Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16828 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 09/08/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 09/08/2016), n.16828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4467-2012 proposto da:

DEUTSCHE BANK S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIO VENETO 7, presso l’avvocato DOMENICO MARTINO, rappresentata

e difesa dall’avvocato MAURIZIO ORLANDO, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DEL

NAZARENO 8/11, presso l’avvocato MASSIMO CERNIGLIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA COLOMBO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3517/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato DOMENICO MARTINO, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato DARIO PICCIONI, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 26 ottobre 2005, M.F. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecco, la Deutsche Bank s.p.a., chiedendo dichiararsi la nullità o pronunciarsi l’annullamento o la risoluzione del contratto di investimento in obbligazioni Cirio Holding Luxembourg, stipulato con l’istituto di credito in data 14 agosto 2001 per l’importo di Euro 27.265,37, con condanna della convenuta alla restituzione delle somme versate ed al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale adito, con sentenza n. 242/2007, depositata il 20 marzo 2007, rigettava le domande, di nullità, annullamento e risoluzione del contratto, proposte dall’attrice, mentre accoglieva quella di risarcimento del danno, condannando la banca convenuta al pagamento, in favore della M., della somma di Euro 31.607,27, comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali ed alle spese di lite.

2. Avverso la decisione proponeva appello Deutsche Bank che veniva, peraltro, rigettato dalla Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 3517/2010, depositata il 21 dicembre 2010, con la quale il giudice di seconde cure – condividendo le valutazioni operate, al riguardo, dal Tribunale – riteneva di ravvisare nella condotta dell’ appellata la violazione degli obblighi sulla medesima incombenti, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 e degli artt. 28 e 29 del Regolamento CONSOB 1 luglio 1998, n. 11522.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso la Deutsche Bank s.p.a. nei confronti di M.F., affidato a tre motivi. La resistente ha replicato con controricorso.

4. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo e secondo motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – la Deutsche Bank s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 e art. 23, comma 6, e degli artt. 28 e 29 del Regolamento CONSOB 1 luglio 1998, n. 11522, nonchè l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia erroneamente ritenuto, peraltro con motivazione del tutto incongrua, che le informazioni rese dalla banca alla signora M. circa la rischiosità dell’investimento finanziario effettuato – consistente nell’acquisto di obbligazioni emesse da Cirio Holding Luxembourg, operazione che, a seguito del default del Gruppo Cirio, aveva comportato la perdita, per l’investitrice, dell’intero capitale investito fossero da reputarsi inadeguate, alla stregua della normativa in materia. E ciò, sebbene la M. avesse preso formalmente atto, nell’ordine di acquisto da lei sottoscritto ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 (applicabile ratione temporis), dell’inadeguatezza dell’operazione finanziaria per tipologia ed oggetto dei titoli, e benchè a tale dichiarazione della M., di consapevolezza della rischiosità dell’investimento, fosse da ascriversi contrariamente all’assunto della Corte territoriale – una natura specificamente confessoria. Per il che, ad avviso dell’esponente, l’istituto di credito – al contrario di quanto ritenuto dal giudice di appello – avrebbe altresì adeguatamente adempiuto l’onere della prova sul medesimo incombente, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6.

1.2. Le doglianze sono infondate.

1.2.1. Il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21, comma 1, prevede, in via generale, che: “1. Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; (…..)”. Dispone, poi, l’art. 28 del Regolamento CONSOB n. 1522 del 1998 (applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis), che: “1. (….). 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”. Il successivo art. 29 del medesimo Regolamento stabilisce, infine, che: “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

1.2.2. Orbene, il suesposto quadro normativo di riferimento evidenzia, senza ombra di dubbio, che la pluralità degli obblighi facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) convergono verso un fine unitario: segnalare all’ investitore la non adeguatezza delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari che si accinge a compiere (cd. suitability rule). Alla base di siffatta finalità sta, invero, la considerazione secondo cui ogni investitore razionale è avverso al rischio, sicchè il medesimo, a parità di rendimento, sceglierà l’investimento meno aleatorio ed, a parità di alea, quello più redditizio, se non si asterrà perfino dal compiere l’operazione, ove l’alea dovesse superare la sua propensione al rischio. La scelta tra differenti opportunità di investimento è, quindi, essenzialmente un problema di raccolta e di valutazione di informazioni, ovvero di ogni dato sulla natura dello strumento finanziario, sul suo emittente, sul suo rendimento e sull’economia nel suo complesso, compresa l’informativa circa l’eventuale sussistenza, con riferimento alla singola operazione da porre in essere, di una situazione di cd. grey market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo ed il rating del prodotto finanziario nel periodo in considerazione, o – addirittura – di una situazione di imminente default economico dell’ente o dello Stato emittente. Ed è evidente che, essendo le informazioni finanziarie complesse e costose, nei rapporti di intermediazione finanziaria le imprese di investimento posseggono frammenti informativi diversi e superiori rispetto a quelli a disposizione degli investitori, o da essi acquisibili. Da tali considerazioni discende, dunque, la necessità che l’operato della banca o dell’intermediario finanziario sia, nell’ evidenziare l’eventuale non adeguatezza dell’operazione, altamente professionale, prudente e diligente; circostanza, questa, la cui sussistenza deve essere provata dell’intermediario medesimo, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6.

1.2.3. In tal senso si è, peraltro, già da tempo espressa la giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che, in tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore “un’informazione adeguata in concreto”, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, e, a fronte di un’operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (cfr. Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010). A tal fine, si è – tuttavia – osservato che la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca (nella specie in obbligazioni Cirio) e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non può – di certo costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, al più, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015).

In definitiva, la segnalazione che l’operatore finanziario è tenuto ad effettuare nei confronti dell’investitore – alla stregua delle considerazioni che precedono – deve contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del soggetto emittente; 3) il “rating” nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni cd. di “grey market”); 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente “default” dell’emittente (cfr., in termini, Cass. 1376/2016).

1.2.4. Tutto ciò premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso di specie, la banca ricorrente assume che l’avvenuto adempimento dei suesposti obblighi informativi sulla medesima incombenti dovrebbe risultare dalla dichiarazione resa dalla cliente, del seguente tenore: “Con riferimento all’ordine di cui sopra, ho preso atto, in seguito alla vostra comunicazione, che lo stesso si riferisce ad operazioni non adeguate per tipologia ed oggetto”. Seguono la data e la firma della M.. Ebbene, è del tutto evidente la totale genericità della informativa che la cliente avrebbe ricevuto dalla banca, in quanto la medesima non contiene indicazione alcuna delle eventuali specifiche avvertenze ricevute dalla banca, circa la natura e le caratteristiche del titolo, il suo emittente, il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione, ed eventuali situazioni di grey market o di default dell’emittente, ai fini suindicati. E tali informazioni economiche erano, nella specie, tanto più necessarie in quanto il crollo delle obbligazioni Cirio era imminente, al momento in cui l’ordine di acquisto veniva emesso dalla cliente. Ed inoltre, dalla dichiarazione succitata non è dato neppure desumere che, a fronte della segnalazione che l’operazione doveva considerarsi inadeguata, la cliente avesse comunque impartito formalmente alla banca, per iscritto, l’ordine di darvi corso, come richiesto dall’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998.

1.2.5. Ad ogni buon conto, a tale ultimo riguardo va osservato che, quand’anche siffatta dichiarazione vi fosse stata agli atti, sarebbe stata comunque configurabile la responsabilità dell’intermediario finanziario che aveva dato corso ad un ordine, ancorchè vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso. La professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone, invero, di valutare comunque l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi dell’art. 1722 c.c., comma 1, n. 3 e art. 1727 c.c., comma 1, qualora non ravvisi tale adeguatezza. E’ bensì vero, infatti, che, a differenza della L. n. 1 del 1991, art. 8, lett. e), (“il cliente può impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni da effettuare salvo il diritto di recesso della società ai sensi dell’art. 1727 c.c.”), il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 24, comma 1, lett. b) – nel testo vigente ratione temporis, precedente la novella introdotta dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164, art. 4non ha fatto espressamente salvo il diritto di recesso del gestore ai sensi dell’art. 1727 c.c. Tuttavia – come hanno concordemente osservato la migliore la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte ciò non significa che le istruzioni del cliente siano in ogni caso vincolanti, posto che deve tenersi conto del più ampio diritto di recesso attribuito all’intermediario dall’art. 24, comma 1, lett. d), (nel testo vigente ratione temporis), esercitabile anche in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso, ai sensi dell’art. 1727 c.c., comma 1, (cfr. Cass. 7922/2015; 12262/2015; 1376/2016).

1.3. Per tutte le ragioni che precedono, le censure in esame non possono, pertanto, che essere rigettate.

2. Con il terzo motivo di ricorso, la Deutsche Bank s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello abbia disatteso il motivo di gravame con il quale l’istituto di credito aveva censurato la decisione di prime cure, nella parte in cui aveva riconosciuto, sul danno liquidato a favore della M., anche la rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali. Ed invero, in difetto di prova in ordine ad un eventuale maggior danno, non coperto dagli interessi legali, da parte dell’investitrice, la rivalutazione monetaria, a parere dell’istante, non avrebbe dovuto essere riconosciuta.

2.2. Il motivo è infondato.

2.2.1. Va difatti osservato, in proposito, che – secondo l’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – l’obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, e come tale è, pertanto, quantificabile, tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (cfr. Cass. 18299/2003; 26663/2007; 5843/2010). La decisione della Corte di merito, sul punto, non è, pertanto, da censurare.

2.2.2. Il mezzo va, quindi, disatteso.

3. Per tutte le ragioni che precedono, il ricorso proposto da Deutsche Bank s.p.a. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.

4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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