Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16839 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 07/08/2020), n.16839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15908-2013 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 28,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO BOTTACCHIARI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI ROMA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 112/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 03/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2020 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate notificò al Cavaliere del Lavoro B.A. avviso di accertamento col quale recuperava, ai fini IRPEF, il reddito da fabbricati non dichiarato per l’anno 1996 sulla base delle risultanze catastali, dalle quali emergeva che il predetto possedeva, esclusivamente o pro quota, 85 unità immobiliari site in Italia.

L’atto fu impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, sia sul presupposto della nullità della notifica dell’atto impositivo che nel merito, assumendo il contribuente che le risultanze catastali, notoriamente non aggiornate, non potessero costituire prova della proprietà del B. delle suddette unità immobiliari.

La Commissione tributaria provinciale (CTP) di Roma accolse il ricorso in relazione ad entrambi i profili.

Sull’appello proposto dall’Ufficio la Commissione tributaria regionale (CTR) del Lazio respinse il gravame, soltanto ribadendo la già ritenuta nullità insanabile della notifica del ricorso di primo grado.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate propose ricorso per cassazione, che fu accolto da questa Corte con ordinanza n. 23879/10, depositata il 24 novembre 2010, che ritenne che la notifica dell’atto impositivo avesse perseguito il proprio scopo, con conseguente sanatoria dell’atto stesso, avendo il contribuente proposto tempestiva impugnazione avverso detto atto.

La sentenza impugnata fu dunque cassata, con rinvio alla CTR del Lazio in diversa composizione affinchè esaminasse il merito della vicenda.

Riassunto il giudizio, la CTR del Lazio, con sentenza n. 112/29/12, depositata il 3 maggio 2012, non notificata, accolse l’appello dell’Ufficio, confermando in toto la legittimità dell’accertamento.

Avverso detta ultima sentenza della CTR del Lazio il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il contribuente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la decisione impugnata, laddove ha osservato che “Il ricorrente (…) non ha fornito alcuna prova della non riconducibilità delle unità immobiliari alla propria persona”, abbia violato il criterio di riparto dell’onere della prova di cui al menzionato art. 2697 c.c., incombendo all’Amministrazione, quale attore in senso sostanziale, l’onere di provare la proprietà in capo al contribuente delle unità immobiliari attraverso le risultanze del Servizio di Pubblicità Immobiliare, essendo peraltro i dati desumibili dall’ex Conservatoria dei Registri Immobiliari nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria, e ciò in conformità al principio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 4.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza o del procedimento per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la sentenza impugnata ha accolto integralmente l’appello dell’Ufficio, sebbene la stessa Amministrazione finanziaria avesse, sin dal ricorso in appello, proposto domanda subordinata per l’ipotesi che fosse stata, provata dal contribuente la carenza di titolarità di tre unità immobiliari, con la successiva memoria proposta nello stesso giudizio di appello abbandonando poi l’originaria pretesa impositiva e chiedendo quindi la conferma della legittimità dell’accertamento in relazione a n. 81 delle 85 unità immobiliari originariamente censite come di proprietà del B., con ciò violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Il contribuente ha al riguardo ulteriormente rilevato come nel corso del giudizio di rinvio l’Ufficio avesse poi manifestato un ulteriore riconoscimento della prova da parte del contribuente in ordine alla propria carenza di titolarità del diritto di proprietà con riferimento ad ulteriori 22 immobili, concludendo, quindi, per la conferma dell’accertamento con riferimento all’omessa dichiarazione dei redditi da fabbricati per i quali non fosse stata fornita la prova della non riconducibilità al contribuente nell’annualità accertata.

3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia per non aver tenuto in conto alcuno le risultanze documentali, che avevano ampiamente dimostrato la non riconducibilità al B. quale proprietario di un cospicuo numero di unità immobiliari, sia per l’evidente illogicità della sentenza medesima, nella parte in cui ha inteso addurre a sostegno del convincimento espresso sulla piena legittimità dell’accertamento impugnato il fatto che l’Ufficio avesse prodotto sedici visure relative a note di trascrizione riguardanti compravendite ante 1996 (anno in contestazione), dando atto nel contempo che peraltro si trattava di compravendite riferite ad immobili non compresi nell’elenco da cui è scaturito l’accertamento.

4. Il primo motivo è infondato e va rigettato.

Il ricorrente propone una lettura parziale della sentenza impugnata.

La statuizione oggetto di censura da parte del contribuente, secondo cui “Il ricorrente L.) non ha fornito alcuna prova della non riconducibilità delle unità immobiliari alla propria persona”, va, in effetti, intesa in stretto collegamento con quanto rilevato dalla CTR nella parte della sentenza propriamente inerente all’esposizione dello svolgimento del processo, laddove la CTR dà atto che “l’Ufficio depositava le risultanze dei Registri Immobiliari, facendo rilevare come degli 85 immobili solo 4 risultassero non più intestati al contribuente”.

Se, come pare doversi intendere dalla decisione impugnata, detta produzione documentale è da intendersi riferita all’intero compendio immobiliare preso in considerazione ai fini dell’oggetto della contestazione di cui all’atto impositivo, la succitata statuizione oggetto di censura con il primo motivo di ricorso non si pone in contrasto con la regola di riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., dovendo ritenersi che la sentenza impugnata abbia, sia pure con motivazione carente ed illogica secondo quanto esposto di seguito nel paragrafo successivo, ritenuto che con la produzione della suddetta documentazione l’Amministrazione finanziaria abbia soddisfatto l’onere della prova su di essa incombente e che viceversa il contribuente non abbia dimostrato il fatto impeditivo o estintivo dell’avversa pretesa tributaria.

5. Possono quindi essere esaminati congiuntamente il secondo ed il terzo motivo, tra loro connessi.

5.1. Essi sono fondati.

Premesso che al presente giudizio, avente ad oggetto ricorso per cassazione avverso sentenza di CTR pubblicata anteriormente all’11.9.2012, trova applicazione la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo anteriore a quello sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, la sentenza impugnata risulta gravemente carente sotto il profilo motivazionale, omettendo per un verso di dare conto alcuno delle risultanze documentali acquisite sin dall’originario giudizio di appello e che avevano già indotto l’Amministrazione a ridurre il numero delle unità immobiliari per le quali si era contestata al B. l’omessa dichiarazione di redditi da fabbricati, di modo che qualora fossero state esaminate ne sarebbe derivato un esito quanto meno parzialmente diverso del giudizio, per altro verso adducendo in maniera del tutto illogica, a sostegno della pronunciata legittimità in toto dell’accertamento impugnato, il riferimento ad altre unità immobiliari che pacificamente non risultavano oggetto dell’originario accertamento, rispetto alle quali, evidentemente, non poteva essere integrata l’originaria pretesa impositiva.

5.2. Ricorre, pertanto, sia il denunciato vizio quanto meno d’insufficiente motivazione, secondo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione applicabile ratione temporis (cfr., tra le molte, Cass. sez. 2, ord. 27 agosto 2018, n. 21223; cass. sez. lav. 26 ottobre 2013, n. 24092), sia il denunciato error in procedendo per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avendo, sin dall’originario giudizio di appello e poi in sede di giudizio di rinvio, l’Amministrazione concluso affinchè il recupero a tassazione fosse circoscritto agli immobili che effettivamente fossero risultati per l’anno 1996 in proprietà al B. rispetto alle 85 unità immobiliari censite originariamente come di proprietà, in tutto o in parte, del B. medesimo per l’anno suddetto. Può al riguardo rilevarsi come la stessa difesa erariale, pur nella formale richiesta di rigetto dell’avverso ricorso, nel ricordare come il processo tributario si configuri come giudizio d’impugnazione – merito (cfr., tra le altre, più di recente, Cass. sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27560; Cass. sez. 5, 19 settembre 2014, n. 19750), di fatto finisca con il riconoscere come la sentenza impugnata, ignorando in toto le allegazioni documentali intervenute in corso di giudizio, abbia contravvenuto alla necessità che il giudice di merito valutasse non soltanto se l’atto impugnato fosse o meno formalmente legittimo nell’an, ma pronunciasse ugualmente sul quantum della pretesa impositiva, ove le risultanze istruttorie non avessero consentito di confermarla integralmente.

6. Il ricorso va pertanto accolto in relazione al secondo ed al terzo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale (CTR) del Lazio in diversa composizione.

Segnatamente il giudice di rinvio verificherà, sulla base delle risultanze della documentazione prodotta in giudizio rinveniente dal Servizio di pubblicità Immobiliare (ex Conservatoria dei pubblici registri immobiliari) se le ulteriori 22 unità (oltre alle quattro per le quali vi è stato espresso riconoscimento da parte dell’Ufficio della non titolarità della proprietà in capo al B.) delle quali il contribuente contesta la riferibilità a se stesso, risultino o meno ad esso ascrivibili, in ordine all’entità dell’omessa dichiarazione di redditi fondiari oggetto della contestazione di cui all’atto impositivo.

7. Resta altresì demandata al giudice di rinvio la disciplina delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso in relazione al secondo e terzo motivo, rigettato il primo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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