Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16853 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 15/06/2021), n.16853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet T – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 804/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Euroteam s.r.l. con unico socio, in persona del L.R. pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avvocato Maurizio Villani, con domicilio

eletto presso lo studio in Lecce, via Cavour 56;

– resistente –

Equitalia Lecce s.p.a. in persona del L.R. pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Puglie, sez. Staccata di Lecce n. 306/24/13, depositata in data

19/11/2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/1/2021 dal

Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– la Commissione tributaria provinciale di Lecce (CTP) con sentenza n. 748/01/08, depositata il 28/2/2007, ha accolto il ricorso della società Euroteam S.r.l. (di seguito, la contribuente o la ricorrente) proposto avverso la cartella di pagamento emessa per l’importo di Euro 82.864,99, a titolo di Iva, interessi e sanzioni, per l’anno di imposta 2003;

– in precedenza, la contribuente aveva presentato dichiarazione di condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, ex art. 9-bis, per definire omessi versamenti per gli anni di imposta 2002 e 2003, ma, a fronte di un debito di Euro 202.534,00, da versare in tre rate, aveva effettuato un versamento di importo inferiore al dovuto, per cui, l’agenzia delle entrate aveva comunicato un provvedimento di diniego di condono; tale atto era stato impugnato innanzi alla CTP che aveva accolto il ricorso con sentenza n. 758/01/07, del 7/2/2007, depositata il 28/02/2008, oggetto di impugnazione, non ancora definita;

– la sentenza n. 748/01/08 è stata impugnata dall’agenzia delle entrate;

– la Commissione tributaria regionale delle Puglie, sezione staccata di Lecce (CTR), con sentenza n. 306/24/13, depositata il 19 novembre 2013, ha accolto l’appello dell’ufficio in merito al diniego di condono, ma lo ha rigettato limitatamente alla cartella esattoriale che è stata annullata;

– a giustificazione della decisione, la CTR ha rilevato che – a) il condono introdotto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, aveva natura clemenziale ed era condizionato al pagamento integrale delle rate dovute nei termini previsti dalla normativa, per cui, correttamente, l’agenzia delle entrate aveva emesso il provvedimento di diniego di condono; – b) era fondata la doglianza relativa al difetto di motivazione della cartella “poichè non si comprende l’iter seguito per la determinazione dei valori riportati; la chiarezza è elemento essenziale per instaurare sia un valido contraddittorio sia un altrettanto valido ricorso introduttivo”;

– la sentenza è stata impugnata dall’agenzia delle entrate sulla base di un solo motivo; – la contribuente resiste con controricorso; – Equitalia è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente, dal momento che, diversamente da quanto sostenuto, il ricorso in esame contiene specifiche, intellegibili ed esaurienti argomentazioni, dirette a motivatamente censurare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, anche evidenziandone la contrarietà con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità;

– con l’unico motivo di ricorso, l’agenzia deduce violazione e falsa applicazione e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, commi 1 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): in sintesi, si ritiene che per la cartella di pagamento “emessa su iscrizione a ruolo derivante dal semplice controllo dei dati forniti dal contribuente l’esigenza di motivazione è ben più limitata”, dal momento che, essendo l’accesso alla procedura di condono consentita al contribuente per provvedere ai versamenti d’imposta dichiarati ed omessi, il medesimo poteva risalire alle motivazioni alla base della pretesa impositiva dal semplice raffronto con i dati della dichiarazione;

– il ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza e deve essere rigettato;

– anche la cartella di pagamento, in quanto atto impositivo, deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto e di diritto che hanno originato la pretesa (2023/14); tuttavia, con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto tanto per l’avviso di accertamento, quanto per la cartella di pagamento (D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25), questa Corte ha già avuto modo di precisare che la verifica dell’osservanza dell’obbligo dell’Ufficio finanziario di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del proprio atto va riscontrata non in astratto, ma alla luce delle finalità che tale obbligo è chiamato ad assolvere, ravvisabili, da un lato, nel mettere a conoscenza il contribuente dell’an e del quantum della pretesa fiscale, anche per consentirgli eventualmente di difendersi in modo adeguato, e, dall’altro, di delimitare le ragioni dell’Ufficio nella successiva ed eventuale fase contenziosa (Cass., n. 26485 del 2008; Cass. n. 27653 del 2005; Cass. n. 13094 del 2002);

– in particolare, quando si proceda alla liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, si è ripetutamente affermato che il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (8137/12; 10033/11; 26671/09) o agli estremi del provvedimento di diniego. Tuttavia, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, quando si censuri il giudizio sulla adeguatezza della motivazione è necessario trascrivere, o quantomeno sunteggiare adeguatamente, il contenuto della cartella, onde consentire alla Corte di cassazione di valutare la fondatezza della censura in base alla sola lettura del ricorso e senza necessità di esaminare atti extraprocessuali, e verificare, se il giudizio di inadeguatezza della motivazione formulato dal giudice di merito abbia o meno consentito di instaurare “sia un valido contraddittorio sia un altrettanto valido ricorso introduttivo”; nel caso in esame, in mancanza di trascrizione dell’impugnata cartella nel corpo del ricorso (che non è stata neppure prodotta in questa sede), non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto dell’atto rispetto a quanto asserito dal contribuente; ciò comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone appunto la certa conoscenza del tenore della cartella in discorso (Cass., sez. 5, 29/7/2015 n. 16010, Rv. 636268- 01; v. anche Cass., sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839 – 01, sull’adempimento dell’onere di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., e Cass., sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120 – 01). Tale principio, al quale il Collegio intende dare continuità, è stato affermato anche con specifico riferimento all’ipotesi, analoga a quella in esame, in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale ma amministrativo (Cass., sez. 5, 3 dicembre 2001, n. 15234, Rv. 550767 – 01): in tale caso, infatti, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass., sez. 5, 28/06/2017, n. 16147, Rv. 644703 – 01; Cass., sez. 5, 13/02/2015, n. 2928, Rv. 634343 -01). Il medesimo principio va affermato anche con riferimento alla cartella di pagamento, avendo anch’essa natura sostanziale e non processuale;

– le spese seguono la soccombenza e vengono quantificate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.000,00, oltre rimborso forfettario 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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