Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16842 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/07/2017, (ud. 23/03/2017, dep.07/07/2017),  n. 16842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9361-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

CORSO TRIESTE 185, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE VERSACE,

rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO DI PALMA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

D.M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2263/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/04/2010 R.G.N. 163/2007.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 2263/2010, depositata il 7 aprile 2010, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, ha dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati con la S.p.A. Poste Italiane da D.M.R. e da S.L. per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”, dichiarando conseguentemente la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data rispettivamente dal 24/5/2002 e dal 16/3/2002 e condannando la società al pagamento delle retribuzioni spettanti alle lavoratrici a decorrere dal 14/1/2003, data di ricezione, da parte della S.p.A. Poste Italiane, della lettera, con la quale era stato richiesto il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi l’UPLMO;

– che la Corte di appello – premesso che i rapporti dedotti in giudizio erano disciplinati unicamente dal D.Lgs. n. 368 del 2001 – ha osservato, a sostegno della propria decisione, come il datore di lavoro, secondo la disciplina introdotta da tale decreto, avesse l’onere di indicare nel contratto individuale in maniera puntuale e specifica le esigenze che avevano determinato l’assunzione a termine e, quindi, di provare sia la ricorrenza di tali esigenze sia la sussistenza di uno stretto nesso causale fra le stesse e la specifica assunzione a termine; in particolare, la società – ha osservato la Corte – avrebbe dovuto indicare l’esistenza di concrete esigenze tali da determinare la necessità di assumere proprio le appellanti con un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, non essendo sufficiente ai fini del rispetto della normativa di legge la riproduzione delle previsioni contenute nell’accordo collettivo o il richiamo agli ulteriori e successivi accordi intervenuti con le organizzazioni sindacali, in quanto inidonei a dimostrare la configurabilità sul piano individuale del nesso causale tra le esigenze, cui era fatto riferimento nel contratto, e le singole assunzioni a termine;

– che nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società affidandosi a cinque motivi, con richiesta di applicazione della disciplina sopravvenuta di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

– che S.L. ha resistito con controricorso, mentre D.M.R. è rimasta intimata;

– che risulta depositato verbale di conciliazione sindacale in data 14/1/2011 tra la stessa D.M. e Poste Italiane S.p.A.;

rilevato per quanto riguarda la S. che: (a) con il primo motivo, la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2 e art. 4, dell’art. 12 preleggi e degli artt. 1362 e ss. e 1325 e ss. c.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto generica la causale, omettendo peraltro di considerare lo specifico riferimento, operato in seno al contratto, ai vari accordi sindacali sulla mobilità del personale; (b) con il secondo, la ricorrente censura la sentenza, ancora nella parte relativa alla ritenuta genericità della causale, per omessa ed insufficiente motivazione; (c) con il terzo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115, 116, 244, 253 e 421 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente posto a carico del datore l’onere di provare l’esistenza delle ragioni oggettive che legittimano la stipula ex novo di un contratto a tempo determinato (e non già delle sole ragioni che ne legittimano la eventuale proroga) e comunque per non avere dato ingresso alla prova testimoniale, pur ritualmente dedotta e idonea a dimostrare le esigenze sottese all’assunzione; (d) con il quarto, la società censura la sentenza, deducendo omessa ed insufficiente motivazione, per non avere valutato, e di conseguenza motivato, in ordine all’ammissibilità e alla rilevanza di un dato capitolo di prova (n. 11); (e) con il quinto, infine, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1206 c.c. e di altre disposizioni in materia di mora del creditore e di inadempimento delle obbligazioni, per non avere la Corte territoriale disposto la condanna al pagamento delle retribuzioni dal momento dell’effettiva ripresa del servizio; osservato che il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;

– che, infatti, il giudice del merito ha esaminato (cfr. sentenza, p. 11), e adeguatamente valutato, al fine di verificare la sussistenza di specifiche ragioni dell’assunzione a termine, gli accordi collettivi richiamati nel contratto individuale, in tal modo uniformandosi al principio, secondo il quale “in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificablità delle stesse nel corso del rapporto; tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti”, tra cui gli accordi collettivi (Cass. n. 2279/2010 e successive numerose conformi);

– che il terzo e il quarto motivo, da trattarsi anch’essi congiuntamente, sono parimenti infondati;

– che, infatti, l’onere di provare le ragioni oggettive alla base della stipula di un contratto a termine (e non già nel solo caso di eventuale proroga di esso) è pacificamente a carico del datore di lavoro (Cass. n. 10033/2010; Cass. n. 2680/2015), così che nessuna inversione di tale onere è ascrivibile alla Corte di merito;

– che, inoltre, è consolidato l’orientamento, per il quale “il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento” (Cass. n. 5654/2017);

– che tale dimostrazione di “decisività” non risulta invece fornita dalla società ricorrente nè con riferimento al complesso dei capitoli di prova articolati nella memoria di costituzione in primo grado, nè con particolare riferimento al cap. 11), avendo il giudice di appello espresso il proprio diverso convincimento con richiamo adeguatamente motivato alla genericità delle relative circostanze e al più ampio contesto delle deduzioni contenute in tale atto difensivo (cfr. ancora sentenza, pagg. 11-12) e senza che tale motivato rilievo di inammissibilità abbia formato oggetto di censura specifica;

– che il quinto motivo resta assorbito nella richiesta ultima concernente l’applicazione della disciplina sopravvenuta di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 in tema di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore in conseguenza della nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato;

– che al riguardo si richiama la recente sentenza delle Sezioni Unite 27 ottobre 2016 n. 21691, la quale ha precisato che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”;

ritenuto conclusivamente che deve essere accolto, nei sensi di cui sopra, l’ultimo motivo di ricorso nei confronti di S.L., rigettati gli altri;

– che l’impugnata sentenza della Corte di appello di Napoli n. 2263/2010 deve essere conseguentemente cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte in diversa composizione, che provvederà a determinare l’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, secondo i criteri indicati dalla norma, accertando l’esistenza di eventuali contratti o accordi collettivi ai sensi del comma 6 e facendo applicazione, ove necessario, delle disposizioni di natura processuale fissate nel comma 7 della medesima legge;

– che, alla luce della conciliazione intercorsa fra le parti, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere nei confronti di D.M.R..

PQM

 

La Corte accoglie, nei confronti di S.L., l’ultimo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione; dichiara cessata la materia del contendere nei confronti di D.M.R., nulla per le spese nei confronti della stessa.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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