Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1684 del 27/01/2010

Cassazione civile sez. III, 27/01/2010, (ud. 19/10/2009, dep. 27/01/2010), n.1684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21554-2005 proposto da:

D.A., procuratore generale dell’ENTE PROVINCIA

NAPOLETANA DEL SS. REDENTORE elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A

DEL CASTAGNO 34, presso lo studio dell’avvocato BELTRANI SERGIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RUSSO DE LUCA BRUNO con delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore Sig.

C.V. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA

194, presso lo studio dell’avvocato AVINO FRANCO, rappresentato e

difeso dagli avvocati AURILIA MATTEO, SALVINI ANTONINO; con delega in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2546/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Prima Sezione Civile, emessa il 25/06/2004;

depositata il 30/08/2004; R.G.N. 3438/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2009 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato BRUNO RUSSO DE LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con citazione notificata in data 2-9-1997 l’ENTE ecclesiastico Provincia Napoletana del SS. REDENTORE (di seguito, brevemente, ENTE ecclesiastico) esponeva che con contratto (OMISSIS) aveva concesso in locazione al COMUNE di (OMISSIS) (di seguito, brevemente, COMUNE) l’impianto sportivo denominato “(OMISSIS)” e che l’ente territoriale, con dichiarazione in data 5-10-1995 del Commissario Prefettizio, che in quel momento lo reggeva, fondandosi su un’errata interpretazione dell’art. 13 del contratto, era receduto dalla locazione, assumendo che la Commissione provinciale di vigilanza sugli spettacoli aveva espresso parere negativo in ordine all’agibilità dell’impianto; precisava che vi era stato, comunque, un accordo tra le parti, in occasione del quale si era raggiunto un’intesa in ordine all’esecuzione, in parte a carico del locatore e in parte a carico del conduttore, delle opere necessarie per ottenere l’agibilità e che, peraltro, l’accordo non aveva avuto seguito alcuno, pur continuando l’impianto ad essere utilizzato dal COMUNE. L’ENTE ecclesiastico chiedeva, dunque, in via principale, che – accertato che il contratto non si era risolto – il COMUNE venisse condannato al pagamento dei canoni dovuti e non pagati per un importo pari a L. 77.000.000 oltre accessori e, in subordine, ove si fosse accertata la risoluzione contrattuale, che il COMUNE fosse condannato al pagamento della stessa somma a titolo di risarcimento per la mancata restituzione dell’impianto ai sensi dell’art. 1591 c.c.. In seguito aggiornava la domanda, tenendo conto delle ulteriori mensilità scadute sino al momento della precisazione delle conclusioni, chiedendo la condanna del COMUNE al pagamento di L. 283.500.000 (Euro 141.415,53) oltre accessori.

Resisteva il COMUNE, il quale chiedeva il rigetto della domanda e, a sua volta, proponeva domanda riconvenzionale, perchè fosse accertato che il contratto di locazione si era risolto per inadempimento del locatore e, in subordine, a causa del suo recesso.

Disposto il mutamento del rito, la causa era istruita con prova orale e documentale e, quindi, decisa con sentenza in data 5-11-2002 con la quale il Tribunale di Torre Annunziata, sez. distaccata di Torre del Greco, respingeva tutte le domande dell’ENTE ecclesiastico e accoglieva, invece, quella riconvenzionale subordinata del COMUNE, dichiarando che il contratto si era risolto per il recesso del conduttore; compensava le spese di lite.

1.2. La decisione, gravata da impugnazione dell’ENTE ecclesiastico, era confermata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza in data 25-6-2004, che rigettava l’impugnazione, compensando le ulteriori spese.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ENTE ecclesiastico, svolgendo quattro motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito il COMUNE, depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione del comb. disp. delle seguenti norme: art. 1587 c.c. (conservazione della cosa locata da buon padre di famiglia), art. 1588 c.c. (deterioramento della cosa locata, segnatamente, comma 2), art. 1590 c.c. (restituzione della cosa locata), art. 1591 c.c. (danni per ritardata restituzione). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia preso in considerazione la circostanza che la situazione di degrado, che aveva determinato il parere negativo della Commissione di vigilanza in ordine all’agibilità dell’impianto sportivo concesso in locazione, era dipesa dalla violazione dell’obbligo di diligenza a carico del conduttore (art. 1587 c.c.) e dell’obbligo di riparazione, sia straordinaria che ordinaria, gravante sulla medesima parte, allorchè il deterioramento della cosa sia stato cagionato da persone da esso ammesse sui luoghi (art. 1588 c.c.). In tale situazione la mancata esecuzione di lavori, da ritenersi a carico del COMUNE, ancorchè di natura straordinaria, non avrebbe potuto comportare la risoluzione del contratto di locazione; in ogni caso, quand’anche si ritenesse legittima la risoluzione, sino alla riconsegna del bene locato con la verifica in contraddittorio del relativo stato, resterebbe ferma l’obbligazione del conduttore di pagare il canone.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione di norme (art. 1209 c.c. offerta reale e art. 1216 c.c. intimazione di ricevere la consegna di un immobile) o, comunque, violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto legittima la semplice comunicazione di offerta “a tavolino” dell’impianto (in quanto il COMUNE si sarebbe rifiutato di consegnare l’impianto stesso “sul campo” con la verifica delle condizioni d’uso) e abbia disatteso un recente orientamento di legittimità, che per la liberazione dell’obbligo di pagamento del canone richiede l’offerta formale;

osserva, quindi, che i giudici di appello hanno ritenuto che l’offerta non formale escludesse la mora del conduttore, liberandolo dall’obbligo di pagamento del canone, sulla base di alcune decisioni di legittimità, di cui non avrebbero in realtà colto la reale portata, posto che l’obbligazione di cui all’art. 1591 c.c. va esclusa, semprechè il rifiuto del locatore non risulti giustificato;

si duole, altresì, che la relativa domanda di pagamento sia stata dichiarata nuova, ancorchè contenuta nel ricorso originario.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione delle norme di legge: artt. 1576 e 1577 c.c. in comb. disp. con gli artt. 15871588 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto che le opere di ripristino gravassero sul locatore, confondendo il concetto di manutenzione per i danni che sorgono nella cosa (per vetustà, fatti accidentali) con quello di manutenzione necessaria per eliminare un guasto provocato dall’uomo.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione dell’art. 1216 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto contraddittoria la posizione dell’ENTE ecclesiastico per non avere, da un lato, accettato la risoluzione del contratto e per avere, dall’altro, preteso il danno per la mancata consegna o la formale offerta. Osserva che, in via principale, si sosteneva (e si sostiene, almeno sino al rilascio effettuato nel 2002) che il contratto non poteva essere sciolto; mentre in subordine si chiedeva – qualora fosse stata accertata la risoluzione – la corretta riconsegna dell’immobile nello stesso stato in cui era stato consegnato ovvero l’offerta formale del bene ex art. 1216 c.c..

2. I motivi di ricorso, per buona parte ripetitivi e, comunque, logicamente interconnessi, possono nella sostanza ricondursi ad un duplice ordine di censure, segnatamente deducendo l’ENTE religioso:

a) innanzitutto l’insussistenza dei presupposti per la risoluzione della locazione, per essere le opere di ripristino necessarie per l’agibilità dell’impianto (il cui diniego aveva dato luogo al recesso del COMUNE) di competenza del medesimo conduttore; in tale prospettiva la risoluzione del contratto sarebbe intervenuta (evidentemente per mutuo consenso) solo al momento dell’effettivo rilascio avvenuto nelle more dell’appello nell’anno 2002, con conseguente obbligo di pagamento del canone sino alla stessa data;

b) in subordine – per l’ipotesi di ritenuta validità del recesso – la sussistenza della mora debendi del conduttore, vuoi in considerazione dell’informante e inidoneità dell’offerta “a tavolino” a liberare il conduttore dall’obbligazione di pagamento del canone, vuoi per la legittimità del rifiuto di parte locatrice di ricevere il bene locato, per il mancato ripristino da parte del conduttore del bene locato nel medesimo stato in cui l’aveva ricevuto. Anche in tale seconda e subordinata ipotesi sarebbe, dunque, dovuto il pagamento del canone sino alla data sopra indicata ovvero il pagamento di un importo corrispondente ex art. 1591 c.c..

Va osservato sin da ora che – se si esclude la doglianza sulla “consegna a tavolino”, peraltro categoricamente smentita dai giudici di appello, secondo cui “non risulta in alcun modo che il Comune intendesse operare una consegna a tavolino” (cfr. pag. 10 sentenza) – entrambe le esposte censure propongono una questione, quella della responsabilità del conduttore per il degrado dell’immobile locato, oggetto di altro giudizio inter partes, che (come evidenziato nella decisione impugnata, laddove ha rilevato l’inconferenza delle istanze istruttorie intese ad accertare la cattiva manutenzione del bene locato da parte del COMUNE) esula dal thema decidendum, quale risulta fissato negli atti introduttivi del presente giudizio. Sotto questo profilo appare chiaro che, ai fini della presente decisione, non ha alcuna rilevanza l’esito positivo per l’ENTE religioso dell’altro giudizio di risarcimento del danno, di cui si fa cenno nella memoria difensiva.

2.1. Più nel dettaglio occorre osservare che la censura, nei termini formulati sub lett. a) introduce una questione del tutto nuova, basata su elementi di fatto diversi da quelli dedotti nella pregressa fase di merito per sostenere la principale domanda intesa all’affermazione della prosecuzione del rapporto di locazione.

Invero – come risulta dalla decisione impugnata – nel giudizio di merito il recesso del conduttore è stato contestato dall’odierno ricorrente, da un lato, accampando in termini generici una diversa portata del regolamento contrattuale (argomento, questo, stigmatizzato dalla Corte di appello, per la sua cripticità e, comunque, smentito per il rilievo che l’art. 1 del contratto espressamente prevedeva lo svolgimento di competizioni ufficiali, richiedendo perciò l’agibilità dell’immobile, mentre l’art. 13 riconosceva, in difetto dell’agibilità, il diritto di recesso del conduttore) e, dall’altro, deducendo l’esistenza di una transazione, che poneva i lavori necessari per il conseguimento dell’agibilità in parte a carico del conduttore e in parte a carico del locatore (argomento, questo, respinto dalla Corte di appello per il difetto di prova scritta, necessaria ad substantiam per gli atti degli enti pubblici).

Orbene, nel presente giudizio di cassazione, il ricorrente, senza porre specificamente in discussione le suesposte ragioni delle decisione, pone una questione – quella dell’addebitabilità al conduttore degli oneri di ripristino necessari per il conseguimento dell’agibilità dell’immobile – che prima ancora che risultare nuova, si presenta addirittura in contraddizione con la tesi, svolta in sede di merito, circa l’esistenza di una transazione, che, ponendo nel nulla il recesso del conduttore, avrebbe distribuito gli stessi oneri tra le due parti.

Si rammenta che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano formato oggetto del giudizio di merito, restando escluso, pertanto, che in sede di legittimità possano essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di contestazione involgenti accertamenti di fatto non compiuti, perchè non richiesti, in sede di merito, nè rilevabili d’ufficio (Cass. 5 maggio 2000, n. 5671; Cass. 31 marzo 2000, n. 3928; Cass. 6 giugno 2000, nn. 7583 e 7579). Inoltre, ove una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (qui non assolto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 12 settembre 2000, n. 12025, nonchè da ultimo, Cass. 9 aprile 2001, n. 5255, specie in motivazione).

Il primo ordine di censure va, dunque, dichiarato inammissibile.

2.2. L’altro ordine di censure sub b) si fonda in buona parte sul travisamento della ratio decidendi della sentenza impugnata e ciò precisamente non solo nel punto in cui si deduce l’illegittimità della “consegna a tavolino” (posto che, come già sopra evidenziato, la Corte di appello, lungi dal considerare legittima una pretesa di tal fatta, ha ritenuto indimostrata l’allegazione dell’odierna parte ricorrente), ma anche nel punto in cui ci si duole della ritenuta inammissibilità della domanda di pagamento dell’indennità di occupazione ex art. 1591 c.c. (statuizione, questa, che non si rinviene nella decisione impugnata, la quale ha, piuttosto, evidenziato la tardività e strumentalità dell’assunto del locatore, inteso a fondare il rifiuto della riconsegna del bene locato sulla mancata esecuzione delle opere di ripristino) e ancora relativamente all’addebitabilità dei lavori di ripristino, che sarebbero stati erroneamente ritenuti di pertinenza del locatore solo perchè di straordinaria manutenzione (statuizione che, ancora una volta, non è dato ravvisare nella decisione impugnata, la quale, anzi, ha espressamente escluso la pertinenza al dibattito processuale della questione relativa alla responsabilità del degrado dell’immobile).

Invero la Corte di appello – precisato che le opere di cui si discuteva non erano sicuramente dipendenti da trasformazioni ed innovazioni da parte del conduttore (artt. 1592 e 1593 c.c.) che alterano la consistenza e la struttura della cosa e implicano l’esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, legittimando il rifiuto del rilascio (cfr. Cass., n. 6798/93; Cass., n. 6856/98) – ha affermato il dovere del locatore di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio che subisce, facendo espressamente salvo l’eventuale risarcimento per i danni dalla stessa parte subiti per fatto del conduttore, in considerazione dell’estraneità al tema del decidere della questione della responsabilità e, quindi, della natura e delle cause dei danni.

2.2.1. Merita soprattutto puntualizzare che l’argomento da ultimo riportato risulta svolto ad abundantiam (“a voler seguire l’appellante nella sua impostazione”), laddove il nucleo centrale della decisione si rinviene nel convincimento, espresso immediatamente prima, che “l’offerta non formale del Comune sia stata rifiutata perchè l’ente ecclesiastico riteneva (a torto) ancora in vigore il contratto e quindi pretestuosa e illegittima sia la dichiarazione di recesso che la successiva offerta di rilascio e solo in corso di causa abbia cercato di aggiustare il tiro, facendo riferimento alle condizioni in cui si trovava l’impianto ed al suo preteso diritto di rifiutare la consegna, in mancanza del ripristino o della constatazione dello stato dei luoghi in contraddittorio” (cfr. pag. 11 della sentenza).

E’ quindi qui applicabile il principio, secondo cui è inammissibile in sede di legittimità il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e, pertanto, non costituente una ratio decidendi della medesima.

Infatti, un’affermazione siffatta contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. civ., Sez. 3, 05/06/2007, n. 13068; cfr. anche Cass. civ., Sez. 5, 22/04/2009, n. 9493).

2.2.2. E’ il caso di aggiungere – quanto all’altra censura svolta con riguardo all’argomento centrale della decisione – che, contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente, i giudici di appello non hanno ravvisato una contraddittorietà tra la domanda principale (di pagamento del canone) e quella subordinata (di pagamento dell’indennità di occupazione ex art. 1591 c.c.), ma hanno, piuttosto, evidenziato che era la stessa pretesa alla continuazione del rapporto a qualificare in termini inequivoci le ragioni del rifiuto di consegna. In altri termini proprio perchè il locatore riteneva (a torto) che il rapporto doveva continuare, doveva necessariamente escludersi che il rifiuto della consegna fosse stato giustificato dalla violazione dell’obbligo di ripristino dell’originario stato dell’immobile o dalla mancata constatazione in contraddittorio, secondo il nuovo e strumentale assunto difensivo;

inoltre, considerata l’infondatezza della pretesa alla perdurante vigenza del rapporto, doveva ritenersi illegittimo il rifiuto della riconsegna che ne era derivato.

2.3. Quanto all’altro profilo della censura, con il quale il ricorrente critica la mancata adesione da parte dei giudici di appello all’indirizzo espresso in alcune sentenze di legittimità, secondo cui il conduttore, per sottrarsi al pagamento del corrispettivo, e non versare quindi in mora debendi, deve effettuare la riconsegna dell’immobile al locatore o fargliene offerta formale ai sensi dell’art. 1216 c.c. col risultato di costituire in mora accipiendi l’altra parte e di liberarsi dalla sua obbligazione (cfr.

Cass. n. 2086/2002, Cass. n. 1941/2003), occorre osservare che si tratta di una doglianza generica, che non infirma le argomentate ragioni della decisione nel punto in cui enuncia le ragioni della diversa opzione interpretativa, conforme all’indirizzo definito “tradizionale” nella sentenza impugnata (Cass. 26-4-2002 n. 6090;

Cass. 17-3- 1999, n. 2419) e, comunque, anche recentemente confermato da questa stessa sezione (sentenza 3-9-2007, n. 18496).

Il Collegio ritiene in ragione della struttura lessicale dell’art. 1591 c.c. di doversi uniformare a quest’ultimo indirizzo per il quale il conduttore può evitare di essere costituito in mora anche a mezzo di un’offerta non formale al locatore che, se illegittimamente rifiutata da quest’ultimo, esclude la mora del conduttore nell’adempimento dell’obbligo di restituzione (cosicchè per tale aspetto essa è parificatile all’offerta formale), e conseguentemente, esclude per il conduttore l’obbligo di pagare al locatore il corrispettivo convenuto previsto dall’art. 1591 c.c. riferendosi detta norma espressamente al “conduttore in mora” (Cass. n. 6090/2002, nonchè Cass. n. 2419/1999). Invero – cessato il contratto di locazione -non è configurabile l’obbligo di pagamento del canone secondo le scadenze pattuite e la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell’obbligo di restituzione della cosa locata: in tali casi il canone convenuto, che a norma dell’art. 1591 c.c. il conduttore in mora è tenuto a corrispondere sino alla riconsegna (cd. indennità di occupazione) costituisce solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno minimo da risarcire al locatore, versando il relativo importo (salvo, quindi, il risarcimento del danno maggiore che spetta al locatore provare). E poichè l’offerta informale esclude la mora ai sensi dell’art. 1220 c.c. l’adozione da parte del conduttore di altre modalità di offerta di riconsegna dell’immobile locato (diverse, cioè, dall’offerta ex art. 1216 c.c.), purchè serie, concrete e tempestive (aventi, quindi, valore di offerta reale non formale, ex art. 1220 c.c.), semprechè non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, è idonea ad evitare la mora del conduttore circa l’esecuzione della sua prestazione e a produrre ogni altro effetto connesso alla dichiarazione di volontà da lui espressa sostanzialmente (Cass. n. 2419/1999). Ed è ciò che – per le ragioni sopra dette (cfr. 2.2. e 2.2.2.) – si ritenuto avvenuto nel caso di specie.

In definitiva nessuna delle argomentazioni svolte a sostegno anche del secondo ordine di censure, come individuato sub b) merita accoglimento.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie e alla non uniformità di giurisprudenza sulla questione da ultimo trattata, stimasi equo compensare interamente le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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