Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16838 del 19/07/2010

Cassazione civile sez. I, 19/07/2010, (ud. 07/07/2010, dep. 19/07/2010), n.16838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.P., domiciliato in Roma, Via degli Scipioni 132,

presso l’avv. CIGLIANO F., che lo rappresenta e difende, come da

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2938/2007 cron., della Corte d’appello di

Perugia, depositato il 31 maggio 2007;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

udito il difensore del ricorrente, avv. Cigliano, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Udite le conclusioni del P.M., CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto

dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso principale e il

ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corre d’appello di Perugia ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 7.000,00 in favore di T.P., che aveva proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un processo penale iniziato a suo dire nel 1994 e conclusosi con la sua definitiva assoluzione in appello il 19 novembre 2005.

Ricorre per cassazione T.P. e lamenta, l’erronea determinazione della durata irragionevole del processo e dell’indennizzo relativo, oltre che il mancato riconoscimento del danno patrimoniale derivatogli dalla revoca di incarichi dirigenziali in pendenza del procedimento.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia e propone altresì ricorso incidentale, lamentando che i giudici del merito abbiano sottovalutato l’effettiva complessità del procedimento e omesso di detrarre i due anni di durata ragionevole: imputabili ai rinvii cagionati dalla parte o all’intero giudizio d’appello. Si duole altresì il ministero della regolamentazione delle spese.

Dei ricorsi proposti avverso la stessa sentenza va disposta la riunione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Entrambi i ricorsi sono sede in parte fondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il giudice investito della domanda di equa riparazione del danno derivante dalla irraqionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve preliminarmente accertare se sia stato violato il temine ai ragionevole durata identificando puntualmente quale sia la misura della durata ragionevole del processo in questione, essendo questo un elemento imprescindibile, logicamente e giuridicamente preliminare, per il corretto accertamento dell’esistenza del danno e per l’eventuale liquidazione dell’indennizzo” (Cass., sez. 1^, 9 settembre 2005, n. 17999, m. 584619).

In particolare, “nella valutazione della durata di un procedimento penale, il tempo occorso per le indagini preliminari può essere computato solo a partire dal momento in cui l’indagato abbia avuto la concreta notizia della sua pendenza, solo da tale conoscenza sorgendo la fonte d’ansia e patema suscettibile di riparazione. Ne consegue che, in relazione al momento anteriore alla notificazione del decreto di citazione in giudizio, i ricorrenti sono gravati dall’onere di allegare specificamente quando abbiamo appreso di essere stati assoggettati ad indagine penale” (Cass., sez. 1^, 23 dicembre 2009, n. 27239, m. 610994).

Nel caso in esame i giudici del merito, in mancanza di specifiche indicazioni del ricorrente, hanno fatto riferimento appunto alla data del rinvio a giudizio, il 20 febbraio 1996. T.P. sostiene ora di avere ricevuto nel novembre 1996, l’avviso della richiesta di proroga delle indagini; ma si tratta di deduzione evidentemente inammissibile in questa sede, perchè prospetta nuove questioni di fatto.

Quanto alla durata ragionevole i giudici del merito hanno, per un verso, ritenuto che la complessità del procedimento ne giustificasse una durata di quattro anni per il giudizio di prime grado, per altro verso hanno ritenuto che numerosi rinvii, per complessivi due anni, dovessero addebitarsi a strategie dilatorie della difesa. E tuttavia non hanno considerato, come esattamente rilevato dalla ricorrente incidentale, i due anni di ragionevole durata del giudizio d’appello.

Sicchè deve ritenersi che, corretta tale incongruenza, la durata irragionevole del processo risulta determinata, secondo i giudici del merito, in un anno e sei mesi, anzichè in tre anni e sei mesi.

Contro questa ricostruzione dei tempi del processo muove le sue censure il ricorrente principale, dolendosi sia della valutazione di complessità del procedimento sia della scomputo dei rinvii.

Queste censure sono inammissibili quanto alla valutazione di complessità del provvedimento, come sono inammissibili le analoghe e opposte censure mosse dalla ricorrente incidentale, perchè attengono al merito della decisione impugnata (Cass., sez. 1^ (Ndr: testo originale non comprensibile) novembre 2009, n. 24399, m. 610295).

Sono invece parzialmente fondate le censure del ricorrente principale per quanto attiene ai rinvii, perchè dalla durata ragionevole del processo non possono essere espunti i tempi dei rinvii dovuti a esigenze istruttorie o di definizione dell’oggetto del diritto (Cass., sez. 1^, 25 gennaio 2008, n. 1715, m. 601444). Sicchè, stando a quanto risulta dal decreto impugnato, possono essere scomputati solo sette mesi di durata di rinvii dovuti ad astensione dei difensori dalle udienze o ad assenze di difensori o imputato.

La durata irragionevole del processo va pertanto determinata in due anni e undici mesi.

Sulla base dei criteri di liquidazione adottati dai giudici del merito, pari a Euro 2.000,00 per anno, e non specificamente censurati, l’indennizzo deve pertanto determinarsi in Euro 5.833,33.

Per il resto i ricorsi sono entrambi infondati.

E’, infondata la pretesa di T.P. di ottenere il risarcimento del danno derivatogli dall’instaurazione stessa del processo penale piuttosto che dalla sua durata.

E’, infondata la pretesa dell’amministrazione ad essere almeno esonerata dalla responsabilità per le spese, posto che le è comunque imputabile la necessità del giudizio.

Non essendo pertanto necessari ulteriori accertamenti di fatto, cassato il decreto impugnato, il parziale accoglimento dei ricorsi, la causa può essere decisa con la determinazione in Euro 5.833,33 dell’indennizzo spettante a T.P..

Le spese di questo grado del giudizio possono essere compensate integralmente.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e riduce a Euro 5.833,33 l’indennità spettante a T. P. nel resto i ricorsi e compensa integralmente le spese di questo grado del giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2010

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