Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16851 del 01/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/08/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 01/08/2011), n.16851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21371-2007 proposto da:

ITEMA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante

prò tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA 235,

presso lo studio dell’avvocato DI GIOIA GIULIO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.N.A.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 307/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/03/2007 R.G.N. 743/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato NICOLAIS LUCIO per delega DI GIOIA GIULIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.N.A.R. ha convenuto in giudizio la società Itema srl con ricorso ex art. 414 c.p.c., e contestuale richiesta di provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. e di provvedimento cautelare ex art. 669 ter c.p.c., chiedendo, nel merito, il riconoscimento del diritto alla qualifica di secondo livello del ccnl per i dipendenti di aziende commerciali e la condanna della convenuta al pagamento di alcune somme asseritamente dovute a titolo di differenze retributive e di risarcimento dei danni. Respinte le istanze cautelari, ed istruita la causa nel merito, il Tribunale di Sulmona ha accolto parzialmente la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 91.699,37 a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, con decisione che è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di L’Aquila, che ha limitato la condanna alla somma di Euro 67.695,67, ovvero a quella che risultava dovuta a titolo di differenze retributive calcolate sulla base dell’inquadramento già riconosciuto dalla società alla lavoratrice. A tale conclusione, la Corte territoriale è pervenuta – dopo aver respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado sollevata dalla società sul rilievo della nullità della notifica del ricorso introduttivo – ritenendo che non fosse stato provato il diritto ad una qualifica superiore e che alla parte appellata fossero dovute esclusivamente le differenze retributive calcolate sulla base della qualifica attribuitale dal datore di lavoro.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Itema srl affidandosi a tre motivi di ricorso. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza o del procedimento di primo grado, non avendo la ricorrente in primo grado provveduto “alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza del 28.2.2003, depositato in cancelleria in data 16.1.2003, alla società resistente”, e si chiede a questa Corte di stabilire “se, nell’ipotesi come in fattispecie, la notifica del decreto di fissazione dell’udienza di discussione ai procuratori costituiti nel definito giudizio cautelare e non presso la sede legale della società convenuta, odierna ricorrente, ex art. 415 c.p.c., determini la nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per difetto di valida instaurazione del contraddittorio”.

2.- Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza o del procedimento di primo grado per omessa pronuncia, da parte del Tribunale, sulla eccezione di nullità della sentenza di primo grado, che non avrebbe fornito alcuna motivazione in ordine alla statuizione con cui la società era stata condannata al pagamento della somma liquidata a titolo di differenze retributive, chiedendo a questa Corte di stabilire “se l’omessa pronuncia avverso specifiche eccezioni (nella fattispecie, eccezione di nullità per difetto assoluto di motivazione), sostanziando una violazione dell’art. 112 c.p.c., costituisce una violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato che comporta, in fattispecie, la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4”.

3.- Con il terzo motivo si lamenta omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, contestando in sostanza l’attribuzione della somma riconosciuta in sentenza dalla Corte d’appello in favore della lavoratrice, in quanto sfornita di qualsiasi riferimento al titolo per il quale sono state riconosciute tali differenze.

4.- Il primo motivo è infondato.

Va premesso anzitutto che la lavoratrice aveva proposto ricorso ex art. 414 c.p.c., con contestuale richiesta di provvedimenti cautelari e d’urgenza. Il ricorso è stato notificato alla società, che si è costituita nella fase cautelare, difendendosi anche nel merito.

Respinte le richieste cautelari, senza che fosse stata fissata udienza per la trattazione del merito, la ricorrente ha chiesto la fissazione dell’udienza di trattazione della causa nel merito ed ha poi notificato il decreto di fissazione dell’udienza alla società presso i procuratori costituiti nella fase cautelare.

La società sostiene che, esaurita la trattazione del giudizio cautelare con ordinanza di rigetto, ed in mancanza della fissazione dell’udienza di discussione, il successivo decreto con cui era stata fissata tale udienza andava notificato nella sede legale della società e non presso i procuratori costituiti nella fase cautelare.

L’assunto è infondato. Nella fattispecie, non si tratta, infatti, di un ricorso cautelare ante causam e di una successiva proposizione della domanda di merito, bensì della contestuale proposizione della domanda di merito e dell’istanza di misura cautelare, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 4879/86, Cass. n. 47/84, Cass. n. 3589/82, Cass. n. 6327/80, Cass. n. 6140/80, Cass. n. 1717/78), benchè non contemplata esplicitamente dalla legge, è del tutto valida, costituendo una delle possibili forme di richiesta di provvedimenti cautelari in corso di causa. Questa Corte ha altresì precisato (Cass. n. 3589/82 cit., nonchè Cass. n. 1717/78 cit.) che il fatto che il giudice di primo grado non abbia dato priorità agli adempimenti previsti dall’art. 415 c.p.c. (fissazione con decreto dell’udienza di discussione, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, avente duplice petitum) e che nella fissazione dell’udienza per la trattazione del merito, corrispondente a quella prevista dall’indicato art. 415 c.p.c., non abbia rispettato il termine dilatorio di cui al comma 5 dello stesso, determina una nullità che è sanata, a norma dell’art. 164 c.p.c., per effetto della comparizione del convenuto e della sua accettazione del contraddittorio anche nel merito. Nella specie, a seguito della notifica del ricorso con cui erano state proposte sia la domanda di merito che le istanze di misura cautelare, la società convenuta – che non lamenta, comunque, il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 415 c.p.c., comma 5, – si è costituita in giudizio difendendosi ampiamente anche nel merito (vedine l’esposizione contenuta nelle premesse del ricorso per cassazione) e concludendo per il rigetto sia delle domande cautelari che di quelle di merito.

Il provvedimento (reso fuori udienza) con cui il Tribunale, dopo aver respinto le istanze cautelari, ha fissato l’udienza di comparizione delle parti deve considerarsi quindi come provvedimento emesso per la prosecuzione del giudizio come sopra incardinato (tant’è che il provvedimento viene emesso “visto l’art. 415 c.p.c., ad integrazione dell’ordinanza del 21.12.2002”, con la quale erano state respinte le istanze cautelari), con la conseguenza che la notifica del suddetto provvedimento è stata correttamente eseguita presso il procuratore costituito, a norma dell’art. 170 c.p.c., trattandosi appunto della prosecuzione dello stesso giudizio, già introdotto con la notifica del ricorso ex art. 414 c.p.c., contenente anche la richiesta di misure cautelari.

Il primo motivo deve essere pertanto rigettato.

5.- Il secondo motivo è inammissibile, posto che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 5351/2007, Cass. n. 264/2006, Cass. n. 4079/2005), il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto, e va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni. Nella specie, non è certamente configurabile il vizio di omessa pronuncia riguardo ad una censura relativa ad un statuizione di condanna al pagamento di differenze retributive, che trovava fondamento nel riconoscimento del diritto ad una qualifica superiore, e che è stata posta nel nulla a seguito di altra statuizione del giudice d’appello con cui è stata respinta la domanda di riconoscimento di quel diritto (con rideterminazione della somma dovuta alla lavoratrice sulla base di diversi presupposti fattuali). E tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione della estrema genericità ed inconferenza del quesito di diritto formulato a chiusura del secondo motivo, per la sua inidoneità ad individuare il motivo di appello di cui si lamenta l’omesso esame e ad evidenziare il nesso tra la fattispecie concreta ed il principio di diritto che si chiede venga affermato.

6.- 11 terzo motivo è infondato. La Corte territoriale ha affermato il diritto della appellata alla corresponsione delle differenze retributive calcolate sulla base dell’inquadramento già riconosciuto dalla società alla lavoratrice, depurate del compenso per lavoro straordinario, e “ciò alla stregua del conteggio proposto dalla appellata, che appare esatto, e che comunque non è stato in alcun modo contestato, quanto alla correttezza matematica, dalla controparte”. Si tratta dunque di una valutazione di fatto, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè la ricorrente non ha specificamente indicato nel ricorso quali sarebbero gli elementi che avrebbero dovuto condurre il giudice d’appello ad una diversa decisione, specificando la loro pregressa deduzione in sede di merito, e quali le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renderebbe inidonea a giustificare la decisione. Al riguardo, va rimarcato che, come è stato più volte affermato da questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo esame, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito. Ciò comporta che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata debba giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito, ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da risultare sostanzialmente incomprensibile o equivoca. Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ricorre, dunque, soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre tale vizio non si configura allorchè il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 16499/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 42/2009, Cass. n. 17477/2007, Cass. n. 15489/2007, Cass. n. 7065/2007, Cass. n. 1754/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 17145/2006, Cass. n. 12362/2006, Cass. n. 24589/2005, Cass. n. 16087/2003, Cass. n. 7058/2003, Cass. n. 5434/2003, Cass. n. 13045/97, Cass. n. 3205/95).

7.- 11 ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conferma della sentenza impugnata.

8.- Considerato che l’intimata non ha svolto attività difensiva, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2011

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