Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16832 del 05/07/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 16832 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 26818-2010 proposto da:
CONDEMI

DOMENICO

CNDDNC54L28C954Z,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE N. 61,
presso

lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA

TOSCANO, rappresentato e difeso dall’avvocato SALMERI
FERDINANDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1368

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

.

Data pubblicazione: 05/07/2013

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega
in atti;
– controricorrente

1168/2009 della CORTE

di

REGGIO

CALABRIA,

depositata

il

09/11/2009 R.G.N. 1297/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/04/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato SALMERI FERDINANDO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega GRANOZZI
GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.
D’APPELLO

R.G. n. 26818/10
Ud. 17.4.2013

Con ricorso al Tribunale di Reggio Calabria Domenico Condemi,
dipendente di Poste Italiane S.p.A. dal 1988, esponeva di essere
stato adibito a compiti di carico e scarico delle merci dai furgoni e,
per di più, dal dicembre 1994 in locali privi di luce naturale e di
areazione; che era sottoposto a sforzi fisici notevoli per smaltire
celermente la gran mole di lavoro, anche perché gli impianti di
salita ai piani superiori (montacarichi e ascensori) erano spesso
guasti, onde era costretto a trasportare manualmente i plichi da
smistare; che il 22 febbraio 1997, mentre trasportava plichi postali
attraverso le scale veniva colpito da “infarto miocardio acuto di

sede anteriore, esteso, complicato da trombosi endoapicale”; che da
allora le sue condizioni di salute erano piuttosto precarie; che
l’infarto era da ricondurre agli sforzi fisici conseguenti all’attività
lavorativa svolta.
Chiedeva quindi la condanna della società datrice di lavoro al
risarcimento del danno biologico, di quello morale nonché del
danno conseguente alla specifica perdita della capacità lavorativa.
Il Tribunale adito rigettava il ricorso e tale decisione veniva
confermata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza
del 23 ottobre – 9 novembre 2009, con la quale veniva altresì
rigettato l’appello incidentale proposto da Poste Italiane S.p.A., che
aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine
al risarcimento del danno biologico, eventualmente dovuto
dall’INAIL.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
lavoratore, sulla base di tre motivi. La società ha resistito con

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

controricorso, illustrato da successiva memoria ex art. 378 cod.
proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunziando violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., in relazione all’art. 2087
riconosciuto sussistente il nesso di causalità tra l’attività lavorativa
da lui svolta e la lesione dell’integrità psicofisica.
Tale assunto non tiene conto però che in tema di
responsabilità civile il nesso causale, come affermato dalla
giurisprudenza di questa Corte, è regolato dal principio di cui agli
artt. 40 e 41 cod. pen., secondo cui un evento è da considerare
causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza
del secondo.
Aggiunge il ricorrente che, ai fini della risarcibilità del danno,
è sufficiente che l’autore dell’illecito ponga in essere una soltanto
tra le molteplici concause dell’evento dannoso. Inoltre, dovendo il
nesso di causalità essere ritenuto sussistente non solo quando il
danno possa considerarsi conseguenza inevitabile della condotta,
ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e
verosimile, esso può essere riconosciuto anche in base ad un serio
e ragionevole criterio di probabilità scientifica.
Nella specie il consulente tecnico d’ufficio nominato in appello
ha accertato che vi fosse verosimilmente “un nesso di
concausalità” tra l’attività lavorativa e l’infarto e che al datore di
lavoro fosse da attribuire una responsabilità pari al 15% del danno
biologico (65%) subito dal lavoratore. Il giudice d’appello, in
violazione dei principi sopra enunciati, non ha attribuito rilievo a
tali conclusioni ed ha erroneamente escluso la responsabilità della
parte datoriale.
2. Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione del principio di “ragionevole certezza scientifica” in
relazione agli artt. 2087 cod. civ., 40 e 41 cod. pen.,

ricorrente

cod. civ., il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha

3

richiama nuovamente i principi elaborati in materia da questa
Corte, ribadendo che il nesso di causalità può essere riconosciuto
anche in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità
scientifica, e cioè non solo quando il danno possa ritenersi
conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia
non si è attenuto a tali principi, non considerando che il c.t.u.
aveva ritenuto verosimile il nesso di concausalità tra l’attività
lavorativa e l’infarto.
3. Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando vizio di
motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio,
deduce che la Corte di merito, nel ritenere non provato il nesso di
causalità tra la prestazione lavorativa e la lesione dell’integrità
psicofisica, ha reso una motivazione illogica e contraddittoria. Da
un lato, ha infatti affermato che la condotta del datore di lavoro era
tutt’altro che rispettosa degli obblighi di cui all’art. 2087 cod. civ.,
non avendo il medesimo assicurato ai dipendenti condizioni
lavorative accettabili ed un ambiente igienicamente idoneo;
dall’altro, contraddicendosi, ha dedotto che dalle deposizioni
testimoniali raccolte in primo grado non era dato ravvisare la
nocività delle condizioni di lavoro né il nesso causale tra tali
condizioni ed il danno subito dal lavoratore.
Inoltre ha ritenuto che quella svolta dal Consiterni fosse
nient’altro che una normale attività lavorativa, simile a quella
espletata dagli altri lavoratori svolgenti analoghe mansioni, quando
invece dalle dichiarazioni dei testi era emerso che il lavoro del
ricorrente consisteva nello scaricare e smistare la posta contenuta
in sacchi trasportati sui furgoni; che alcuni di tali sacchi, definiti
speciali, arrivavano in numero di ottocento – mille al giorno, taluni
dei quali del peso di circa 30 chilogrammi, per essere poi
trasportati ai piani superiori manualmente a causa della
mancanza degli ascensori, costantemente fuori servizio; che il
lavoro doveva essere portato a termine in termini brevissimi; che

conseguenza altamente probabile e verosimile. Il giudice d’appello

4

l’ambiente di lavoro era privo di finestre, aerazione, con pavimento
di gomma e porte blindate; che l’infarto si era verificato durante
l’attività lavorativa svolta nel turno notturno.
Infine, la Corte territoriale ha del tutto omesso di valutare,
nella sentenza impugnata, l’affermazione del c.t.u., secondo cui era
spiegando affatto le ragioni per le quali, in presenza di una siffatta
affermazione, era stato escluso tale nesso.
4. Quest’ultimo motivo è fondato, non apparendo sorrette le
valutazioni del giudice d’appello da argomentazioni logiche e
coerenti ed essendo stati trascurati, o non affatto considerati,
elementi che potevano condurre ad una diversa decisione.
Per effetto dell’accoglimento di tale motivo, restano assorbiti i
primi due.
La Corte territoriale, nel premettere che, secondo la
giurisprudenza, ai fini dell’accertamento della responsabilità del
datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., incombe al lavoratore che
lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un
danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno
nonché il nesso tra questo e l’attività lavorativa, mentre grava sul
datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le cautele
necessarie al verificarsi del danno, ha affermato che tale prova non
era stata fornita dal ricorrente. Ed infatti, pur avendo il c.t.u.
nominato in grado d’appello affermato che l’attività lavorativa
poteva essere collegata “ad un fattore necessario ma da solo non

sufficiente alla produzione della patologia”,

il medesimo aveva

escluso “la sussistenza di un sicuro nesso causale tra danno e

attività lavorativa”. Il Confiemi aveva infatti espletato, sempre
secondo il c.t.u., un’attività lavorativa che, pur esponendolo a
determinati rischi (turnazioni notturne, affaticamento fisico, ecc.),
era di certo esercitata in condizioni di salute ottimali; non v’era
traccia nella documentazione in atti di controindicazioni

“verosimile ritenere che esistesse un nesso di concausalità”, non

5

all’esecuzione della sua ordinaria attività; aveva sempre goduto
sino al momento dell’infarto di buona salute.
Le risultanze peritali, secondo il giudice d’appello,
escludevano dunque che l’infarto potesse essere ricollegato
all’attività lavorativa.

merito, potevano ricavarsi dalle dichiarazioni dei testi, avendo
costoro riferito che le mansioni del ricorrente “consistevano nello

scaricare i pacchi speciali dal furgone che li aveva trasportati fino
all’ufficio, smistandoli all’interno dei vari scaffali all’uopo predisposti
dopo averli contati”, dichiarazioni queste da cui emergeva che
“quella posta in essere dal Condemi era nient’altro che la normale
attività lavorativa svolta da tutti quelli che si trovavano a effettuare
quelle medesime mansioni”.
Senonchè, nell’escludere la sussistenza del nesso causale, il
giudice d’appello non ha tenuto conto che, come risulta dalla
relazione di consulenza trascritta in ricorso, il c.t.u. ha riferito
anche, oltre a quanto affermato nella sentenza impugnata, che

“….il peso derivante dall’attività lavorativa ha potuto contribuire, in
una certa misura, alla manifestazione dello stato patologico”; che
“ E’ da escludere un nesso di causalità tra la patologia da cui il
periziando è affetto e l’attività lavorativa prestata dallo stesso. E’
invece verosimile ritenere che esista un nesso di con-causalità”; che
l’infarto da cui è stato colpito il ricorrente gli ha procurato un
danno pari al 55%; che doveva condividersi quanto affermato dal
c.t.u. nominato in primo grado, e cioè che era “attribuibile al datore

di lavoro una responsabilità pari al 15% del danno totale”.
Tali affermazioni, lungi dall’escludere il nesso causale tra
l’attività lavorativa e l’evento, portano univocamente a ritenere che,
secondo il c.t.u., tale attività aveva comunque avuto una incidenza
causale nella determinazione dell’infarto, ancorchè non esclusiva, e
che essa aveva dunque contribuito alla produzione dell’evento.

Né elementi di segno contrario, ad avviso della Corte di

Confermano l’assunto del c.t.u. le dichiarazioni dei testi pure riportate in ricorso – dalle quali sostanzialmente si evince che
l’attività lavorativa del ricorrente consisteva nello scaricare dai
furgoni la posta contenuta nei sacchi, smistandoli negli scaffali;
che alcuni di tali sacchi venivano trasportati ai piani superiori
avveniva frequentemente; che i colli potevano anche pesare venti
chilogrammi; che in solo giorno potevano anche essere smistati
ottocento colli ed anche più; che i locali in cui lavorava il ricorrente
erano privi di areazione; che il medesimo fu colpito da infarto
durante il lavoro espletato nel turno notturno.
Alla stregua di quanto precede, appare evidente come il
giudice d’appello non abbia adeguatamente valutato il materiale
probatorio, trascurando talune circostanze emerse dalla relazione
del c.t.u. ed omettendo di considerare quanto avevano
dettagliatamente riferito i testi in ordine alle condizioni e alle
modalità lavorative in cui il Conkmi svolgeva la prestazione.
E’ incorso altresì lo stesso giudice nel vizio di contraddittoria
motivazione, laddove, dopo avere dato atto che, come risultava
dalla sentenza di primo grado, la condotta della società datoriale
era stata “tutt’altra che rispettosa degli obblighi di cui all’art. 2087

c.c. e ben poco sollecita persino al rispetto del prioritario dovere di
assicurare ai dipendenti condizioni lavorative accettabili, ed un
ambiente igienicamente idoneo”, ha successivamente escluso che
tale condotta avesse avuto una benché minima efficienza causale
nella determinazione dell’evento.
Si impone pertanto, in accoglimento del terzo motivo,
assorbiti i primi due, la cassazione della sentenza impugnata, con
rinvio al giudice indicato in dispositivo, affinché proceda al riesame
della controversia, tenendo conto che, come più volte affermato da
questa Corte (cfr., fra le altre, Cass. 4 giugno 2008 n. 14770; Cass.
17 giugno 2011 n. 13361), nella materia degli infortuni sul lavoro e
delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola

manualmente, quando l’ascensore era fermo per un guasto, ciò che

contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra
evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle
condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad
ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta
e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa
all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre
l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici
occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto
dalla legge.
Il giudice del riesame provvederà anche sulle spese di questo
giudizio di legittimità.
P. Q . M .
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli
altri. Cassa la sentenza impugnata e, rinvia, anche per le spese del
presente giudizio, alla Corte di Appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma in data 17 aprile 2013.

essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA