Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16853 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/08/2016, (ud. 05/11/2015, dep. 09/08/2016), n.16853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14203-2014 proposto da:

V.W., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e

difeso dall’avv.to VITTORIO GOBBI, come da procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTO TORINO, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei

Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6265/2013 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2015 dal Consigliere Dr. Ippolisto Parziale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V.W. impugna la sentenza 24/10/2013 n. 6265/2013, non notificata, del Tribunale di Torino, che ha rigettato il suo appello avverso la sentenza del giudice di pace che, a sua volta, aveva respinto la sua opposizione alla sanzione amministrativa relativa alla violazione dell’art. 141 C.d.S., comma 3 e art. 146, comma 3.

2. In fatto, la sentenza impugnata chiarisce che l’odierno ricorrente aveva eccepito avanti al giudice di pace, nella vigenza del D.Lgs. n. 150 del 2011, l’insussistenza della/e violazione/i, l’insufficienza di prove della responsabilità, l’inapplicabilità (ex L. n. 2248 del 1865, art. 4 e 5 all. E). della sanzione di cui all’art. 146 C.d.S., comma 3 sulla base della segnalazione emessa da un semaforo in funzione in un orario vietato dall’art. 169 reg. att. C.d.S..

3. – Precisa il ricorrente di aver prospettato in appello la inammissibilità e l’inutilizzabilità dei documenti tardivamente prodotti dalla Prefettura nonchè questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 10 (per contrasto con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali – C.E.D.U.), artt. 24, 25, 111 e 113, degli artt. 2699 e 2700 c.c., nella ipotesi della adesione alla giurisprudenza nazionale, secondo la quale ad un verbale di contestazione deve essere riconosciuto il valore di piena prova, fino a querela di falso, nonostante questo comporti l’applicazione d’una sanzione alla quale la Corte di Strasburgo attribuisce un “carattere penale”.

4. – Il ricorrente fa presente di aver riproposto le stesse questioni prospettate nell’appello rigettato dal Tribunale.

5. Formula cinque motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo si deduce: “Violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 3 nonchè falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7 e dell’art. 416 c.p.c., comma 3 (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3)”.

Il giudice dell’appello ha errato a non ritenere fondato il motivo di impugnazione col quale era stata denunciata la inammissibilità e l’inutilizzabilità dei documenti tardivamente prodotti dalla Prefettura (pure con fax), sulla base dei quali era stata ritenuta provata la contestata infrazione. La costituzione della Prefettura era avvenuta in violazione dei termini di cui all’art. 416 c.p.c., applicabile per effetto del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 7 in materia di opposizione al verbale di accertamenti di violazione del Codice della Strada di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204 bis. I documenti, inammissibili in primo grado (tra gli altri l’informativa degli agenti accertatori in data 11 dicembre 2012), dovevano ritenersi “nuovi” in appello. Il giudice dell’impugnazione li aveva invece posti a base della sua decisione (avendo fatto riferimento all’inseguimento del veicolo effettuato dagli agenti e non risultante dal verbale).

1.2 – Col secondo motivo si deduce: “Violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., con conseguente violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 all. E, e dell’art. 169 reg. att. C.d.S. nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn 4, 3 e 5)”. Il ricorrente aveva “eccepito la “violazione dell’art. 169 reg. att. C.d.S.”, la “falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. comma (rectius comma 1 – N.d.R.) C.P.C”, nonchè la “omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia,” in quanto il giudice di prime cure, da un lato, non aveva assolutamente verificato se il funzionamento del semaforo in questione, alle 23:45, fosse legale e, quindi, comunque conforme al dettato dell’art. 169 reg. art. C.d.S. (che consente deroghe al divieto di funzionamento tra le 23:00 e le 7:00 solo in presenza di particolari condizioni), e, dall’altro, non aveva debitamente tenuto conto del fatto che, a voler considerare “costituita” la Prefettura di Torino, quest’ultima, malgrado la puntuale censura in tal senso non aveva smentito l’illegittimità del funzionamento notturno di quel semaforo”. In mancanza di contestazione sul punto doveva ritenersi il funzionamento “illegale” del semaforo e la conseguente illegittimità della contestazione della violazione. Il giudice dell’impugnazione non si era pronunciato e comunque non aveva motivato sul punto.

1.3 – Col terzo motivo si deduce: “Violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 10, nonchè violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 9, dell’art. 7 C.E.D.U., degli artt. 2699 e 2700 c.c. degli artt. 41 e 146 C.d.S., e/o omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti l’art. 360 c.p.c., nn. 4, 3 e 5)”. Il ricorrente, quanto alla violazione dell’art. 146 C.d.S., comma 3, aveva rilevato che il giudice dell’impugnazione aveva ritenuto provata l’infrazione sulla base del solo verbale, ritenuto facente fede fino a querela di falso. Ma “a prescindere dall’effettiva fidefacienza privilegiata del verbale di contestazione”, le sole circostanze riportate nel verbale “(ove la violazione era stata così descritta: “proseguiva la mania nonostante la segnalazione semaforica emettesse luce rossa nell’intersezione di (OMISSIS)”)” non poteva consentire di “affermare che il sig. V. avesse (anche ed innanzitutto) “superato la striscia di arresto”, se non, al più, procedendo all’esame testimoniale dei verbalizzanti”, esame non disposto. La violazione in questione vieta il “prosieguo della marcia” quando ciò avvenga, “durante il periodo di accensione della luce rossa”(art. 41 C.d.S., comma 11) e solo se vi sia “il superamento della striscia di arresto, quando questa sia presente; l’impegno dell’intersezione, o dell’attraversamento pedonale, ovvero il superamento del segnale, allorquando manchi detta striscia”, circostanze queste non oggetto di prova, comunque non fornita.

1.4 – Col quarto motivo si deduce: “Violazione dell’art. 115, comma 1 e art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 10, nonchè violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c. dell’art. 141 e/o omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 4, 3 e 5)”. Il ricorrente, quanto alla violazione dell’art. 141 C.d.S., comma 3, oltre alle contestazioni già riportate al precedente motivo quanto al valore di prova attribuibile agli accertamenti degli agenti, aveva osservato che “i verbalizzanti avevano ascritto al sig. V. la violazione dell’art. 141 C.d.S. sulla base della seguente contestazione “in ore notturne procedeva alla guida del predetto autocarro a velocità non commisurata alle condizioni di visibilità tali da costituire pericolo per la circolazione””. Si trattava “d’una mera formula di stile, totalmente priva di dati oggettivi, e che riporta una situazione mediata dall’apprezzamento personale e dalla valutazione soggettiva dell’organo accertatore”. Di qui la necessità della relativa prova non fornita.

1.5 – Col quinto motivo si deduce: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 6, commi 2 e 3 C.E.D.U. e, dell’art. 13 C.E.D.U., degli artt. 47 e 48 della C.D.F.U.E., degli artt. 25, 111, 113 e 117 Cost., e/o omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 4, 3 e 5)”.

Il ricorrente aveva denunciato la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Tale denuncia era stata ignorata in primo grado e in appello era stata dedotta l’omessa pronuncia. Sul punto il giudice dell’impugnazione non si era pronunciato. Dopo aver illustrato ampiamente il motivo, il ricorrente chiede: a) “rimettersi gli atti alla Corte Costituzionale, affinchè verifichi la compatibilità, con gli artt. 25, 111 e 113 Cost. e art. 117 Cost. (comma 1), del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 2, comma 4 nella parte in cui prevede che, “salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’art. 421 c.p.c., comma 2, non vengono esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile”, ovvero dell’art. 2700 c.c. nella parte in cui espressamente non prevede che esso non si applichi ad un verbale di accertamento d’un infrazione amministrativa, sulla base del quale la Pubblica Amministrazione può esercitare un’azione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo considera di “carattere penale””; b) “rimettere, in alternativa, gli atti alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, affinchè verifichi, in via preventiva, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., la compatibilità con gli artt. 47 e 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 2, comma 4 nella parte in cui prevede che, “salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’art. 421 c.p.c., comma 2, non vengono esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile”, ovvero dell’art. 2700 c.c. nella parte in cui espressamente non prevede che esso non si applichi ad un verbale di accertamento d’un infrazione amministrativa, sulla base del quale la Pubblica Amministrazione può esercitare un’azione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo considera di “carattere penale””; c) “rimettere, ancora in alternativa, gli atti alle Sezioni Unite di codesta Suprema Corte affinchè verifichino la possibilità di dare, del D.Lgs. n. 130 del 2011, art. 2, comma 4 e dell’art. 2700 c.c., una nuova interpretazione, costituzionalmente orientata, e, quindi, verificare se la frase contenuta nel precitato D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 2, comma 4 “salvo che sia diversamente disposto” possa essere interpretata nel senso che, essendo diversamente disposto dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la persona incolpata d’una violazione amministrativa non è tenuta a proporre querela di falso contro il verbale di accertamento che gLi attribuisce la responsabilità per detta violazione, ed ha diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico”; d) cassare la sentenza impugnata.

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1 – Il primo motivo è infondato per quanto di seguito si chiarisce. Sulla natura del termine stabilito dal D.Lgs n. 150 del 2011, art. 7, comma 7 occorre osservare quanto segue.

Va premesso che il D.Lgs in questione, recante “Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 54” disciplina all’art. 7 “l’opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada”. Il primo comma di tale articolo afferma: “1. Le controversie in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204-bis, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”.

Il successivo comma 7 prevede quanto segue: “7. Con il decreto di cui all’art. 415 c.p.c., comma 2, il giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonchè alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso ed il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente ed ai soggetti di cui al comma 5”.

Il richiamo effettuato al rito del lavoro (contenuto nel comma 1 in via generale, salvo l’inciso finale e nel comma 7 limitatamente al solo art. 415) determina l’applicabilità dell’art. 416 c.p.c., secondo cui la costituzione dell’Amministrazione convenuta deve avvenire con deposito di memoria “almeno 10 giorni prima dell’udienza” (comma 1), memoria nella quale “devono essere proposte a pena di decadenza le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio” (comma 2). Infine, con la stessa memoria il convenuto “deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una genetica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare”.

Le norme processuali contenute nell’art. 416 c.p.c. non sono state modificate da alcuna disposizione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7 e, quindi, devono ritenersi applicabili anche nei confronti dell’Amministrazione convenuta, che non si costituisce in giudizio o che si costituisce tardivamente o che costituendosi tempestivamente non indichi, nella memoria di costituzione, i mezzi di prova o non depositi contestualmente la documentazione della quale intenda avvalersi.

In tali casi la sanzione a carico del convenuto è la decadenza, dovendosi al riguardo applicare le conseguenze che la giurisprudenza di legittimità ha organicamente delineato nei suoi molteplici arresti, anche quanto all’omesso deposito della documentazione di cui il convenuto intenda avvalersi in giudizio.

Peraltro, va tenuto conto che l’intervento legislativo è stato reso all’esito di una pluriennale esperienza sul particolare giudizio in questione, il cui nucleo essenziale è rappresentato dall’opposizione ad un atto della Amministrazione, contenente una sanzione, con conseguente necessità di adattamenti, specie per quanto riguarda la produzione in giudizio della documentazione della stessa Amministrazione strettamente riferibile alla adozione dell’atto sanzionatorio, oggetto appunto del giudizio di opposizione. Talchè, in passato non si è dubitato che il termine di 10 giorni, assegnato alla amministrazione appunto per il solo deposito di tali documenti, non potesse avere natura perentoria, proprio perchè, tra l’altro, consente una più compiuta conoscenza da parte del giudice e della stessa parte opponente di tutto ciò che è stato accertato e valutato dall’amministrazione ai fini della adozione e notifica dell’atto sanzionatorio.

La nuova normativa, da un lato, indica un termine per il deposito in giudizio della documentazione strettamente inerente l’atto opposto (comma 7) e, dall’altro, rende applicabile (comma 1) l’art. 416 c.p.c. con le relative preclusioni quanto alla documentazione da produrre, di cui l’Amministrazione intenda avvalersi.

Si tratta, quindi, di diversa documentazione, ben potendo, in astratto, la documentazione prevista e richiamata dall’art. 416 c.p.c. riguardare non solo quella strettamente connessa all’atto impugnato, ma tutta quella di cui l’amministrazione intenda avvalersi in giudizio, certamente più ampia della prima.

In tale contesto, si è di fronte ad una apparente duplicazione di norme, che rende necessario un coordinamento tra le stesse, per verificare se si tratti: a) di una mera ripetizione del contenuto di una norma già richiamata, rendendola quindi del tutto superflua; b) di una specifica regolamentazione del regime del deposito dei soli atti strettamente collegati all’atto sanzionatorio. Il coordinamento si rende necessario non solo in ragione della diversa ampiezza del contenuto documentale, ma anche in ragione del limite di applicabilità del rito del lavoro espressamente contenuto nell’ultimo inciso dell’art. 7, comma 1 (“ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”).

Alla luce dei limiti di applicabilità del rito del lavoro appena richiamati e in relazione alla specifica regolamentazione del deposito dei documenti prevista dal comma 7, ad avviso del Collegio, deve giungersi alla conclusione che il legislatore ha voluto specificamente regolare la sola questione del deposito in giudizio dei documenti strettamente collegati all’atto opposto. Tale specifica regolazione integra la deroga al rito del lavoro di cui all’inciso precedentemente richiamato.

Una volta stabilita la diversa regolazione, rispetto all’art. 416 c.p.c., dei soli documenti in questione, non resta che verificare se il termine di 10 giorni pure indicato nella norma di cui all’art. 7, comma 7, abbia o meno natura perentoria. Al riguardo, il Collegio ritiene che il termine debba essere qualificato come ordinatorio, sia in ragione dell’assenza di una specifica previsione in senso diverso (o della previsione di conseguenze in caso di violazione), sia in ragione degli arresti ormai consolidati di questa Corte sulla natura di detto termine, nella specifica materia e nella vigenza della precedente normativa.

2.2 – Il secondo motivo è infondato. La questione del funzionamento del semaforo ad un’ora alla quale l’apparato doveva essere spento non rileva ai fini della violazione in questione non essendo controverso che il semaforo era regolarmente in funzione. L’eventuale violazione della norma di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, art. 169 (che prevede il periodo di funzionamento dell’impianto) può determinare semmai la responsabilità, sotto vari profili, dell’autorità amministrativa ma non già escludere l’illecito amministrativo dell’utente della strada. Resta così assorbito il secondo profilo denunciato (effetti della mancata contestazione del funzionamento del semaforo in un’ora non consentita).

2.3 – Parimenti infondato è il terzo motivo. I giudici di merito hanno valutato il contenuto di tutti gli atti resi disponibili dall’autorità amministrativa (e, per quanto rilevato con il rigetto del primo motivo di ricorso, regolarmente depositati in giudizio) e non solo il verbale. Al riguardo, la sentenza impugnata così si esprime “Nel merito è da rilevare che la violazione contestata è stata accertata attraverso la diretta percezione degli accertatori che hanno inseguito l’odierno appellante, che non si era arrestato all’alt intimatogli. La circostanza è risultata provata attraverso la produzione del verbale e le conferme derivanti dalle controdeduzioni degli organi accertatori. (…) Nè del resto il ricorrente ha fornito alcun indizio in senso contrario a quanto accertalo dagli operatori”. La specifica modalità di rilevazione dell’illecito consente di escludere anche l’erronea diretta percezione da parte degli agenti.

2.4 – Anche il quarto motivo è infondato. La percezione degli agenti sulla velocità tenuta dal veicolo rispetto alle circostanze di tempo e di luogo, risulta specificamente legata all’inseguimento effettuato dopo il mancato rispetto dell’alt. L’inseguimento ha consentito agli agenti, di individuare la velocità tenuta dal veicolo inseguito proprio attraverso la rilevazione della velocità del proprio veicolo.

2.5 – Tutte le questioni avanzate col quinto motivo risultano manifestamente infondate, posto che le complessive argomentazioni svolte si fondano sulla dedotta assimilazione tra l’illecito amministrativo in questione e l’illecito penale, posto che il primo avrebbe, in tesi, un’afflittività paragonabile a quella di un illecito penale, per il quale invece restano applicabili diversi principi anche quanto al concreto svolgimento dell’attività difensiva, specie con riguardo alle prove.

Al riguardo è utile richiamare, i recenti arresti in materia, sia di questa Corte che della Corte Costituzionale, sempre più orientati a mantenere salda la distinzione normativa tra illecito penale e illecito amministrativo (riservata alla legittima discrezionalità del legislatore fondata su una pluralità di ragioni) anche quanto alle relative conseguenze, dovendosi in ogni caso operare una puntuale valutazione dell’illecito amministrativo in esame ai fini di una possibile sua assimilazione all’illecito penale. Nel caso in questione, risulta palese la limitata afflittività della sanzione amministrativa prevista in relazione alla gravità dell’illecito, afflittività che non ne consente alcuna assimilazione all’illecito penale.

3. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in Euro 500,00 (cinquecento) per compensi oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 novembre 2015 e il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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