Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16852 del 05/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16852 Anno 2013
Presidente: VALITUTTI ANTONIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 23706-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

SOCIETA’ BOLLANTI VEICOLI SANITARI SRL in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA PIAZZA ORAZIO MARUCCHI 5, presso
lo studio dell’avvocato PROIETTI FABRIZIO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 05/07/2013

- controri corrente
avverso

la

sentenza

n.

355/2007

della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LATINA, depositata il
28/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE BONIS che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato PROIETTI che
deposita nomina di difensore e la sentenza del Trib.
di Latina sent. di fallimento n. 1643/11 e nel merito
chiede il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso in subordine
inammissibilità.

udienza del 20/05/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Guardia di Finanza, nel corso di una verifica fiscale compiuta sulla società Bollanti Veicoli
sanitari srl relativa all’anno 2002, contestava la contabilizzazione di sei fatture emesse dalla Quattro
Group srl, dalle quali risultavano prestazioni di servizi rese in violazione del divieto di
interposizione di manodopera, pure rideterminando il volume di affari ai fini IVA ed erogando le
relative sanzioni.

di accertamento innanzi alla CTP di Latina che rigettava il ricorso.
4. Con sentenza pubblicata il 28 giugno 2007 la CTR del Lazio, sez.Staccata di Latina, in riforma
della sentenza resa dalla CTP, accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente “nei limiti di
quanto richiesto nel merito nel ricorso introduttivo” , compensando integralmente le spese.
4.1. Osservava il giudice di appello che, pur ritenendosi infondata la dedotta violazione dell’art.7
1.n.212/2000 in ragione della precedente notifica del processo verbale di constatazione alla società
contribuente, era corretto il rilievo dell’appellante in ordine alla ritenuta insussistenza dei
presupposti per la contestata interposizione di manodopera. Riteneva che la violazione della
disciplina normativa ritenuta dall’Ufficio non era fondata né in fatto, né in diritto e che, in ogni
caso, essendo stati effettuati i versamenti previdenziali e fiscali, non poteva giustificarsi l’ulteriore
pretesa a titolo di ritenute alla fonte, tenuto anche conto del fatto che il Tribunale di Latina aveva
assolto i Signori Bollanti “perché il fatto non sussiste” con sentenza del 19.12.2006.
4.3 L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi. La società
contribuente ha depositato controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto controverso, in relazione alll’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR,
nell’accogliere l’appello proposto dalla società contribuente, si era limitata ad affermare che la
violazione del divieto di interposizione della manodopera posta a base dell’accertamento, non era
fondata né in fatto né in diritto, valorizzando circostanze di fatto irrilevanti rispetto alla
contestazione qual era il pagamento dei versamenti previdenziali e fiscali.
5.1 In particolare, il giudice di appello aveva tralasciato di esaminare gli elementi indicati
dall’Ufficio e contenuti nel processo verbale di constatazione a sostegno del divieto di
interposizione della manodopera sancito dall’art.1 1.n.1369/2003.
5.2 Aggiungeva che l’assolvimento degli oneri previdenziali e fiscali nei confronti dei lavoratori
forniti alla società contribuente era privo di pregio, essendo compatibile il divieto di interposizione
di manodopera con l’ipotesi di regolarità fiscale, detto divieto riferendosi tanto all’ipotesi di appalto
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3. La società contribuente, a mezzo del suo amministratore Bollanti Massimo, impugnava l’avviso

simulato in cui i lavoratori risultavano fittiziamente come dipendenti dell’appaltatore che ai casi in
cui, in forza di effettivo contratto di appalto in cui i lavoratori impiegati erano realmente dipendenti
dell’appaltatore, il servizio aveva ad oggetto la mera prestazione di lavoro sotto la direzione del
committente e senza assunzione di rischio da parte dell’appaltatore.
5.3 Peraltro, la motivazione era oltremodo lacunosa in ordine al profilo relativo alla indetraibilità
degli apparenti corrispettivi indicati nelle fatture emesse dalla Quattro Group srl pure prospettato

dipendenti ed ai relativi oneri previdenziali, come tali non soggetti ad IVA e, conseguentemente,
inidonei a costituire il diritto alla detrazione.
6. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di motivazione insufficiente su un punto
decisivo della controversia, avendo la CTR posto a giustificazione del proprio assunto l’assoluzione
nel giudizio penale dei Signori Bollanti perché il fatto non sussiste, senza considerare che
l’assoluzione in sede penale del contribuente non impedisce al giudice tributario un’autonoma
valutazione ed impone comunque a tale ultimo giudice un vaglio critico degli elementi acclarati alla
luce del particolare sistema probatorio del giudizio tributario.
7. La società contribuente ha dedotto, in linea preliminare, l’assenza di

jus postulandi

dell’Avvocatura dello Stato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed in via graduata
l’inammissibilità ed infondatezza delle censure- risultando la decisione correttamente motivata-,
espressamente formulando, a sostegno delle ragioni esposta nel corso del giudizio, una richiesta di
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in ordine alla compatibilità del sistema sanzionatorio
previsto dalla 1.n.1369/1960 con i principi comunitari, posto che la Corte di Giustizia —causa C55/96, Job Center II- aveva già dichiarato l’incompatibilità della normativa interna con la disciplina
comunitaria- peraltro sostituita dalla 1.n.276/2003, entrata in vigore in epoca antecedente al
processo verbale di constatazione del 18 marzo 2003 reso dalla Guardia di Finanza-.
8. La stessa società, in memoria, ha poi eccepito il giudicato formatosi in ordine all’insussistenza di
violazioni in materia di contribuzione per previdenza ed assistenza obbligatoria pronunziata dal
Tribunale del lavoro di Latina in data 5.11.2009.
9. Occorre anzitutto sgombrare il campo dalla prospettata inammissibilità del ricorso per
Cassazione per difetto di jus postulandi da parte dell’Avvocatura dello Stato, essendo ormai
granitica la giurisprudenza di questa Corte nel senso esattamente opposto alle argomentazioni
esposta dalla società controricorrente, ritenendosi che ove l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel
giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a
quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. i,
secondo comma, del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, secondo il quale gli avvocati dello Stato
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dall’Ufficio, essendo gli importi riportati dalle fatture commisurati alle retribuzioni spettanti ai

esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato-cfr.Cass.
SS.UU. 23020/05. n. 14785 del 05/07/2011; Cass. n. 3427 del 12/02/2010-.
Parimenti ininfluente, ai fini del presente procedimento, è la sentenza del Tribunale di Latina che,
non essendo stata resa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non può essere proficuamente
richiamata per inferirne l’irretrattabilità delle statuizioni ivi contenute-cfr.Cass.n.23568/2008- non
risultando nemmeno certo il passaggio in giudicato della stessa malgrado la produzione, in seno

posto, i primi due motivi, attenendo a diversi profili del vizio di insufficiente o contraddittoria
motivazione, meritano un esame congiunto e sono fondati, nei limiti di cui in seguito specificati. Va
detto, anzitutto, che entrambi i motivi sono stati virtualmente esposti, avendo individuato nel c.d.
momento di sintesi il fatto controverso e le lacune motivazionali prospettate, facendo tra l’altro
riferimento agli elementi costitutivi del divieto previsti dallal.n.1369/1960.
9.1 Giova, infatti, rammentare che l’ art. 1, commi 1°, 2° e 3°, della 1. 23 ottobre 1960, n. 1369
prevede, anzitutto, il divieto per l’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi
altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante
impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la
natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. La medesima disposizione sancisce,
ancora, il divieto per l’imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o
società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti
da tali intermediari, chiarendo che è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di
appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali,
macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un
compenso all’appaltante. Il comma 3 appena ricordato si occupa specificamente dell’ipotesi di
interposizione vietata (Cass., sez. lav., 13 gennaio 1988, n. 151; Cass., S.U., 19 ottobre 1990, n.
10183) che, mascherata con le forme di uno “pseudo appalto” di opere o servizi, si caratterizza per
il difetto di imprenditorialità della prestazione, inquadrandosi così nella mera somministrazione di
manodopera vietata. E’ poi il comma quinto dell’art. 1, a prevedere che “i prestatori di lavoro sono
considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato
le loro prestazioni”.
9.2 Occorre ancora sottolineare, anche al fine di dare risposta ad un rilievo ventilato dalla società
contro ricorrente, che la legge n.1369/1960, è stata abrogata dall’art.85 comma I lett.c)
d.lgs.n.276/2003, che ha tuttavia previsto tale effetto “dalla data di entrata in vigore del presente
decreto legislativo”- pubblicato sulla GU n.235 del 9 ottobre 2003- ed è quindi entrato in vigore il
23 ottobre successivo secondo l’ordinario periodo di vacatio. Sulla base di tale quadro normativo
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all’udienza, di altra decisione, pur’essa sprovvista di attestazione del passaggio in giudicato. Ciò

di riferimento – v.,del resto, Cass. n. 16146/2004;Cass. n. 21818/2006 e Cass.S.U. n.22916/2006appare sicuramente rilevante nel caso di specie l’art. 1 I.n.1369/1960, pienamente in vigore rispetto
alle vicende oggetto degli avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2002.
9.4 Ciò posto, giova rammentare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il divieto di
intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, sancito dall’art. 1 della legge n. 1369
del 1960, opera nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione

assenza di una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo
autonomo -cfr.Cass. n. 19920 /2011, Cass. n. 7898 /2011-.
9.5 Orbene, appaiono evidenti le gravi lacune motivazionali della sentenza impugnata, laddove sono
stati totalmente pretermessi, nell’indagine compiuta dalla CTR, gli elementi, tutti dotati del
carattere della decisività, addotti dall’Ufficio per giustificare l’esistenza di un’intermediazione di
manodopera quali l’essere la società Quattro Group amministrata da Bollanti Giacomo, la
direzione del personale da parte della Bollanti Veicoli- confermato dalle dichiarazioni rese dagli
stessi dipendenti-, l’utilizzazione, da parte del personale della Quattro Group dei beni strumentali
della società Bollanti in assenza di beni strumentali da parte della predetta società Quattro Group.
9.6 Elementi ai quali si aggiungeva il fatto che i pagamenti effettuati dalla società Bollanti Veicoli
alla Quattro Group erano risultati pari a quanto occorreva alla Quattro Group per il pagamento degli
stipendi e degli altri oneri previdenziali e fiscali.
9.7 La lacunosità dell’indagine compiuta dalla CTR emerge, per altro verso, dalla valorizzazione,
operata dal giudice di appello, del riconosciuto versamento degli oneri appena sopra ricordati in
favore dei lavoratori, apparendo evidente l’irrilevanza di siffatta circostanza al fine di escludere
l’esistenza di un’intermediazione vietata dall’art. 1 1.cit.
9.8 Anzi, non è superfluo rammentare come questa Corte abbia di recente statuito che nelle
prestazioni di lavoro cui si riferiscono – prima dell’intervenuta abrogazione ad opera dell’art. 85,
comma primo, lett. c), del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 – i primi tre commi dell’art. 1 della legge
23 ottobre 1960, n. 1369 la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e la
previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo – secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti
gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni comportano che solo sull’appaltante gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e
normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali,
non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell’appaltatore in virtù dell’apparenza
del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto
e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi-cfr.Cass. n. 3795 del 15/02/2013-. Si è, ancora,
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lavorativa, attribuendo all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto in

precisato che in caso di accertamento del carattere fraudolento dell’intermediazione di manodopera
l’IVA che (l’apparente) cessionario assume di avere pagato al preteso cedente per l’operazione
soggettivamente inesistente – in quanto corrisposta ad un soggetto che non era legittimato ad
operare la rivalsa in ragione del divieto di intermediazione e del carattere fraudolento
dell’operazione negoziale- neppure assoggettato all’obbligo di pagamento dell’ imposta – non è
detraibile ai sensi dell’art. 19 d.P.R. 633/72 proprio per il fatto che l’alterazione del meccanismo di

contribuenti, non consente il dispiegamento dell’ordinaria operatività del diritto alla detrazione
dell’imposta sulle operazioni passive dell’imprenditore o del professionista-cfr.Cass.n.23075/12,
cit. -.
9.9 In definitiva, la CTR avrebbe dovuto esaminare i singoli elementi prospettati dall’Ufficio -che
ad una valutazione ex ante appaiono decisivi ai fini della controversia- e la natura delle prestazioni
in concreto svolte, al fine di valutare la loro idoneità- o inidoneità- a conclamare l’ipotesi
ricostruttiva posta a base dell’avviso di accertamento, tenendo conto del fatto che ove fosse
risultato che il personale dell’appaltante impartiva disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, lo
stesso poteva costituire uno degli indici dell’accordo fraudolento, semprechè risulti provato che
dette disposizioni sono riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro anche in relazione alle
effettive modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative-cfr.Cass. n. 15615 /2011,Cass. n.
12201 /2011-.
9.10 Ne consegue che l’operato del giudice di appello appare gravemente carente, non consentendo
di cogliere il fondamento sul quale si è basata l’affermazione dell’assenza di un’intermediazione di
manodopera, se solo si consideri che l’adempimento degli oneri retributivi e previdenziali da parte
del soggetto committente non fa venire meno, in astratto, la possibilità che il personale impiegato n sia effettivamente al servizio del committente.
9.11 Il giudizio critico appena espresso si estende, poi, all’ulteriore riferimento, operato dalla CTR,
all’assoluzione dei Bollanti nel procedimento penale definitosi a loro carico, se solo si consideri che
l’assoluzione dei suddetti, per come apoditticamente richiamato dalla CTR, non poteva costituire,
da solo, elemento idoneo a giustificare in maniera logica l’illegittimità della ripresa fiscale per le
ritenute di acconto dovute dal datore di lavoro effettivo rispetto alle retribuzioni dei lavori
impiegati.
9.12 E’ noto, del resto, l’orientamento di questa Corte in ordine ai rapporti fra giudicato penale e
giudizio tributario- per tutti, v., di recente, Cass. n. 8129 del 23/05/2012- ove si è chiarito che
nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di
condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede
5

riscossione dell’imposta in questione, attraverso la realizzazione di comportamenti illeciti dei

)

penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel
processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a
supportare una pronuncia penale di condanna.
9.13 Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver
commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora

penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario(conf.Cass.

n. 4924 del

27/02/2013). Ed allora, non par dubbio che lo scarno riferimento, operato nella sentenza impugnata,
all’assoluzione dei Bollanti non poteva in alcun modo costituire elemento idoneo a suffragare
l’assenza della interposizione.
9.14 Anche sotto tale profilo la motivazione è, per l’effetto, gravemente carente.
9.15 Carenza che, d’altra parte, si appalesa ulteriormente evidente se si considera che la pretesa
fiscale riguardava, altresì, la ritenuta indetraibilità delle somme fatturate dalle società Quattro.
9.16 Ed infatti, per giungere all’annullamento della pretesa fiscale, che la CTR ha limitato a
“quanto chiesto nel ricorso introduttivo”- ricorso nel quale la contestazione della società
contribuente riguardava tanto la pretesa relativa alla ritenuta di acconto non effettuata, che la
ripresa a tassazione dell’IVA indebitamente detratta dalla società sulla base delle sei fatture emesse
dalla Quattro Group- il giudice di appello avrebbe dovuto adeguatamente giustificare le ragioni che
rendevano illegittimo l’operato dell’amministrazione nella parte in cui aveva ritenuto la non
assoggettabilità all’IVA delle somme portate dalle fatture, solo apparentemente costituenti
“corrispettivo” delle prestazioni ma, in effetti, dissimulanti il pagamento degli oneri retributivi,
previdenziali e fiscali del personale che, nella prospettiva dell’ufficio, era alle dipendenze della
società contribuente.
9.17 L’assenza di ogni motivazione in ordine a tale aspetto, evidentemente correlata alla ritenuta
esclusione dell’interposizione, alla quale la CTR è giunta attraverso una lacunosa ed incongrua
motivazione, si riverbera, pertanto, anche sulla questione appena esposta.
9.18 Appare infatti evidente che, in caso di ritenuta sussistenza del divieto di interposizione di
manodopera, le prestazioni formalmente fatturate dalla Quattro Group finirebbero con l’assumere il
carattere delle operazioni oggettivamente inesistenti, con tutte le conseguenze in tema di
detraibilità, sulle quali più volte questa Corte ha avuto occasione di statuire, tenendo conto della
giurisprudenza resa dalla Corte di Giustizia—per cui v., fra le altre, Cass. n. 9108 del 06/06/2012-.
9.19 Si è, sul punto, già avuto modo di chiarire che in ipotesi di fatture che l’Ufficio ritenga relative
ad operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che – ancorchè
6

l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità

effettivamente poste in essere — si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del
fisco, l’amministrazione stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della
fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che essa
sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe. Si è pure aggiunto che tale
prova può essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, 1′ art.
54, co. 2, del d.P.R. n. 633/ (cfr. Cass.n.23075/2012; Cass. 21953/07;Cass. 9108/12, Cass.

9.20 Anche sotto tale profilo, pertanto, la decisione impugnata appare carente.
9.21 Né a paralizzare i superiori argomenti risulta idonea la questione, prospettata in sede di
controricorso dalla società contribuente, in ordine alla compatibilità della disciplina interna in tema
di divieto di intermediazione con i principi espressi dalla Corte di Giustizia nelle sentenze dell’ 11
dicembre 1997 (resa nella causa C-55/96) e dell’8 giugno 2000 (resa nella causa C-258/1998).
9.22 Sul punto, questa Corte ha già ritenuto —sent.n.10978/2002- che il divieto di intermediazione e
di interposizione nelle prestazioni lavorative, stabilito dall’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, non
confligge con l’ordinamento comunitario, quale risulta a seguito della sentenza 11 dicembre 1997
della Corte di Giustizia delle Comunità Europee; esso infatti non attiene, almeno in via esclusiva, al
monopolio pubblico del collocamento, ma persegue lo scopo di garantire, con la effettività del
rapporto di lavoro, una più forte tutela del diritto al lavoro dei lavoratori assunti dall’intermediario,
impedendo, o, quantomeno, ostacolando elusioni fraudolente della disciplina posta a garanzia del
lavoratore. Ciò che rende non pertinente, dopo l’individuazione della portata delle decisioni rese
dalla Corte di Giustizia operata da questa Corte, la richiesta di rinvio pregiudiziale, in assenza di
elementi che possono ingenerare il dubbio di incompatibilità del quadro normativo interno con
quello comunitario.
9.23 Peraltro, nemmeno può ritenersi che la società contribuente, sulla quale incombeva il relativo
onere, abbia allegato e dimostrato la ricorrenza “cumulativa” dei presupposti – incapacità palese
degli uffici pubblici di collocamento di soddisfare, per tutti i tipi di attività, la domanda esistente sul
mercato del lavoro; impossibilità dell’espletamento delle attività di collocamento da parte delle
imprese private per effetto di disposizioni di legge che vietano tali attività; estensione delle attività
di collocamento a cittadini o territori di altri Stati membri- che questa Corte -cfi-.Cass.
n. 8530/2006-ha in altra occasione ritenuto necessari per ritenere che il divieto di intermediazione

previsto dalla legge n.1369/1960 fosse in contrasto con l’ordinamento comunitario.
9.24 Resta solo da evidenziare che le questioni sollevate dalla società controricorrente a pag.14 del
controricorso non possono passare al vaglio della Corte, non avendo la suddetta nemmeno indicato
se e quando le stesse sono state (ritualmente) prospettate nel corso del procedimento di merito.
7

15741/12,-.

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9.25 Quanto alla questione esposte a pag.21-calendata sub settimo motivo- la stessa non può
passare al vaglio di questa Corte, risultando demandata al g giudice del rinvio.
10. In conclusione, i motivi di ricorso vanno accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata con
rinvio ad altra sezione della CTR del Lazio —sez.Latina- che si conformerà a quanto sopra esposto
P. Q.M.
La Corte

Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Lazio —sez.Latina- che pure
provvederà alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di cassazione.
Così deciso il 20 maggio 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

Accoglie i motivi di ricorso.

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