Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16834 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 07/08/2020), n.16834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18392 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

S. Andrea Alimentari s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, nonchè L.P., L.R. e

L.N., rappresentati e difesi dall’Avv. Sabino Fortunato per procura

speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliati in Roma,

viale Trastevere, n. 78 (c/o studio Rossi-Fortunato-Corso);

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, n. 20/14/2012, depositata il giorno 20

gennaio 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti di S. Andrea Alimentari s.r.l. due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2003 e 2004, con i quali aveva contestato, mediante accertamento induttivo, un maggior reddito non dichiarato ai fini Irpeg, Ires, Irap, e Iva, e, correlativamente, aveva notificato, a titolo di maggiore Irpef per reddito di partecipazione, rispettivi avvisi di accertamento ai soci ( L.N. e L.P.) e all’amministratore ( L.R.); avverso i suddetti avvisi di accertamento la società ed i soci nonchè l’amministratore avevano proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Bari; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’appello era da considerarsi ammissibile; non sussisteva alcun vizio di motivazione degli avvisi di accertamento; era corretto l’utilizzo del metodo induttivo, attese le irregolarità contabili riscontrate; con riferimento alle vendite di olio di oliva senza fatture, le differenze di qualità non erano state riscontrate unicamente sulla base dei registri di carico e scarico, ma si era tenuto conto del calo naturale nonchè delle differenze di peso riscontrate all’arrivo delle merci; non era stato annotato dalla società lo scarico dal registro dell’eventuale declassamento dell’olio acquistato in olio non commestibile; la sussistenza di ulteriori depositi non era stata indicata al momento dell’ispezione; la ripresa relativa ai versamenti eseguiti dai soci in conto futuro aumento di capitale nonchè alla contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti erano fondate su specifici elementi indiziari, non assumendo rilevanza, sotto quest’ultimo profilo, la sentenza penale di assoluzione dell’amministratore e la ritenuta violazione dell’art. 2710 c.c.; era fondata la ripresa nei confronti dei soci e dell’amministratore, tenuto conto del fatto che si trattava di società a ristretta base azionaria e familiare;

avverso la suddetta pronuncia hanno proposto ricorso la società nonchè i soci e l’amministratore affidato a cinque motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per non avere illustrato il percorso logico-giuridico posto a base della decisione di infondatezza dell’eccezione di mancata impugnazione di tutti i diversi punti della sentenza sulla cui base il giudice di primo grado aveva ritenuto illegittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria; nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., e art. 329 c.p.c., comma 2, per non avere accertato l’esistenza del giudicato interno sui punti della decisione del giudice di primo grado che non erano stati oggetto di appello da parte dell’Agenzia delle entrate;

il motivo è infondato;

va osservato che la ragione di doglianza in esame attiene alla non corretta statuizione del giudice del gravame sulla questione processuale, prospettata dai ricorrenti in sede di giudizio di secondo grado, di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità;

si tratta, dunque, di un vizio di natura processuale, sicchè va ribadito l’orientamento di questa Corte (Cass. Sez. Un., 25 luglio 2019; n. 20181) secondo cui, ogni qual volta si tratti di risolvere una questione in cui l’indagine sia diretta ad accertare se il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, se è vero che la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, non essendo il vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare a suo piacimento i documenti interessati dalla verifica, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame (e che il corrispondente motivo contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a comprendere la dedotta violazione) ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo di consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato;

con riferimento al caso di specie, i ricorrenti si limitano a contestare il mancato rilievo della non specificità dei motivi di appello proposti dalla controricorrente, senza riprodurre il contenuto del suddetto atto di impugnazione e della sentenza di primo grado;

peraltro, le considerazioni espresse con il presente motivo si scontrano con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame che, proprio in relazione alla eccezione di inammissibilità prospettata dagli attuali ricorrenti, l’ha ritenuta infondata, in quanto l’appello critica e censura la sentenza nel suo complesso e non solo singole parti, facendo intravedere per le restanti un conseguente passaggio in giudicato della decisione. Infatti contesta in toto la sentenza dei primi giudici che hanno ritenuto insussistente la prova della pretesa erariale (…);

in sostanza, il giudice del gravame ha esaminato il contenuto dell’atto di appello e la ragione di fondo sulla cui base era stata ritenuta illegittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria, e ha fatto conseguire il giudizio di ammissibilità dello stesso, ritenendo che, proprio in quanto la sentenza era stata oggetto di censura nella sua totalità, non era possibile ritenere che talune parti della pronuncia fossero passate in giudicato;

pertanto, ha valutato le ragioni di fondo della sentenza del giudizio di primo grado ed ha ritenuto che i motivi di appello fossero tesi a contestare le suddette ragioni;

va quindi ribadito l’orientamento di questa Corte (Cass. civ., 20 dicembre 2018, n. 32954) secondo cui, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci;

pertanto, l’accertamento compiuto dal giudice del gravame in ordine al contenuto dell’atto di appello e alla sua esaustività sotto il profilo della specificità dei motivi prospettati esclude che possa ravvisarsi il vizio processuale prospettato e, correlativamente, il giudicato interno su parti della sentenza censurata;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 54, comma 2, dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2700 c.c.;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che la pronuncia censurata avrebbe motivato, con specifico riferimento a diversi passaggi motivazionali, in modo contraddittorio, e, inoltre, avrebbe erroneamente attribuito alle dichiarazioni di terzi la valenza di prova testimoniale o di presunzioni gravi, precise e concordanti, mentre avrebbero potuto, eventualmente, avere valore indiziario da riscontrare mediante ulteriori elementi indiziari;

il motivo è infondato;

con riferimento alla questione della contraddittorietà della motivazione, va osservato che i passaggi riportati, e sui quali si innesta la ragione di censura in esame, attengono ad una valutazione, in astratto, compiuta dal giudice del gravame il quale ha precisato, in sostanza, che non era corretta la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto non legittima la pretesa in base alla considerazione che l’amministrazione finanziaria non aveva fornito alcuna prova documentale a sostegno dell’atto impositivo;

è, quindi, in relazione a tale affermazione, su cui si era fondata la decisione del giudice di primo grado, che, invero, il giudice del gravame ha contrapposto la valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi contenute nel processo verbale di constatazione nonchè di quanto riportato nei verbali della Guardia di finanza;

tale ricostruzione, che attiene, come detto, alla valutazione in astratto della valenza probatoria del processo verbale di constatazione, è in linea con quanto precisato da questa Corte (Cass. civ., 18 dicembre 2019, n. 33582) che ha affermato che il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore” (Cass. n. 28060 del 24/11/2017; Cass. n. 24461 del 05/10/2018; da ultimo, con specifico riguardo alle dichiarazioni riportate nel pvc, Cass. n. 14606 del 29/05/2019);

quanto al valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi (sia prodotte dall’Amministrazione che dal contribuente), inoltre, è pacificamente riconosciuto il loro rilievo indiziario, che, dunque, non sono inutilizzabili od inammissibili ma concorrono, unitamente agli altri elementi, a formare il convincimento del giudice (ex multiis v. Cass. n. 11785 del 14/05/2010; Cass. n. 20032 del 30/09/2011; Cass. n. 9080 del 07/04/2017; Cass. n. 29757 del 19/11/2018);

non sussiste, dunque, alcuna contraddittorietà nella motivazione della pronuncia del giudice del gravame, nè violazione di legge, secondo i parametri normativi indicati dai ricorrenti: nei diversi passaggi motivazionali indicati dalla parte ricorrente il giudice del gravame ha valutato, in astratto, la diversa valenza probatoria di quanto contenuto nel processo verbale di constatazione; è nella parte successiva della motivazione, non presa in considerazione con il presente motivo di censura, che il giudice del gravame ha esaminato specificamente i diversi elementi probatori a disposizione, pervenendo alla conclusione della legittimità della pretesa;

in realtà, parte ricorrente si limita a contestare la valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi nonchè la necessità che le stesse debbano essere molteplici e supportate da ulteriori elementi di riscontro, nonchè, infine, il valore di prova privilegiata che sarebbe stata conferita dal giudice del gravame alle dichiarazioni rese da terzi: ma tali profili sono postulati senza, tuttavia, tenere conto della valutazione concreta compiuta dal giudice del gravame nella parte della sentenza relativa al merito della controversia, in cui le stesse sono state esaminate alla luce delle ulteriori diverse risultanze probatorie;

peraltro, proprio in uno specifico passaggio del percorso motivazionale, il giudice del gravame ha espressamente esaminato la questione della mancata sussistenza di specifici ulteriori riscontri documentali o sostanziali alle dichiarazioni rese da terzi, precisando che la inesistenza delle aziende o la loro cessazione all’atto della emissione della fattura rendeva superflua e non pertinente alcun riscontro incrociato sui dati di magazzini di ogni singolo cliente indicato nelle fatture contestate, o il loro esameWocumentazione contabile, amministrativa e fiscale, per cui la G. di F. non ha violato il disposto dell’art. 2710 c.c. in tema di valenza probatoria delle scritture contabili nei rapporti tra imprenditori;

con il suddetto passaggio motivazionale il giudice del gravame, in realtà, ha specificamente motivato, secondo una valutazione in fatto non censurabile in questa sede, sulle ragioni per le quali gli elementi indiziari a disposizione, valutati nel loro complesso, rendevano non necessario il compimento di ulteriore attività di riscontro;

con il terzo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e della art. L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1,;

in realtà, va osservato che il motivo di ricorso in esame è esposto secondo diverse ragioni di censura, in particolare: a) con riferimento al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, per erroneità della decisione, avendo il giudice del gravame ritenuto che l’atto impositivo fosse sufficientemente motivato anche mediante il rinvio al processo verbale di constatazione; b) con riferimento alla vendita di olio di oliva e l’acquisto di olio di oliva lampante senza fatture, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in particolare sulla questione della applicazione del calo naturale del peso della materia prima; c) con riferimento alla questione dei versamenti eseguiti nel conto soci versamenti in conto futuro aumento di capitale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; d) con riferimento alla questione della contabilizzazione delle fatture relative a operazioni inesistenti: dl) per violazione e falsa applicazione delle previsioni di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in tema di valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi; d2) per omesso esame di documenti decisivi per la controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); nonchè: d3) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per non avere accertato il valore del giudicato esterno di cui alla sentenza del tribunale penale di Trani, e: d4), per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), della suddetta sentenza penale;

il motivo è inammissibile;

va osservato, invero, che il motivo di ricorso in esame è rubricato come violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1 , sicchè il profilo generale, secondo la stessa impostazione data dai ricorrenti, è da ricondursi alla questione del difetto di motivazione degli atti impositivi oggetto di contestazione;

in questo contesto, parte ricorrente fa richiamo ai principi generali in materia di motivazione degli atti impositivi e, quindi, alla necessità della indicazione delle ragioni giuridiche e dei presupposti di fatto e di diritto posti a base della pretesa impositiva, nonchè alla allegazione degli atti richiamati ed ai limiti della motivazione per relationem, e, conseguentemente, ritiene erroneo l’accertamento compiuto dal giudice del gravame in ordine alla completezza motivazionale degli atti impositivi;

a questa prospettazione, dunque, basata sulla affermazione, in astratto, della non correttezza della sentenza censurata per avere ritenuto sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento impugnati, parte ricorrente non fa seguire specifiche indicazioni a sostegno della prospettata insufficienza motivazionale dei suddetti avvisi di accertamento;

in realtà, i successivi profili di censura non attengono alla questione, ritenuta centrale dai ricorrenti, del difetto di motivazione degli atti impositivi, ma alla non correttezza della sentenza, per difetto di motivazione o per violazione di legge, sulle singole ragioni di ripresa contenute nei suddetti atti impositivi;

tali profili, tuttavia, attengono a questioni ulteriori e diverse da quelle relative alla insufficienza motivazionale dell’atto di accertamento: una cosa è, invero, il fatto che la pretesa impositiva non indichi, con sufficiente chiarezza, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche sulle quali la stessa si fonda, altra cosa è la questione della fondatezza della pretesa, che presuppone il superamento del primo profilo e che, invece, porta a verificare se gli elementi di prova indiziaria indicati dall’amministrazione finanziaria a supporto della pretesa possano essere considerati idonei, tenuto conto, eventualmente, della prova contraria fatta valere dal contribuente;

non v’è, in sostanza, alcuna correlazione tra la ragione di censura relativa al difetto di motivazione dell’atto impositivo, e quella relativa alla mancanza di prove idonee poste a fondamento della pretesa impositiva, posto che, come detto, quest’ultima presuppone risolta in senso positivo la prima;

sotto tale profilo, la ragione di censura di cui al presente motivo di ricorso, incentrata sul difetto di motivazione degli atti impositivi, è inammissibile per difetto di specificità, non avendo parte ricorrente indicato su quali specifici presupposti la valutazione del giudice del gravame circa la sufficienza motivazionale degli atti impugnati non sia conforme alle previsioni normative indicate e per avere fatto riferimento a profili non conferenti;

in ogni caso, anche gli specifici profili di censura proposti successivamente in sede al presente motivo di ricorso, sono da considerarsi inammissibili;

con riferimento, in particolare, al profilo di censura di cui al punto b), sopra indicato, relativo alla questione della applicazione del calo naturale del peso della materia prima, parte ricorrente evidenzia che l’accertamento è evidentemente contraddittorio in quanto nel P.V.C. a pag. 11 la G. di F. riconosce esplicitamente che l’olio di oliva è soggetto a cali naturali (…) così come normativamente stabilito dal D.M. 55 del 13 gennaio 2000, mentre di fatto trascura completamente di applicare la normativa richiamata e che, inoltre, sarebbe illogica l’affermazione della CTR che era stato, comunque, calcolato il carico e scarico di magazzini tenendo conto delle differenze di peso riscontate all’arrivo delle merci;

tale profilo di censura si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame, che ha precisato che dalla lettura del p.v.c. emerge chiaramente che la G.di F. ha tenuto conto del calo naturale previsto dall’allegato A al D.M. 13 gennaio 2000 n. 55, inteso come perdita di peso o di volume derivante da fenomeni chimici, fisici o biologici, comprese, altresì le perdite connesse all’introduzione e all’estrazione delle merci;

il giudice del gravame, in sostanza, ha dato atto del fatto che tutte le cause di possibile riduzione del peso della merce erano state considerate in sede di avvisi di accertamento: rispetto a tale accertamento, parte ricorrente, da un lato, non tiene conto di quanto accertato, e, dall’altro, non introduce elementi specifici, indicati nel rispetto del principio di autosufficienza, che consentano di accertare sotto quale profilo la valutazione del giudice del gravame non avesse tenuto conto di circostanze che, ove valutate, avrebbero potuto condurre a una diversa valutazione;

con riferimento alla questione dei versamenti eseguiti nel conto soci versamenti in conto futuro aumento di capitale, per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, parte ricorrente si limita a evidenziare che la CTR si sarebbe limitata a riconoscere che le analisi sulla capacità economica dei due soci fossero esaustive, chiare e precise, senza alcuna indicazione dell’iter logico giuridico seguito e, inoltre, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, per non avere accertato i redditi non dichiarati sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti;

in realtà, il profilo di censura in esame non si confronta con quanto indicato, sul punto, dalla sentenza censurata, la quale (vd. pag. 1819) ha specificamente indicato sulla base di quali specifici elementi (esame del conto mastro, capacità finanziaria dei soci per accordare un prestito di tali proporzioni alla propria società, provvisorietà e incertezza del finanziamento) ha ritenuto validi gli accertamenti relativi alla incapacità economica dei suddetti soci ed ha, in particolare, specificamente indicato i diversi elementi di riscontro sulla cui base ha formulato il suddetto giudizio (mancanza di reddito della ditta individuale di L.N., percezione di reddito da lavoro dipendente di soli 15.721.000 nel 1998, rappresentante legale ò della Tourist service s.r.l. che aveva dichiarato una perdita di esercizio di Euro 734,00; percezione da parte di L.P. di soli redditi da lavoro dipendente, acquisto nel 1995 di azioni della società per L. 10.000.000 possedute dalla madre, percezione di redditi da lavoro dipendente nel 1997 di L. 772.000);

con tali elementi specifici, tenuti in considerazione dal giudice del gravame, non si confronta il presente profilo di censura, limitandosi a contestare, genericamente, la mancanza di riscontri da parte dell’amministrazione finanziaria ed indicando elementi di fatto (risarcimento assicurativo, redditi di lavoro dipendente non specificati nel p.v.c., ricevute relative alla misure perdonistiche di cui alla L. 289/2002) senza alcuna osservanza del principio di specificità;

peraltro, con riferimento agli ulteriori elementi che, secondo la tesi di parte ricorrente, non sarebbero stati tenuti in considerazione dal giudice del gravame (vd. pag. 42), va osservato che, invero, di essi la CTR aveva tenuto conto (a pag. 18 si dà atto che i versamenti erano stati eseguiti sulla base della Delib. 15 luglio 2001 e tramite conto corrente bancario, anche se in minima parte in contanti), ma li ha, comunque, ritenuti non rilevanti, avendo comunque ritenuta legittima la pretesa;

inoltre, priva di rilievo è la ragione di censura relativa alla violazione di legge, posto che, come visto, la valutazione della fondatezza della pretesa è stata basata dal giudice del gravame su una serie di elementi indiziari, espressamente evidenziati in sentenza, in ordine ai quali, come rilevato, nessuna specifica contestazione è stata prospettata con il presente motivo di ricorso; infine, con riferimento al profilo di censura relativo alla contabilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti, parte ricorrente fa richiamo, per quanto concerne la questione della valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi, alle considerazioni esposte con il secondo motivo di ricorso, sicchè va fatto riferimento a quanto già osservato in sede di esame del suddetto motivo; sempre nell’ambito della ripresa per contabilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti, viene poi, censurata la sentenza per l’omesso esame di documenti decisivi per la controversia, consistenti nella c.t.u. del Dott. C.V. e nella sentenza del Tribunale penale di Trani, ma con riferimento a tale ulteriore profilo va osservato che, in realtà, il giudice del gravame ha dato atto di avere tenuto conto delle stesse (vd. pag. 23-24, relativamente alla c.t.u., dove ha chiarito, in primo luogo, la diversità di procedimento e, inoltre, la contraddittorietà della stessa; pag. 22-23, relativamente alla sentenza penale, dove ha chiarito in ordine all’autonomia del processo tributario);

non è, quindi, ravvisabile il vizio motivazionale evidenziato, anche sotto il diverso profilo della omessa considerazione della sentenza penale e dei fatti in essa accertati;

nè è ravvisabile, infine, la sussistenza di un giudicato esterno, non avendo parte ricorrente assolto all’onere di provare l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza penale, del cui contenuto, peraltro, come visto, il giudice del gravame ha espresso la sua valutazione circa l’eventuale valenza degli accertamenti compiuti in quella sede nel processo tributario;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

in particolare, si censura la sentenza per non avere accertato che, nella fattispecie, non sussistevano gravi e ripetute irregolarità che giustificavano il ricorso al metodo induttivo e, inoltre, per non avere considerato gli esiti del giudizio penale;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, fa richiamo alle ragioni di doglianza già esposte con riferimento ai precedenti motivi di ricorso, senza, tuttavia, compiere una specifica indicazione, in relazione al presente motivo, delle ragioni per le quali l’utilizzo del metodo induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), non solo non era stato correttamente applicato dall’amministrazione finanziaria, ma non è stato ritenuto illegittimo dal giudice del gravame, tenuto conto del fatto che nella sentenza censurata è stata espressamente esaminata la questione, evidenziando che: a) (pag. 14) indipendentemente da ciò, tali irregolarità, pur se non di rilevanti entità evidenziano, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente che almeno per l’esercizio 2003 sono state effettuate operazioni contabili non attendibili ed avallano l’adozione del metodo induttivo D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 2, lett. d), e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25 e 32, e; b) (pag. 14) per quanto riguarda le operazioni contabili non attendibili che rendono fondate le contestazioni della G. di F. sulla inattendibilità delle stesse ed avallano il nodo induttivo degli accertamenti, si aggiunge che ben4 fatture (n. 7 del 2003 e n. 7 nel 2004) sono state emesse in favore di clienti che avevano già cessato la loro attività da tempo e comunque hanno dichiarato, contrariamente a quanto risulta da tali fatture e dalla contabilità, di non aver avuto mai rapporti commerciali con la società in questione. Quindi, non solo per l’esercizio 2003, ma per entrambi gli esercizi (2003 e 2004) sono state effettuare operazioni contabili non attendibili che avallano il ricorso al metodo induttivo ed in particolare (…);

il motivo di ricorso in esame, come detto, si limita ad una generica contestazione della non legittimità del metodo induttivo applicato dall’amministrazione finanziaria, senza, tuttavia, confrontarsi con le specifiche ragioni sulla cui base, come visto, il giudice del gravame ha specificamente motivato sul punto, sicchè lo stesso è da considerarsi inammissibile per difetto di specificità;

l’ulteriore ragione di censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nuovamente fa richiamo al contenuto della sentenza penale, relativamente alla quale si è già avuto modo di esprimere le considerazioni in sede di esame del terzo motivo di ricorso;

con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5), per omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo e controverso per il giudizio, per non essersi pronunciata sull’eccezione, sollevata dai ricorrenti sia in primo che in secondo grado, relativa alla non corretta applicazione del metodo induttivo in quanto basato sui parametri di redditività del settore privi di fondamento;

il motivo è inammissibile;

in primo luogo, va evidenziato che parte ricorrente si limita a riportare un passaggio, da cui evincere che la questione era stata prospettata in primo e secondo grado di giudizio, senza, tuttavia, indicare in quale atto il suddetto contenuto era stato riportato; d’altro lato, va osservato che il mancato esame di una eccezione può essere censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., non essendo idoneo il riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che presuppone che su di una questione il giudice si sia pronunciato, ma in modo non sufficiente o contraddittoria;

in conclusione, sono infondati il primo e secondo motivo, inammissibili il terzo, quarto e quinto, con conseguente rigetto del ricorso e condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

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