Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16825 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 07/08/2020), n.16825

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 15038 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

R.A., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Nino Scripelliti,

dall’avv.to Elena Bellandi e dall’avv.to Ornella Manfredini,

elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma, Via G.

Avezzana n. 1;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana n. 28/21/2013, depositata in data 16 aprile

2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2019 dal Relatore Consigliera Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

-con sentenza n. 28/21/2013, depositala in data 16 aprile 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato l’appello proposto da R.A. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 134/06/2009 della Commissione tributaria provinciale di Firenze che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Firenze 1 aveva recuperato a tassazione nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di tassista nel Comune di Firenze, ai fini Irpef e Irap, per l’anno 2003, maggiori ricavi (Euro 60.623,00), ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito dalla L. n. 427 del 1993, stante riscontrate gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) indici della inattendibilità dei ricavi dichiarati (Euro 23.078,00) dal contribuente, per l’anno 2003, benchè coerenti con gli studi di settore, erano costituiti, avuto riguardo al raffronto tra registro corrispettivi e schede carburante, dalla piattezza degli incassi mensili (Euro 1800,00/2000,00) e dei costi dichiarati nei diversi trimestri, dalla resa chilometrica (Euro 0,82) in contrasto con le tariffe determinate sulla base di precisi accordi contrattuali con le categorie di settore e il Comune di Firenze; 2) la media percorrenza di una corsa pari a km 3,2, usata dall’Ufficio per determinare il numero delle corse effettuate (km 28.238/3,2) era un dato accettabile in quanto espressamente comunicato dall’ufficio stampa del Comune di Firenze del 13.2.07 e accettato dai rappresentanti della categoria per l’istituzione dei nuovi servizi a “tariffe fisse” per l’anno 2007; 3) era corretta la ricostruzione reddituale fondata dall’Ufficio su una serie di elementi presuntivi – aventi carattere di gravità, precisione e concordanza- quali le risultanze del a documentazione contabile fornita dal contribuente, il regolamenta) unificato per il servizio taxi allegato alla Delib. Consiglio comunale 28 maggio 2003, n. 432/295, e il relativo tariffario obbligatorio, il territorio -in cui si era svolta l’attività di tassista- nell’ambito della circoscritta area urbana del Comune di Firenze, il periodo di servizio espletato (331 giorni), la fascia oraria assegnata (ore. 9/21), la percorrenza della corsa media (di km 3,2) e il costo della stessa (6,87 Euro);

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e fala applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 per avere la CTR ritenuto erroneamente valido l’avviso di accertamento ancorchè affetto da vizio motivazionale per non essere stati allegati ad esso i documenti (piano tariffario comunale, accordi Comune tassisti, il comunicato stampa, l’indagine degli uffici comunali) fondanti la pretesa impositiva, quanto ai fattori (percorrenza e costo medio di ogni corsa) utilizzati dall’Ufficio per la ricostruzione del reddito;

– il primo motivo è inammissibile per novità della questione dedotta, non essendo evincibile nè dallo stralcio del ricorso di primo grado riportato in ricorso (in cui risulta essere posta la questione della lacunosità e sinteticità degli elementi probatori sui quali si basa l’avviso di accertamento) nè dalla sentenza (in cui risulta essere dedotta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 per essere la motivazione dell’atto impositivo fondata su “documenti inesistenti”)la prospettazione della specifica questione in termini vizio motivazionale per relationem dell’avviso di accertamento per mancata allegazione dei documenti fondanti la pretesa tributaria;

– in ogni caso, il motivo è infondato;

– secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale li constatazione della Guardia di finanza che sia stato notificato o consegnato al contribuente; nè un tale rinvio può considerarsi illegittimo, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. ex plurimis Cass. n. 28061 del 2017; Cass. 13/10/2011, n. 21119; Cass. 10/02/201.0, n. 2907); inoltre, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, ultima parte, stabilisce che solo se la molvazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 24038 del 2018; 28713 del 2017; n. 18073 del 2008; n. 407 del 2015);

– nella specie, il giudice di appello si uniformato ai suddetti principi, in quanto gli atti- il tariffario taxi comunale, gli accordi contrattuali tra Comune di Firenze e le categorie contrattuali, il comunicato stampa del Comune di Firenze in relazione alla presentazione pubblica del tariffario taxi per l’anno 2007- posti dall’Ufficio a fondamento del calcolo della percorrenza media di una corsa e del costo di essa, quali fattori utilizzati per ricostruzione del reddito imponibile, costituiscono-in disparte l’avvenuta riproduzione nell’avviso di accertamento (di cui viene riprodotto uno stralcio in ricorso) del contenuto essenziale di essi nei termini della rilevazione della percorrenza di una corsa media (in km 3,2) e del costo di essa (in Euro 6,87) – elementi conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente per la sua attività svolta di tassista e, pertanto, non soggetti all’onere di specifica allegazione all’atto impositivo;

– con il secondo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito nella L. n. 427 del 1993, art. 1) per non avere la CTR considerato che esisteva una “presunzione di normalità reddituale”, essendo i ricavi dichiarati risultati congrui con lo studio di settore, per l’anno 2003, con conseguente onere a carico dell’Uffizio di provare una realtà economica difforme da quella emersa dalle dichiarazioni del contribuente conformi ai parametri del settore; 2) per avere fondato la decisione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, quali: a) la mancata corrispondenza tra i chilometri risultanti dalle schede carburante, da un lato, e le registrazioni di costi di carburante e incassi, dall’altro, senza considerare che, ai sensi del D.Lgs. n. 422 del 1997, art. 14, comma 6, è cgnsentito al tassista un uso promiscuo dell’auto, con la consegue iza che i chilometri riportati nelle schede carburanti non devono necessariamente corrispondere ad un effettiva attività lavorativa, potendo, in ipotesi, essere ciò determinato da una vacanza a bordo: del taxi; b) la c.d. “resa chilometrica” dei tassista, senza considerare che tale valore, essendo ricavato dal rapporto ricavi dichiarati e chilometri effettuati, inclusi quelli “a vuoto”, è inevitabilmente più basso del costo a Km per il cliente previsto dal tariffario;

-con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 l’omessa pronuncia del giudice di appello sulle censure mosse dal contribuente nei gradi di merito in ordine alla erroneità del metodo ricostruttivo del reddito accertato utilizzato dall’Ufficio (che in luogo di dividere la percorrenza annua di 28.238 Km per 6,4 km- pari alla lunghezza della corsa media- l’aveva divisa per 3,2 Km, raddoppiando così il numero delle corse presunte e, dunque, dei ricavi);

– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e degli artt. 2727 e 2729 c.c. per non costituire i dati fondanti la deduzione presuntiva dei ricavi- quali le percorrenze medie e il costo medio di una corsa- presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a contrastare la congruità del reddito dichiarato agli studi di settore e la regolarità della sua contabilità;

– i motivi secondo, terzo e quarto- da trattare congiuntamente per connessione- sono infondati per le ragioni di seguito indicate;

– ed, invero, l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente, dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014);

– a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “di accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis, del presente decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993)”; al riguardo, secondo orientamento costante di questa Corte “gli studi di settore costituiscono, come desumibile dal citato D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente e che tale accertamento può essere presuntivamente condotto anche sulle base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e dalla conformità agli stessi dei ricavi aziendali dichiarati”(Cass., SEZ. 5, sent. n. 20060 del 2014; sent. n. 23096/2012);

– la sentenza del giudice di appello ha valorizzato, condividendo l’analisi dei dati emersi nel corso dell’accertamento fiscale, taluni elementi dai quali ha desunto l’irragionevolezza e l’abnormità dei redditi dichiarati dal contribuente. A tal fine ha valutato i riscontri dei corrispettivi e delle schede carburante ed, in particolare, la piattezza dei consumi (in una cifra costante di Euro 306) a fronte di chilometraggi diversificati da trimestre a trimestre nonchè la piattezza degli incassi, sempre costantemente pari ad Euro 1.800,00/2000 al mese, nonostante lo svolgimento del lavoro in una città turistica come Firenze, con necessari mutamenti stagionali; ha sottolineato l’antieconomicità dell’attività, evidenziando un prezzo medio al km (0,82 Euro)- risultante dalla comparazione tra i ricavi dichiarati e i km effettuati per l’attività (Euro 23.078,00/28.238km accertati, dato considerato dall’Ufficio tenendo conto dei “viaggi a vuoto” a fronte dei km 35.210 dichiarati)- in contrasto con le tariffe concordate con le categorie di settore ed il Comune di Firenze, tutto ciò giustificando ampiamente, nella logica ricostruzione del giudice tributario, l’accertamento analitico-induttivo; ha, dunque, ritenuto che, come rilevato dall’ufficio, ancorchè coerente con gli studi di settore, il reddito dichiarato presentasse gravi incongruenze con i dati desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta e, ciò in particolare, sulla base di una serie di elementi presuntivi – cui ha riconosciuto i caratteri della precisione, gravità e concordanza- tratti dalla documentazione contabile del contribuente, da quanto stabilito dal regolamento unificato per il servizio taxi allegato alla Delib. Consiglio comunale 28 maggio 2003, n. 432/295, dal relativo tariffario obbligatorio, dal territorio nell’ambito della circoscritta area urbana del Comune di Firenze, dal periodo di servizio espletato (331 giorni), dalla fascia oraria assegnata (ore 9/21), dalla percorrenza della corsa media (di km 3,2), dal costo della stessa (6,87 Euro); in particolare, ha osservato che la media campione di percorrenza di una corsa pari a km 3,2, risultava essere stata determinata dall’Ufficio in base a quanto emerso dal piano tariffario taxi, dagli a:cordi tra Comune e tassisti e dal comunicato dell’ufficio stampa del Comune di Firenze del 13.2.07 accettato dai rappresentanti della categoria per l’istituzione dei nuovi servizi a “tariffe fisse” per l’anno 2007; tale giudizio della CTR è stato, pertanto, formulato secondo le modalità di legge in tema di valutazione della prova indiziarla, in piena conformità all’ulteriore principio di diritto secondo cui “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno del l’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5787 del 13/03/2014); quanto all’eccepito possibile uso promiscuo dell’autovettura che avrebbe giustificato il maggiore numero di chilometri percorsi nel trimestre, senza ricondurlo necessariamente a maggior lavoro ma, per esempio, a una vacanza -taxi – in disparte il non avere trascritto in ricorso, in difetto del principio di autosufficienza, il ricorso introduttivo, nelle parti rilevanti, ai fini di permettere a questa Corte di valutare gli esatti termini della eccezione- il contribuente, da un lato, non ha provato, alcunchè, e, dall’altro, trattasi di una ricostruzione alternativa, che però non è neppure sufficiente ad evidenziare incongruenze nel ragionamento del giudice d’appello, sicchè il controllo di legittimità è ampiamente superato;

– quanto poi alla censura che insiste sull’incongruenza e mancanza di riscontri relativamente ai dati assunti dall’Ufficio e valorizzati dal giudice d’appello a conferma dell’accertamento analitico-induttivo- in particolare la difesa del contribuente punta l’indice sulla inesistenza di riscontri relativi alla lunghezza della corsa media, indicata in km. 3,2, che non avrebbe basi obiettive e al correlato costo della stessa- in disparte il difetto di autosufficienza, per non avere il contribuente riportato in ricorso le parti rilevanti degli atti difensivi di merito relativi a tale eccezione- la sentenza impugnata rinvia sul punto a elementi oggettivi- quali il tariffario comunale del servizio taxi, gli accordi tra Comune di Firenze e le categorie di settore e il comunicato stampa- dai quali sono stati tratti i dazi in questione, posti, insieme ad altri, a fondamento della ricostruzione reddituale; ogni altra argomentazione sottesa alla proposta censura tende evidentemente ad una inammissibile rivalutazione di fatti e risultanze probatorie come accertate dal giudice di appello;

– alla luce di quanto sopra esposto, avuto riguardo alla puntuale indicazione nella sentenza impugnati degli elementi fondanti la pretesa impositiva, tra cui la percorrenza della corsa media in 3,2 km e il costo di essa (Euro 6,87), in rapporto al numero di km accertati per l’attività svolta (km 28.238), è infondato anche il terzo motivo con il quale è denunciata l’omessa pronuncia del giudice di appello in ordine alla censura mossa dal contribuente nei gradi di merito circa la erroneità del metodo ricostruttivo del reddito accertato utilizzato dall’Ufficio, tendendo ogni altra argomentazione sottesa ad essa ad una inammissibile rivisitazione di valutazioni di merito della CTR;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;

P.Q.M.

la Corte:

– rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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