Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16846 del 09/08/2016
Cassazione civile sez. VI, 09/08/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 09/08/2016), n.16846
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24718-2014 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’Avvocatura
Centrale dell’ Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati
CHERUBINA CIRIELLO, SEBASTIANO CARUSO, GIUSEPPINA GIANNICO,
ELISABETTA LANZETTA, FRANCESCA FERRAZZOLI giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente –
contro
P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA
257, presso lo studio dell’Avvocato GIANFRANCO DOSI, che la
rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1259/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del
03/10/2013, depositata il 16/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/06/2016 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES;
udito l’Avvocato GIANNICO GIUSEPPINA, difensore del ricorrente, la
quale si riporta ai motivi.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9 giugno 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 16 ottobre 2013, la Corte di Appello di Bologna confermava la decisione del Tribunale di Reggio Emilia che aveva accolto la domanda proposta da P.A. nei confronti dell’INPS riconoscendo alla ricorrente la posizione giuridica ed economica C/1, profilo amministrativo, a far data dal 1.3.2006 e condannando l’istituto a corrisponderle il relativo trattamento retributivo.
La Corte territoriale – premesso che la questione controversa atteneva all’inquadramento da riconoscere alla P. transitata dal comune di Reggio Emilia all’INPS a decorrere dal 1 marzo 2006 in virtù della c.d. mobilità intercompartimentale – osservava che la mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 integrava una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto. Evidenziava, che prima della definizione della procedura di mobilità – conclusasi con la nota dell’ottobre 2005 con la quale l’ente a qua aveva prestato il proprio assenso al trasferimento della dipendente – l’ente ad quem era ben a conoscenza del profilo rivestito in quel momento dalla P. (D/1); che l’INPS avrebbe potuto e dovuto valutare, alla luce della circostanza del sopravvenuto diverso inquadramento professionale della predetta (non più C/2, profilo della P. questo al momento della domanda di mobilità nel settembre 2003 con riferimento al quale l’istituto aveva deliberato, con determina dirigenziale dell’agosto 2004, la sua immissione in servizio) la sussistenza o meno delle esigenze che giustificavano il trasferimento. Sottolineava, inoltre, che il consenso del dipendente al trasferimento presso altra amministrazione presupponeva, comunque, la sua adibizione a mansioni equivalenti, nel caso de qua corrispondenti alla qualifica superiore acquisita dalla P. nelle more della procedura.
Per la cassazione della decisione propone ricorso l’INPS affidato ad un unico motivo.
La P. resiste con controricorso.
Con l’unico motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 30 e 52 e art. 1406 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Si deduce: che doveva assumere rilievo determinante la qualifica posseduta dal soggetto interessato alla mobilità al momento del passaggio e non anche le mansioni effettivamente svolte dal dipendente presso l’amministrazione di provenienza; che, dovendosi inquadrare la mobilità nello schema civilistico della cessione del contatto, l’individuazione del momento in cui si perfeziona il consenso di tutte le parti coinvolte (cedente, cessionario e ceduto) doveva coincidere con quello della domanda di mobilità sì da consentire all’amministrazione ad quem di valutare la posizione e la qualifica dichiarata e rivestita dal dipendente in relazione alle necessità di coprire precise e determinate vacanze di posti in organico, secondo la programmazione del fabbisogno di personale e nel rispetto dei limiti di budget, restando del tutto irrilevanti le eventuali modifiche successive della posizione di inquadramento del dipendente presso l’ente di provenienza.
Il motivo è infondato.
Va, in primo luogo, rilevato che la P. all’atto del passaggio dal Comune di Reggio Emilia all’INPS aveva formalmente conseguito l’inquadramento nel profilo D/1 (circostanza questa pacifica tra le parti) e, dunque, il riferimento contenuto nel motivo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 – secondo cui l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore – non è pertinente.
Ciò detto, vale ricordare che (cfr. Cass. S.U. a 26420 del 12 dicembre 2006) l’espressione “passaggio diretto”, contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 non qualifica un particolare tipo contrattuale civilistico, ma solamente, nel campo pubblicistico, un particolare strumento attuativo del trasferimento del personale, da una amministrazione ad un’altra, trasferimento caratterizzato da una modificazione meramente soggettiva del rapporto e soggetto a vincoli precisi concernenti la conservazione dell’anzianità, della qualifica e del trattamento economico. In tale contesto le Sezioni Unite, rilevato il carattere atecnico dell’espressione “passaggio diretto”, e la conseguente necessità di ricondurre la relativa fattispecie nell’ambito di uno “schema dogmatico”, hanno ritenuto di poter inquadrare il passaggio diretto nella fattispecie della cessione di contratto disciplinata dagli artt. 1406 c.c. e segg. che infatti, come precisato, ad esempio, da Cass. 5 novembre 2003 n. 16635, comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali e realizzando soltanto una sostituzione soggettiva. Pertanto, in base alle disposizioni applicabili ratione temporis al caso di specie (prima dell’entrata in vigore della L. n. 246 del 2005, art. 11 che ha modificato il citato art. 30), deve concludersi che la P. aveva diritto a conservare, secondo il principio enunciato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, l’inquadramento conseguito nell’amministrazione di provenienza. Peraltro, h Corte di merito ha anche evidenziato che prima della definizione della procedura di mobilità – conclusasi con la nota dell’ottobre 2005 con la quale il Comune di Reggio Emilia prestava il proprio consenso al trasferimento della P. – l’INPS avrebbe potuto e dovuto valutare, alla luce della circostanza del sopravvenuto diverso inquadramento professionale della predetta, la sussistenza o meno delle esigenze che giustificavano il trasferimento.
Ne consegue che correttamente l’impugnata sentenza ha riconosciuto – in conformità con quanto già statuito dal primo giudice – il diritto della P. la posizione C/1 equivalente alla posizione D/1 (circostanza questa pacifica tra le parti) conseguita presso la amministrazione di provenienza e rivestita al momento del perfezionamento del passaggio presso la nuova amministrazione. Alla luce di quanto esposto, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
La P. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. argomentando ulteriormente per il rigetto del ricorso.
Il Collegio condivide pienamente il contenuto della sopra riportata relazione e, quindi, rigetta il ricorso.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo in favore della P..
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, seni n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dcalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016