Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16836 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 07/08/2020), n.16836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4915 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Sea King s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata

e difesa dall’Avv. Pace Antonio per procura speciale in calce al

ricorso, presso il cui studio in Roma, via Nizza, n. 45, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 106/12/2013, depositata il giorno 2

luglio 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti di Sea King s.r.l. due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2006 e 2007, con i quali aveva contestato l’indebita deduzione di costi e detrazione dell’Iva relativamente a fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, oltre che ricavi non dichiarati relativi ad un conto cassa deficitario con saldi negativi e l’indebita deduzione dall’imponibile del costo relativo a interessi passivi; in particolare, la pretesa dell’amministrazione finanziaria si basava sulle risultanze del processo verbale di constatazione da cui erano emersi elementi presuntivi secondo i quali la società Sea King s.r.l., specializzata nel commercio all’ingrosso di prodotti della pesca freschi, utilizzava fatture per operazioni inesistenti nell’ambito di una frode carosello nel quale operavano due società cartiere (Gruppo Ittico d’Acquisto s.r.l. e Centro Distribuzione Ittica s.r.l.) le quali, dopo avere acquistato la merce, la cedevano al reale destinatario tramite una società “filtro”, la SLI s.r.l.; avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto parzialmente l’appello, in particolare ha ritenuto che: gli elementi indiziari dedotti dall’amministrazione finanziaria erano da considerarsi gravi, precisi e concordanti e quindi idonei a provare che le operazioni erano soggettivamente inesistenti e che, in particolare, la SLI s.r.l. era uno schermo tra le società cartiere e la ricorrente e che questa era consapevole della frode fiscale; l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato; non sussisteva violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis; doveva trovare accoglimento il motivo di appello con il quale la società aveva contestato la pretesa relativa alla non deducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti; la contestazione relativa ad un conto cassa deficitario, con saldi negativi, non era stata oggetto di specifici motivi di ricorso; andava, altresì, confermata la ripresa relativa all’indebita deduzione dall’imponibile del costo relativo ad interessi passivi; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società affidato a cinque motivi di censura;

l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto fondanti gli accertamenti per cui è causa. Erronea qualificazione giuridica della fattispecie per cui è causa”, per avere omesso di analizzare le doglianze della ricorrente, ivi compresi i documenti depositati, i principi dettati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, di pronunciarsi su fatti decisivi della controversia oggetto di discussione tra le parti, addivenendo alla erronea conclusione che la ricorrente sapeva, o comunque, con l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto sapere dell’esistenza della frode carosello all’origine degli accertamento impugnati;

1.1. il motivo è in parte inammissibile e in parte, comunque, infondato;

lo stesso, invero, si struttura, in una commistione di ragioni di doglianza che si profilano, in primo luogo, come ragioni di censura al percorso motivazionale seguito dal giudice del gravame e, quindi, attengono al vizio di motivazione della sentenza, censurata per non avere tenuto in considerazione diversi elementi prospettati dalla ricorrente e non valutati; sotto tale profilo, il motivo attiene ad un vizio della motivazione della sentenza, censurabile entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il testo novellato, e implica, in modo non ammissibile, una riconsiderazione della valutazione di merito compiuta dal giudice del gravame che ha, invero, compiutamente individuato su quali elementi di prova presuntiva poteva addivenirsi alla considerazione conclusiva non solo della inesistenza soggettiva delle operazioni, ma anche della mancanza di buona fede della società ricorrente, fondando la decisione sulle risultanze probatorie a disposizione, senza che possa censurarsi, in questa sede, la scelta degli elementi di prova su cui basare il ragionamento logico seguito;

1.2. in questo contesto, basato sulla mancata considerazione delle ragioni difensive di parte ricorrente e degli elementi di prova dalla stessa proposti, si profila un vizio di violazione di legge, consistente nella non corretta applicazione della normativa interna, anche alla luce della interpretazione della giurisprudenza interna ed unionale, al fine della corretta contestazione della natura soggettivamente inesistente delle operazioni, sia sotto il profilo oggettivo che della prova della mancanza di buona fede della società;

tale ulteriore ragione di doglianza è, tuttavia, infondata;

in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte (Cass. civ., 10 aprile 2018, n. 9851) ha affermato che: a) l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; b) la prova della consapevolezza dell’evasione, peraltro, non richiede che l’Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; c) incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi;

la Commissione tributaria regionale si è attenuta ai suddetti principi: in particolare, ha motivato specificamente sia sulla sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti relativi all’oggettiva fittizietà del fornitore, sia sulla consapevolezza della società che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale;

in particolare, ha posto l’attenzione, con specifico riferimento all’oggettiva fittizietà dell’operazione, sulle seguenti circostanze: era pacifico che le due società che avevano acquistato a monte la merce erano “evasori totali”; l’attività svolta dalla SLI s.r.l. era meramente fittizia, tenuto conto della breve durata della società e dell’irreperibilità del successivo acquirente, della mancanza di dichiarazione dei redditi per il secondo anno di esercizio, della mancanza di struttura idonea allo stoccaggio e alla movimentazione della merce; il ruolo particolare assunto dall’amministrazione e socio unico della SLI s.r.l., il quale, peraltro di giovane età e reticente dinanzi alla Guardia di finanza, era stato dipendente della società 4TH Cliff Lobster s.r.l. (società controllante la Sea King s.r.l.) e, una volta cessate le funzioni di amministratore della SLI s.r.l., era nuovamente ritornato alle dipendenze della medesima società controllante; l’errata indicazione sulla provenienza della merce dalla SLI s.r.l.; il modestissimo margine di utile riservato alla SLI s.r.l., nonchè la mancanza di contestazione dell’elevato margine realizzato dalla ricorrente;

in sostanza, dal complesso degli elementi presuntivi esaminati il giudice del gravame ha concluso, con una valutazione di merito non censurabile in questa sede, che, a prescindere dal dato formale, consistente nella iscrizione all’UVAC della SLI s.r.l. nonchè nella indicazione della provenienza della merce dalla sede della SLI s.r.l., non solo le operazioni di acquisto era compiute da una società “filtro” che, a propria volta, aveva acquistato da società cartiere, ma anche che la società era nelle condizioni, tenuto conto del particolare rapporto esistente con l’amministratore e socio della SLI s.r.l., di sapere, utilizzando la diligenza professionale richiesta, dalla stessa esigibile, che la merce non provenisse dalla SLI s.r.l. e che questa svolgeva solo una funzione di schermo in un contesto di frode carosello, coinvolgente anche altre società cartiere a monte; si tratta, a ben vedere, di un percorso motivazionale in linea con il principio giurisprudenziale sopra indicato che, peraltro, è conforme sul punto alla giurisprudenza unionale;

2. con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di motivazione degli avvisi di accertamento”, per avere ritenuto che gli avvisi di accertamento erano sufficientemente motivati, nonostante il fatto che l’amministrazione finanziaria aveva motivato gli atti impositivi mediante un rinvio acritico ed incondizionato a quanto contenuto nel processo verbale di constatazione;

2.1. il motivo è infondato;

questa Corte (Cass. civ., 28 maggio 2019, n. 26897; Cass. civ. 30 settembre 2016, n. 19534) ha ripetutamente affermato l’erroneità dell’assunto secondo cui le considerazioni e conclusioni della guardia di finanza, quali in genere riportate nei processi verbali di constatazione, quando poste alle base delle motivazioni degli atti impositivi, devono essere oggetto di autonomo vaglio, critico o adesivo, dell’amministrazione fiscale;

pertanto, la motivazione degli atti di accertamento “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio;

la pronuncia del giudice del gravame, sul punto, è conforme al suddetto principio;

3. con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di potestà rettificativa parziale”, in quanto, avendo la ricorrente dato prova della insussistenza, nel caso di specie, di concreti elementi di prova a sostegno delle contestazioni mosse dall’ufficio, non può dirsi rispettata la potestà rettificativa parziale di cui all’art. 41-bis, D.P.R. n. 600/1973, in quanto la stessa può trovare applicazione solo in presenza di elementi certi di prova, di particolare semplicità ed evidenza probatoria, che consentano di accertare l’esistenza di materia imponibile sottratta alla tassazione, esulando dall’ambito di applicazione valutazioni presuntive o estimative;

3.1. il motivo è infondato;

questa Corte ha precisato (Cass. civ., 7 novembre 2019, n. 28681; Cass. civ., 28 ottobre 2015, n. 21984), che “L’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 e al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo ed il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare”;

la pronuncia del giudice del gravame è, dunque, conforme al suddetto principio;

4. con il quarto motivo si censura la sentenza per “omessa pronuncia su di un fatto decisivo della controversia. Sproporzione delle sanzioni irrogate. Il disposto di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4”, per non avere pronunciato sulla questione della sproporzione delle sanzioni irrogate;

4.1. il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, difetta di specificità, non avendo parte ricorrente indicato o riprodotto l’atto difensivo con il quale la questione in esame, relativa alla sproporzione della sanzione applicata, era stata prospettata sia dinanzi al giudice di primo grado che al giudice del gravame, limitandosi genericamente ad affermare come si evince dagli atti di causa, senza altra specificazione;

5. con il quinto motivo sì censura la sentenza per “omessa pronuncia su di un fatto decisivo della controversia. Il saldo negativo di cassa e indebita detrazione Iva”, per avere ritenuto che la ripresa relativa all’indebita deduzione dell’imponibile del costo relativo agli interessi passivi non era stato motivo di appello, così come relativamente alle contestazioni inerenti il saldo negativo del conto cassa, e relativa ripresa Iva;

5.1. il motivo è inammissibile;

la Commissione tributaria regionale ha specificamente esaminato la questione in esame, indicando espressamente, a pag. 3 e 4 della pronuncia, quali erano stati i motivi di appello proposti dalla ricorrente, fra i quali non sono stati individuati quelli indicati con il presente motivo; il giudice del gravame ha, quindi, precisato che solo nella memoria illustrativa parte ricorrente aveva censurato la sentenza per avere fondato la sussistenza della fittizietà dell’operazione anche sulla base di una circostanza, lo scoperto di cassa, che era stato indicato a fondamento di diversa contestazione, relativa ad acquisti non contabilizzati e non fatturati; quindi, in parte motiva, proprio tenendo conto di tale accertamento sul contenuto degli atti difensivi di parte ricorrente, ha precisato che la contestazione relativa al conto cassa nonchè alla ripresa per indebita deduzione dall’imponibile del costo relativo agli interessi passivi non erano stati oggetto di specifici motivi di ricorso;

in ordine, dunque, a tali profili, il giudice del gravame si è pronunciato, sebbene nel senso della mancata proposizione di specifici motivi di appello da parte della ricorrente.

con il presente motivo, in realtà, parte ricorrente prospettata una ragione di doglianza non riconducibile all’omessa pronuncia, ma alla non corretta interpretazione degli atti difensivi, che avrebbe, eventualmente dovuto essere censurata sotto il profilo della non corretta applicazione delle regole di interpretazione degli atti difensivi;

in conclusione, il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato, il secondo e il terzo sono infondati, il quarto e il quinto sono inammissibili, con conseguente rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimata;

si dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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