Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16846 del 30/07/2011
Cassazione civile sez. VI, 30/07/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 30/07/2011), n.16846
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. STILE Paolo – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 17096/2010 proposto da:
EQUITALIA ETR SPA (OMISSIS), (già ETR SPA), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato RIGI LUPERTI MARCO,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Z.S.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 512/2010 della CORTE D’APPELLO di REGGIO
CALABRIA del 26/03/2010, depositata il 13/04/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;
è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza in data 26.3/13.4.2010 la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la sentenza resa dal Tribunale di Palmi il 14.10.2005 che dichiarava sussistere fra Z.S. e la società Equitalia Etr un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dall’1 settembre 1994, in conseguenza della nullità della clausola di durata apposta al primo di svariati contratti a termine stipulati fra le parti in un periodo di tempo compreso fra l’1 settembre 1994 ed il 7 giugno 1996. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Equitalia con due motivi. Non ha svolto attività difensiva l’intimato.
1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, nonchè vizio di motivazione, osservando come la corte territoriale avesse erroneamente disatteso l’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso, nonostante il comportamento di inerzia manifestato dal lavoratore successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro a termine.
Il motivo è manifestamente infondato.
Va, infatti, ribadito, in conformità all’insegnamento di questa Suprema Corte, che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. ad es. Cass. 11-11- 2009 n. 23872, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. ad es. Cass. 2-12-2002 n. 17070).
Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha ritenuto nel caso non provate, alla luce dell’impossibilità di arguirle solo dal decorso del tempo (peraltro nel caso non particolarmente eccessivo: circa tre anni) maturatosi prima della proposizione del ricorso, e del numero dei rapporti a termine instaurati nel corso degli anni.
2. Inammissibile è, invece, il secondo motivo, con il quale la società ricorrente del tutto genericamente, e cioè senza alcuna specifica contestazione degli argomenti svolti nella decisione impugnata, contesta la qualificazione (in termini di subordinazione) data dalla corte territoriale ai rapporti contrattuali intervenuti fra le parti.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese, stante la mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2011