Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16835 del 05/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16835 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 26527-2010 proposto da:
AGENZIA IPPICA

EL CENTRO S.R.L. 046006390823, in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE
CLODIA 36-A, presso lo studio dell’avvocato PISANI
FABIO, rappresentata e difesa dall’avvocato EQUIZZI
2013

AGOSTINO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1813

IS

contro

QUATROSI MARIA QTRMRA73P65G273Q;
– intimata –

Data pubblicazione: 05/07/2013

Nonché da:
QUATROSI

MARIA

QTRMRA73P65G273Q,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso
lo studio dell’avvocato FALVO D’URSO FRANCESCO,
rappresentata e difesa dagli avvocati GAMBINO LIBORIO,

-controricorrente e ricorrente incidentale contro

AGENZIA IPPICA DEL CENTRO S.R.L.046006390823;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1804/2009 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 31/10/2009 r.g.n. 2152/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/05/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
NAPOLETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale ed incidentale.

SANDRA SERRAINO, giusta delega in atti;

RG 26527-10

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Palermo, parzialmente riformando la sentenza

proposta nei confronti della società Agenzia Ippica del Centro,
avente ad oggetto, previo riconoscimento della natura subordinata
del rapporto di lavoro intercorso con detta società, la condanna
della stessa al pagamento di differenze retributive e la
declaratoria di nullità del licenziamento intimato oralmente con
condanna al pagamento del conseguenziale risarcimento del danno.

A fondamento del

decisum

la Corte del merito, innanzitutto,

rilevava che l’istruttoria espletata dimostrava la sussistenza
della sottoposizione al potere organizzativo e direttivo del datore
di lavoro sicché poteva ritenersi la configurabilità di un rapporto
di lavoro subordinato.

Quanto alle reclamate differenze retributive la Corte territoriale
assumeva che queste trovavaho fondamento nei turni settimanali di
lavoro predisposti dalla società

e nelle dichiarazioni dei testi.

Circa, poi, la dedotta mancata messa a disposizione delle proprie
energie lavorative da parte del lavoratore dopo il licenziamento,
riteneva la Corte che tanto rilevava nel senso, anche a norma
dell’art. 1227 cc, che andavano riconosciute le retribuzioni

impugnata, accoglieva la domanda del lavoratore in epigrafe,

maturate dalla data di notifica del ricorso di primo
essendosi solo da questa data verificata la

grado

mora accipendi

del

datore di lavoro.

Quanto, infine,

tik

all’aliud percep m

la Corte del merito, sul

– nelle more – altra attività lavorativa, procedeva alla relativa
deduzione.

Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base
di tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata che propone a sua volta
impugnazione incidentale assistita da due censure.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando la impugnazione
della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale la società

deduce

violazione “degli artt. 2094 cc e 360 n.3 e 5 cpc per aver la Corte
ignorato, nella qualificazione, del rapporto come di lavoro
subordinato, i presupposti necessari del relativo vincolo e
comunque omesso di motivare, nella ricostruzione delle
caratteristiche del rapporto, sugli elementi di prova decisivi
prospettati dalla Agenzia Ippica”.

Sostiene in particolare la società che, nella specie, manca
l’elemento

fondamentale

subordinazione

della

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rappresentato

presupposto che il lavoratore non aveva mai negato di aver prestato

dall’obbligo di continuativa messa a disposizione del datore di
lavoro, durante l’orario di lavoro, delle energie lavorative senza
possibilità di discrezionale rifiuto immotivato.

Essenziale,

dunque,

afferma

la

società,

sarebbe

stato

scansioni temporali fissate dal datore di lavoro.

Né, afferma la società, la Corte del merito tiene conto delle
specifiche e contrarie prove che erano state indicate nell’atto di
appello.

Neppure, sottolinea la ricorrente, la Corte palermitana rileva la
totale assenza di prova del potere disciplinare.

La censura è infondata.

Preliminarmente va rilevato che questa Corte,

sulla premessa che

ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia
di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, afferma
che l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti
tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale
disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con
assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e
disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento
del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle
sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa (tra
le numerose decisioni(V. Cass. 3 aprile 2000 n. 4036; Cass. 9

3

l’accertamento dell’obbligo di presenza quotidiana o secondo

gennaio 2001 n. 224;Cass. 29 novembre 2002, n. 16697;Cass.1 marzo
2001, n. 2970, Cass.15 giugno 2009 n.13858 e Cass. 19 aprile 2010
n.9251).

Viene, però, precisato,in tale

pronunzie che l’esistenza del

dell’incarico conferito; e, proprio in relazione alle difficoltà
che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di
lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali
ora indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo
ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una
pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza del
rischio economico, l’osservanza di un orario, la forma di
retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito.

E’ stato, di conseguenza enucleata la

regula iuris –

che va in

questa sede ribadita – secondo la quale, nel caso in cui la
prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare,
ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione,
oppure, all’opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di
notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al
fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e
subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del
prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e
disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto,
significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed
occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali
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vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità

la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione
del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la
presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche
con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti
occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di

A tali principi la Corte del merito si è attenuta in quanto, sulla
premessa che il lavoratore in causa era addetto a mansioni
ripetitive e che tali mansioni, una volta ricevute le istruzioni
iniziali, non richiedevano ulteriori direttive e controlli, ha
dato rilievo, ai fini di cui trattasi, alle risultanze istruttorie
dalle quali emergeva che: i turni settimanali erano predisposti
dalla società, ancorché sulla scorta delle disponibilità
inizialmente manifestate dal prestatore di lavoro; una volta
predisposti i turni il lavoratore era tenuto a rispettarli e non
poteva allontanarsi senza essere autorizzato; in caso
d’indisponibilità il lavoratore doveva avvertire preventivamente il
preposto; il lavoro veniva svolto nei locali dell’agenzia con l’uso
di beni aziendali secondo orari predeterminati; il compenso
corrisposto era fisso, senza che vi fosse alcun riferimento al
risultato della prestazione; non vi era alcun rischio economico da
parte del lavoratore.

E’, quindi, corretta l’affermazione della Corte del merito secondo
la quale

il

rapporto era

connotato dal

requisito della

subordinazione, intesa come sottoposizione del lavoratore al potere
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autorganizzazione in capo al prestatore.

organizzativo, di controllo e, all’occorrenza, disciplinare da
parte del datore di lavoro non ravvisandosi, peraltro, nelle
modalità delle prestazioni lavorative come sopra effettuate margini
di autonomia.

disciplinare è indice di per sé di assenza di potere disciplinare.

D’altro

canto

in ordine

alla valutazione delle

emergenze

istruttorie non vi è motivazione illogica o non formalmente
coerente o, ancora inadeguata, sicché anche sotto tale aspetto la
censura è infondata, non potendo, in tale ambito, il controllo
devoluto a questo giudice di legittimità andare oltre.

Con la seconda critica del ricorso principale la società,
denunciando violazione dell’art. 36 Cost. e della Legge n. 604 del
1966 e 300 del 1970, rileva che dall’accoglimento del primo motivo
– sulla natura non subordinata del rapporto di lavoro – deriva
l’inapplicabilità della garanzia costituzionale di cui alla
denunciata norma e delle leggi poste a tutela del lavoratore per il
caso di licenziamento illegittimo.

La critica, atteso il rigetto del primo motivo, rimane assorbita.

Con il terzo motivo del ricorso principale la società ricorrente,
allegando omessa ed insufficiente motivazione su “punto” decisivo
della controversia, evidenzia l’erroneità della sentenza impugnata

6

Né e vale la pena di sottolinearlo il mancato esercizio del potere

in punto di accertamento del tempo della prestazione lavorativa ed
in particolare rileva l’inattendibilità di un teste .

Il motivo è infondato. Va premesso che costituisce principio del
tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la

ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto
il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al
quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti
del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente
idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando,
così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) ( in
tal senso Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267, Cass. 27 luglio 2008
n.2049 e, da ultimo, Cass.25 maggio 2012 n.8298).

In tale ottica si è ribadito da questa Corte che la deduzione del
vizio di cui all’art. 360 n 5 cpc non consente alla parte di
censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali
contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una
sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da
parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto
7

deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con

compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del
ricorso non possono, pertanto, risolversi nella sollecitazione di
una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata
dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della
fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e

marzo 2007 n. 7972).

Neppure, si è ulteriormente rimarcato, il motivo di ricorso per
cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per
vizio della motivazione,

può essere inteso a far valere la

rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del
merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in
particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più
appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che
tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità
di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei
fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai
possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento i
rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360, comma
primo, n. 5), cpc; in caso contrario, questo motivo di ricorso si
risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò,
in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del
giudizio di cassazione (Cass.20 aprile 2006 n. 9233).

8

i

delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito ( Cass.30

Sulla base di tali principi non può trovare ingresso in questa sede
la censura in esame che, a fronte di una valutazione delle
risultanze istruttorie sorretta da congrua motivazione, la quale dà
conto del percorso logico seguito per addivenire all’accertamento
dell’orario di lavoro osservato, mira sostanzialmente a meramente

risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, e la
concludenza delle emergenze valutate.

Con il primo motivo del ricorso incidentale il lavoratore deduce
violazione degli artt. 112 cpc, 1362-1365 cc, travisamento dei
fatti, violazione dell’art. 24 Cost., 1227 cc e 416 cpc nonché
omessa motivazione su “punto” decisivo.

Prospetta il ricorrente sostanzialmente che la Corte del merito ha
errato nell’interpretare il terzo motivo dell’appello della
società dove il mero riferimento alla mancata messa a disposizione
delle prestazioni lavorative veniva in rilevo quale indicatore di
una presunta carenza probatoria.

Assume, poi, il ricorrente incidentale che la Corte non ha tenuto
conto che con atto del 15 settembre 2001 impugnandosi il
licenziamento venne manifestata la volontà di proseguire il
rapporto di lavoro con esclusione, quindi, di ogni colpevole
inerzia.

La censura non è esaminabile.

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contestare, e la scelta del giudice del merito, tra le complessive

Infatti

il ricorrente

incidentale pur lamentando l’erronea

interpretazione dell’atto di appello e la mancata considerazione di
un documento, omette del tutto, in violazione del principio di
autosufficienza, di trascrivere nel ricorso il testo e dell’atto di
appello e del documento mal considerato ( V. Cass. 12 ottobre 1998

2006 n.11886).

Né tale ultimo documento risulta depositato secondo quanto
stabilito, a pena d’improcedibilità, dal n. 4 dell’art 369 cpc,
così come modificato dall’art. 7 D.Lgs del 2 febbraio 2006 n. 40
applicabile ratione temporis.

Con la seconda censura del ricorso incidentale il lavoratore assume
violazione dell’art. 112 cpc,travisamento dei fatti,violazione
degli artt. 345,414,416,420 e 437 cpc nonché omessa motivazione su
“punto” decisivo.

Sostiene al riguardo il ricorrente incidentale che la deduzione da
parte della società

dell’aliunde perceptum è

tardiva, sicché

laCorte del merito non poteva pronunciarsi sulla questione.

Né,

aggiunge,

la

circostanza

di

non voler

accettare

il

contraddittorio equivale ad ammissione sull’avvenuta percezione di
altri redditi da lavoro.

La censura alla luce della giurisprudenza di questa Corte
infondata.

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n.10101 e Cass. 25 settembre 2002 n.13945 nonché Cass. 19 maggio

E’ principio di diritto vivente nella giurisprudenza di questa
Corte che in tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore
azione, con la quale il datore di lavoro deduca che il
dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di
una nuova occupazione ovvero deduca la colpevole astensione da

oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia
riserva in favore della parte. Pertanto, allorquando vi è stata
allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi
incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova
legittimamente disposti, il giudice può trarne d’ufficio (anche nel
silenzio della parte interessata ed anche se l’acquisizione possa
ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le
conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del
danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato ( Cass.
26 ottobre 2010 n.21919).

A tale

regula iuris

il giudice di appello si è attenuto traendo

dalla mancata negazione, da parte del lavoratore , e, quindi, dal
silenzio della parte interessata, il convincimento della avvenuta
corresponsione di altri redditi tali da incidere sulla
quantificazione del danno.

In conclusione i ricorsi vanno rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di
legittimità

11

comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno, non è

P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi li rigetta e compensa le spese del
giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 maggio 2013

Il Presidente

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