Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16845 del 30/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 30/07/2011), n.16845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16121/2010 proposto da:

C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO

SERGIO NATALE EDOARDO, che lo rappresenta e difende giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale ad litem a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7889/2 008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

7/11/08, depositata il 06/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 7.11.2008/6.10.2009 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 24.5.2005 che aveva rigettato la domanda proposta da C.S. nei confronti delle Poste Italiane per far dichiarare la nullità del termine apposto al contratto stipulato il 22.3.2001, ai sensi dell’art. 25, secondo comma, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.S. con cinque motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso le Poste Italiane.

1. Con i primi tre motivi il ricorrente lamenta violazione di legge (art. 112 c.p.c.) e della contrattazione collettiva applicabile (art. 25 ccnl 11 gennaio 2001), nonchè vizio di motivazione.

Al riguardo osserva che la corte territoriale (omettendo di esaminare la relativa questione) aveva fornito una errata lettura della disposizione contrattuale, ritenendo che le parti sociali non avessero individuato quale condizione per l’operatività della clausola di durata l’esperimento dei previsti confronti con le organizzazioni sindacali, stabiliti, invece, quali condizioni di validità delle relative assunzioni. I motivi appaiono manifestamente infondati, e, comunque, privi di decisività, alla luce dei precedenti di questa Suprema Corte e gli stessi non offrono elementi per confermare o modificare l’orientamento della stessa.

Si deve, al riguardo, premettere che questa Suprema Corte, decidendo in casi analoghi (v. fra le altre Cass. 26 settembre 2007 n. 20162;

Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608), ha cassato le pronunce di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati in base alla previsione della norma contrattuale dell’art. 25 del CCNL del 2001, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987 n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modifiche – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore delle organizzazioni sindacali, le quali pertanto, non sono vincolate all’individuazione di figure contrattuali comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in attuazione della sopra citata “delega in bianco” le parti sindacali hanno legittimamente individuato, quale ipotesi autorizzativa della stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che le organizzazioni sindacali, senza essere vincolate alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro temporaneo per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

In tal contesto, si è, quindi, rilevato (v. Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608, Cass. 25 gennaio 2008 n. 1655) che l’accordo del 18 gennaio 2001 non può che essere considerato “come espletamento della procedura di confronto sindacale prevista dallo stesso art. 25 del contratto collettivo”, deponendo in tal senso il senso letterale delle espressioni utilizzate nell’accordo stesso, laddove prevede, con riferimento ai processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, che “…le OO.SS….convengono…che i citati processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della nuova disciplina pattizia definita dal CCNL 11.1.2001 “.

2. Manifestamente infondati sono anche gli ultimi due motivi, con i quali il ricorrente, prospettando violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, si duole dell’omesso esame dell’eccezione relativa alla violazione della clausola di contingentamento.

Deve, infatti, osservarsi come tale eccezione non risulta (sulla base degli atti trascritti) espressamente ed univocamente formulata nelle precedenti difese, ed in particolare nell’atto di appello, laddove la stessa viene, in realtà, richiamata quale oggetto della procedura di confronto sindacale, che si assume omessa, ma che, per quanto si è sopra esposto, appare, in realtà, pienamente realizzata. E, pertanto, in via strumentale rispetto a tale motivo di contestazione della clausola di durata, e non quale autonoma, e quindi specifica, causa di invalidità della stessa.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2500,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2011

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