Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1684 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 26/01/2021), n.1684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6305/2015 proposto da:

A.P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

140, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO MAMBELLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA CENTRO S.P.A;

– intimata –

avverso la sentenza n. 60/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/02/2014 R.G.N. 1151/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

con sentenza del 20 febbraio 2014, la Corte d’appello di Bologna, a conferma della sentenza di prime cure, rigettava le opposizione a cartelle, riunite in unico giudizio e proposte da A.P.P., con le quali era stato ingiunto allo stesso A. di pagare all’INPS i contributi dovuti alla Gestione lavoratori autonomi per la di lui moglie C.F. per l’intero anno di iscrizione, ritenuta in sede ispettiva familiare coadiutore operante con continuità ed essendo stata ritenuta, ai fini dell’obbligo di iscrizione, irrilevante la caratteristica stagionale dell’attività di collaborazione all’impresa commerciale di cui egli era titolare;

contro tali statuizioni ricorre A.P.P. con due articolati motivi di censura;

resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

preliminarmente va rilevata la genericità della eccezione di tardività del ricorso per cassazione, in relazione alla disciplina transitoria del nuovo testo dell’art. 327 c.p.c., ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, sollevata dall’INPS in ragione del fatto che il termine lungo per impugnare sarebbe quello semestrale e non annuale quanto a due delle tre cause riunite in primo grado; a prescindere da ogni altra considerazione sulla operatività del meccanismo di concentrazione delle impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.) in ipotesi di cause riunite ex art. 274 c.p.c., va rilevato che la sentenza impugnata non contiene alcuna indicazione sulle date di deposito di ciascuno dei tre ricorsi introduttivi riuniti in primo grado; inoltre, il controricorrente indica, senza allegare gli atti, date in parte inverosimili (non si comprende come un ricorso depositato il 20 aprile 2010 possa aver avuto assegnato il numero di registro generale n. 280 del 2009) ed omette del tutto di specificare i contenuti esatti delle cause riunite che ritiene siano state colpite dal giudicato per tardività; tali carenze impediscono alla Corte di cassazione la concreta disamina della eccezione, seppure la stessa sia relativa ad atti processuali, dovendo comunque essere proposte questioni sufficientemente specifiche e quindi tali da consentire il riscontro di legittimità, tanto più nel caso di specie, ove si profila il formarsi di un giudicato parziale e dal contenuto del ricorso per cassazione (pag. 3) si descrive una sorta di coincidenza di causa petendi e di petitum tutti derivanti da unico verbale di accertamento ispettivo e dalla consequenziale pretesa contributiva; con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 613 del 1966, art. 2,L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, in relazione agli artt. 3,23 Cost. ed all’art. 12 disp. gen.; in sostanza ci si duole che la sentenza abbia dato atto dell’esistenza di un vuoto normativo (relativo alla ipotesi di collaborazione familiare prestata a favore di imprenditore stagionale) e ciò nonostante abbia affermato l’obbligo contributivo per l’intero anno di iscrizione, con ciò trascurando la necessità che l’attività del collaboratore familiare rivesta i caratteri dell’abitualità e della prevalenza ed inserendo l’inesistente requisito della professionalità della stessa collaborazione;

con il secondo motivo, si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 23 Cost. e dell’art. 1 disp. gen., in relazione alla L. n. 613 del 1966, art. 2 e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, in ragione del fatto che, in difetto di espressa disciplina di legge, la sentenza impugnata ha ritenuto valida fonte dell’obbligo di iscrizione per l’intero anno nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali un mero atto interno dell’INPS (circolare n. 147 del 2/11/2004), con ciò incorrendo anche in vizio di motivazione per omesso esame circa un dato materiale (la medesima circolare) che era stata oggetto di discussione tra le parti ciò posto, i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;

questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la L. n. 613 del 1966, art. 2 (a norma del quale “si considerano familiari coadiutori il coniuge, i figli legittimi o legittimati ed i nipoti in linea diretta, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, che partecipano al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, semprechè per tale attività non siano soggetti all’assicurazione generale obbligatoria in qualità di lavoratori dipendenti o di apprendisti”), va interpretato nel senso che l’obbligo di iscrizione per il familiare coadiutore sussiste allorchè la sua prestazione lavorativa sia abituale, in quanto svolta con continuità e stabilmente e non in via straordinaria od eccezionale (ancorchè non sia necessaria la presenza quotidiana ed ininterrotta sul luogo di lavoro, essendo sufficiente escluderne l’occasionalità, la transitorietà o la saltuarietà) e prevalente, in quanto resa, sotto il profilo temporale, per un tempo maggiore rispetto ad altre occupazioni del lavoratore (così Cass. n. 9873 del 2014), restando conseguentemente esclusa ogni valutazione concernente la prevalenza del suo apporto rispetto agli altri occupati nell’azienda, siano essi lavoratori autonomi o dipendenti;

la Corte territoriale si è attenuta a tale principio, dal momento che ha accertato che C.F. non svolgeva altra attività lavorativa nel periodo in esame, come dalla stessa riferito unitamente al proprio coniuge e che all’atto della domanda di iscrizione lo stesso titolare aveva dichiarato che la coadiutrice svolgeva la propria opera con “abitualità e prevalenza”;

trattasi di valutazione in fatto del giudice di merito, insindacabile dalla Corte di Cassazione ed in ordine alla quale non è stato neanche formulato motivo di ricorso;

la censura, trascurando tali aspetti, si incentra sulla affermazione della erronea ricostruzione giuridica operata dalla sentenza impugnata, derivante dal presupposto che l’obbligo di iscrizione e contribuzione per l’intero anno sarebbe stato basato sulla previsione della circolare Inps n. 147 del 2004 e non sulla legge;

in sostanza, il ricorrente lamenta che i contributi previdenziali relativi alla moglie, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, avrebbero dovuto essere calcolati non già sul livello minimo imponibile sancito in ragione d’anno dalla L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1, comma 3, ma, piuttosto, sulla base del livello minimo imponibile computato sul periodo, di durata inferiore all’anno, corrispondente a quello in cui l’attività lavorativa è stata effettivamente svolta;

tale assunto è errato per diverse ragioni: a prescindere infatti che l’accertato carattere della non persistente quotidiana esecuzione delle prestazioni della coadiutrice nel corso dell’anno, ma solo in alcuni mesi, non consente di determinare il periodo effettivo di svolgimento di tali prestazioni, come già rilevato da Cassazione n. 9873 del 2014 sopra citata, resta insuperabile il chiaro ed inequivoco tenore letterale della L. n. 233 del 1990, art. 1, comma 3, che fissa il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, dovuti alle gestioni di cui al comma 1, da ciascun assicurato, nella misura del minimale annuo di retribuzione, ciò che non consente all’interessato di provare un reddito effettivo inferiore a quello corrispondente alla presunzione di legge (cfr., in questi termini, Cass. 23 dicembre 1999 n. 14498; Cass. 10 settembre 2009 n. 19502);

tale regime contributivo imposto dalla legge non è correlato alla durata della prestazione nel corso dell’anno ma al reddito prodotto nel corso dell’anno e ciò priva di sostanziale rilevanza giuridica la questione sollevata relativa alla interruzione nel periodo della collaborazione resa e ne dimostra comunque l’erroneità giacchè non è certo la circolare Inps a disciplinare il regime contributivo del coadiutore familiare;

in conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi; oltre ad Euro 200,00 per esborsi; spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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