Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16843 del 30/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 30/07/2011), n.16843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15195/2010 proposto da:

EDILALBARO SRL (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 9,

presso lo Studio dell’avvocato ZACCAGNINI LUCIA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati PERSICH REGINA, PIRAS PAOLO G.,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DI S. COSTANZA 46, presso lo studio dell’avvocato MANCINI

LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIMINELLI

CARLO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 884/2009 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

9.12.09, depositata il 28/12/2 009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito per la ricorrente l’Avvocato Lucia Zaccagnini che si riporta

agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 9/28.12.2009 la Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza resa dal locale Tribunale, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società Edilalbaro nei confronti del dipendente S.A. e condannava il datore di lavoro alla riassunzione in servizio o, in alternativa, al pagamento dell’indennità prevista dalla L. n. 108 del 1990.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Edilalbaro con due motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso S.A..

1. Con il primo motivo il ricorrente prospetta violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) ed, al riguardo, osserva che erroneamente la corte territoriale aveva escluso il valore confessorio della dichiarazione resa dal lavoratore in altro processo (e dalla quale emergeva che lo stesso aveva asserito di essersi dimesso) e sebbene tali dichiarazioni fossero state riportate in un verbale avente forza di atto pubblico.

Con il secondo motivo prospetta nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) per l’omessa valutazione di prove testimoniali decisive ai fini del giudizio.

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

Basti al riguardo osservare che la corte territoriale, nell’escludere la configurabilità delle dimissioni del dipendente, quale causa della cessazione del rapporto di lavoro, ha non solo correttamente considerato che alle richiamate dichiarazioni non poteva attribuirsi valore confessorio (in quanto dichiarazioni rese a terzi, e quindi liberamente apprezzabili dal giudice), ma ha anche valutato che, in ogni caso, le asserite dimissioni si ponevano in palese contrasto con la lettera di licenziamento con addebito del 20.4.1999, del seguente tenore: “Con la presente le comunichiamo la cessazione del rapporto di lavoro con effetto immediato…la cessazione è motivata dal fatto che lei ha tentato di asportare dalla ditta un’attrezzatura…”.

Licenziamento che si poneva, quindi, quale titolo formale ed autonomo di cessazione della relazione contrattuale.

A fronte di tale accertamento, costituente autosufficiente ragione giustificatrice della decisione, nessun rilievo è stato svolto dalla società ricorrente e la motivazione adottata dai giudici di merito si palesa, quindi, di per sè idonea a giustificare la decisione adottata.

E ciò in aderenza al consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della stessa, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia avuto esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza nella sua interezza, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che l’una o l’altro autonomamente sorreggono, con la conseguenza che è sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa ad una sola di tali ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza (v. ad es. Cass. n.5902/2002;

Cass. n. 2273/2005; Cass. n.2811/2006).

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2500,00 per onorario oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2011

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