2009.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. M.G., dirigente di primo livello (aiuto) presso la Asl di Siracusa, dal 16.10.1996 al 31.8.2000 ha svolto le funzioni di dirigente di secondo livello (primario) del reparto di ginecologia-ostetricia, a causa della mancanza del titolare, improvvisamente deceduto e per il corrispondente periodo ha ottenuto (dapprima, fino al 30.6.1998, sulla base di ordinanza cautelare del T.A.R. e poi, dal 1.7.1998 al 31.8.2000, in forza di sentenza n. 645/2004 della Corte d’Appello di Catania, passata in giudicato) le corrispondenti differenze retributive;

svolta selezione pubblica, l’incarico apicale presso quel reparto, dal 1.9.2000 al 28.2.2001, è stato svolto da tale Dott. F., poi dimessosi anche a seguito di sospensione della sua nomina da parte del Tribunale Amministrativo Regionale;

per l’ancora successivo periodo dal marzo 2004 all’aprile 2005, la dirigenza del reparto era stata invece interinalmente attribuita a certo Dott. A., la cui nomina era stata però dichiarata nulla in sede giudiziale (sentenza 440/2006 del Tribunale di Siracusa), con condanna della Asl al pagamento in favore del M. delle differenze retributive, in ragione del fatto che l’incarico avrebbe dovuto essere a lui affidato, in quanto in possesso di maggiori titoli;

per il periodo intermedio dal 1.3.2001 al marzo 2004 – che è quello oggetto della presenta causa – il M. ha parimenti richiesto il pagamento delle differenze retributive, sul presupposto di avere “automaticamente ed obbligatoriamente”, pertanto “di fatto””, assunto la responsabilità della medesima, quale medico munito dei maggiori titoli, ma la sua domanda è stata respinta dal Tribunale di Siracusa, con sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Catania;

2. la Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 645/2004, con la quale era stato riconosciuto il diritto del M. alle differenze retributive per il periodo dal 1998 al 2000, non avesse considerato sufficiente, al fine di ottenere il trattamento rivendicato, la prova che il ricorrente fosse il medico maggiormente munito di titoli per far sorgere il diritto alla retribuzione del direttore nel reparto, richiedendo anche la prova dello svolgimento di fatto dell’attività apicale;

pertanto, quel giudicato non esonerava il M. dalla prova dello svolgimento di fatto di tale attività apicale anche nel periodo oggetto di questa causa;

rispetto a tale circostanza, pur essendo stata la stessa allegata, non vi era stata offerta di prova e ciò comportava, secondo la Corte d’Appello, il rigetto della domanda;

3. avverso tale pronuncia il M. ha proposto due motivi di ricorso, cui ha resistito la Asl con controricorso ed infine entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione della L. n. 128 del 1969, art. 7 e D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29 nonchè dell’art. 2697 c.c., sostenendosi che, in forza delle norme speciali sopra richiamate, fatti costitutivi del diritto-dovere di svolgere le mansioni di dirigenza apicale del reparto fossero la vacanza del posto e il possesso dei maggiori titoli fra i dirigenti della medesima struttura, sicchè, in presenza di tali presupposti, era semmai onere della P.A. dimostrare che le mansioni superiori fossero state invece svolte da altro sanitario della struttura;

1.1 il motivo va disatteso;

1.2 non vi è dubbio che dal D.P.R. n. 128 del 1969, art. 7 si desumano i criteri per stabilire in qual modo la struttura sanitaria possa sopperire, in ipotesi di assenza, impedimento del primario, o nei casi di urgenza, prevedendosi a tal fine la sostituzione del medesimo da parte dell’aiuto e che, tra più aiuti della stessa divisione o dello stesso servizio la sostituzione del primario spetti all’aiuto con maggiori titoli;

si tratta tuttavia di norma che, oltre a risultare superata dalla disciplina sopravvenuta di cui infra, non è in sè sola decisiva per il riconoscimento del diritto retributivo rivendicato;

la collocazione della norma nell’ambito normativo di disciplina dell’ordinamento interno dei servizi ospedalieri (così l’intitolazione del D.P.R.) in una sezione destinata alle norme generali sui servizi di diagnosi e cura ed in articolo relativo alle attribuzioni dei primari, aiuti ed assistenti, rende evidente che si tratta di norma di rilievo primariamente organizzativo, finalizzata a regolare, per quanto qui interessa, le modalità di sostituzione dei primari impediti;

ne deriva che, al fine del determinarsi delle conseguenze economiche in favore dei sostituti, come giustamente ritenuto dalla Corte territoriale, è necessario che la sostituzione abbia effettivamente avuto luogo, in forza di incarico formale (pacificamente mancato) o in via di fatto;

tale prova non è per nulla difficoltosa e dunque, considerando ciò in una con il menzionato rilievo primariamente organizzativo della disposizione, neppure si giustifica l’ipotesi, formulata dal ricorrente, di una presunzione iuris tantum in favore di chi, trovandosi nelle condizioni giuridiche ivi previste, avrebbe dovuto operare come sostituto;

nulla di concreto viene poi addotto rispetto alla valutazione della Corte territoriale in ordine alla mancanza di tale prova e dunque la sentenza resiste all’impugnativa;

1.3 ad abundantiam, si deve osservare come, nel periodo qui in considerazione, già operassero i diversi criteri sostitutivi di cui al c.c.n.l. 8.6.2000 (art. 18) sicchè il richiamo all’art. 7 cit. risulta anche in sè superato, come superata è la corrispondente causa petendi che, come si evince dalle conclusioni di primo grado riportate nel ricorso per cassazione, fu fondata sui presupposti fattuali di cui al già menzionato D.P.R.;

anche a voler avere riguardo alla corretta normativa, peraltro, solo l’effettivo svolgimento dei compiti sostitutivi, di cui permane la carenza di prova, potrebbe giustificare il riconoscimento di differenze retributive, come si evince dal citato art. 18, comma 7 ove il diritto è riconosciuto a favore del dirigente medico “incaricato della sostituzione”;

1.4 quanto infine al giudicato maturato inter partes per altro periodo, dal luglio 1998 al maggio 2000, tra l’altro neppure in continuità con quello oggetto di causa, è da rilevare che la sentenza da cui esso deriverebbe, oltre a non risultare trascritta nella sua interezza, non esimeva comunque il ricorrente dall’assolvere all’onere probatorio mancato;

vale infatti, mutatis mutandis, il principio per cui nel pubblico impiego contrattualizzato, non potendosi avere acquisizione di diritto di un incarico sulla base dello svolgimento di fatto di certe attività, al fine del riconoscimento del diritto alle sole differenze retributive per un periodo successivo a quello coperto da un pregresso giudicato, permane comunque l’onere per il lavoratore di dimostrare il reiterarsi di tali attività (qui, svolgimento di fatto di incarico apicale) anche in detto successivo arco temporale (Cass. 15 luglio 2019, n. 18901);

2. come secondo motivo è indicata una presunta violazione dell’art. 92 c.p.c., sul presupposto che le spese dei due gradi di merito avrebbero dovuto essere poste a carico della controparte, attesa la fondatezza della domanda attorea;

si tratta di motivo mal posto, in quanto la Corte territoriale, confermando la reiezione di quella domanda già pronunciata in primo grado, giustamente ha disposto sulle spese dell’appello secondo soccombenza e quindi ponendole a carico del M.;

una diversa pronuncia sulle spese potrebbe quindi conseguire solo all’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione sui profili riguardanti la fondatezza della pretesa di merito, ma già si è detto che viceversa l’impugnativa è infondata;

3. le spese del grado vanno quindi regolate anch’esse secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

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