Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16825 del 29/07/2011
Cassazione civile sez. III, 29/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 29/07/2011), n.16825
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
Q.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 90,
presso lo studio dell’avvocato PATRIZI GIOVANNI, che lo rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avv. NUZZO Mario, rappresentato e
difeso dall’avv. MARCONI GUGLIELMO, giusta mandato a margine del
controricorso;
– controricorrente –
– ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 817/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del
24.9.08, depositata il 27/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO
FUCCI.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 27/11/2008 la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale accoglimento del gravame interposto dal sig. P. Q., e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Teramo 23/6/2005 revocava il decreto ingiuntivo d.d. 31/10/1989 del Presidente del Tribunale di Teramo e dichiarava parzialmente risolto per inadempimento del medesimo il contratto intercorrente con il sig. A.C., condannandolo al risarcimento dei conseguenti danni e al versamento del residuo scaturente da operata compensazione.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Q. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso l’ A..
Con UNICO complesso MOTIVO il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 366-bis c.p.c. e dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366-bis c.p.c. dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36) , risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.
Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Orbene, il quesito recato dal ricorso risulta formulato in modo invero difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotato da genericità e mancanza di decisività, privo di riferimento al caso concreto in esame, e pertanto sfornito di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), non consentendo di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un relativo accoglimento o rigetto (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione dei quesiti di diritto implicita nella formulazione dei motivi di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).
Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).
Orbene, nel caso il motivo non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle “ragioni” delle doglianze, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che il ricorrente ha presentato memoria;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011