Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16840 del 19/07/2010

Cassazione civile sez. I, 19/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 19/07/2010), n.16840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F., elettivamente domiciliata in Palma Campania, Via

Parrocchia, n. 10, presso l’avv. FERRANTE Mariano, che rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma n. 7 cron.,

pubblicato il 3 gennaio 2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

giorno 8 luglio 2010 dal Relatore Pres. Dott. Ugo VITRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 15 maggio 2006 – 3 gennaio 2007 la Corte d’Appello di Roma condannava il Ministero della Giustizia a pagare la somma di Euro 500,00 in favore di P.F. a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lei instaurato dinanzi al Giudice del Lavoro di Nola con ricorso in data 12 gennaio 1999, concluso in primo grado con sentenza del 17 aprile 2003 e tuttora pendente in grado di appello. Osservava la Corte che:

il giudizio presentava un’eccedenza temporale di due anni e due mesi, dalla quale andava detratto il periodo di sei mesi intercorso tra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione dell’appello. Ciò premesso, considerata la modestia della posta in gioco, liquidava a titolo di equa riparazione la somma di Euro 500,00, corrispondenti a circa Euro 300,00 per ogni anno di ritardo.

Contro il decreto ricorre per cassazione P.F. con diciotto motivi di ricorso.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente si duole che il decreto impugnato non abbia fatto diretta applicazione delle norme della Convenzione CEDU disapplicando le norme nazionali eventualmente in contrasto con essa.

La censura non ha fondamento poichè, a differenza di quanto avviene in materia di regolamenti comunitari, le norme della Convenzione CEDU non trovano diretta applicazione nell’ordinamento nazionale salvo l’obbligo del giudice di interpretare il diritto interno alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Cass. 19 novembre 2009, n. 24399).

Con il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo si sostiene, in forma ripetitiva e sotto vari profili – quali la contrarietà alla normativa CEDU, la violazione di norme sostanziali e processuali e il vizio di motivazione – che erroneamente sarebbe stato preso in considerazione, ai fini della liquidazione dell’equo indennizzo, il solo arco di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, determinata nella specie in due anni e sei mesi per il primo grado di giudizio.

Trattasi di censura manifestamente infondata alla luce del chiaro disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 e della consolidata giurisprudenza di questa Corte, che impongono di tener conto ai fini dell’equo indennizzo per eccessiva durata di un giudizio, unicamente del periodo di tempo in cui la durata del giudizio abbia ecceduto il termine ragionevole, con esclusione di ogni profilo di illegittimità costituzionale della disposizione citata per contrasto con la normativa europea (Cass. 22 gennaio 2008, n. 1354; 6 maggio 2009 n. 10415; 22, gennaio 2010 n. 1101).

Con il sesto e il settimo motivo la ricorrente si duole che il provvedimento impugnato si sia discostato immotivatamente dai parametri osservati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che riconosce un indennizzo di Euro 1.000,00/1.500.00 per ogni anno di durata del processo.

La censura è fondata poichè, in adesione alla giurisprudenza europea, va considerata equa, per i giudizi dinanzi al giudice ordinario una riparazione in misura di Euro 750,00 per i primi tre anni e di Euro 1.000,00 per gli anni successivi (Cass. 13 aprile 2010, n. 8786) e a tali parametri, disattesi dal decreto impugnato, dev’essere commisurato l’equo indennizzo spettante alla ricorrente.

L’ottavo, il nono, il decimo e l’undicesimo motivo lamentano la contrarietà con le norme CEDU, l’omessa pronuncia e, comunque l’omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2.000,00.

La censura non merita accoglimento poichè la giurisprudenza della Corte di Strasburgo afferma che tale integrazione può essere riconosciuta solo per le controversie previdenziali di particolare importanza, attribuendo conseguentemente al giudice del merito un potere discrezionale di valutazione il cui mancato esercizio non richiede espressa motivazione (Cass. 13 aprile 2010, n. 8786).

Il dodicesimo motivo lamenta la rilevanza attribuita al modesto valore della controversia.

La censura resta assorbita dall’accoglimento dei motivi sesto e settimo.

Parimenti assorbite sono le censure esposte con i motivi successivi, dal tredicesimo al diciottesimo, con i quali si censura, sotto molteplici aspetti, la disciplina delle spese giudiziali che dovranno essere rideterminate a seguito della cassazione del decreto impugnato.

In conclusione il ricorso merita accoglimento limitatamente alle censure esposte con il sesto ed il settimo motivo e, conseguentemente, il decreto impugnato dev’essere cassato; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto può procedersi alla pronunzia nel merito con la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 1.250,00, con gli interessi dalla domanda.

Le spese giudiziali del doppio grado seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto e il settimo motivo, dichiara assorbiti i motivi dal tredicesimo al diciottesimo, rigetta gli altri motivi, cassa il decreto impugnato e, pronunciando nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 1.250,00, nonchè al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado, che liquida, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 780,00, di cui Euro 280,00 per diritti ed Euro 450,00 per onorari, e, per il giudizio di cassazione, in ulteriori Euro 550,00, di cui Euro 450,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge e ne dispone la distrazione a favore del procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2010

 

 

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