Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16823 del 09/08/2016
Cassazione civile sez. I, 09/08/2016, (ud. 30/05/2016, dep. 09/08/2016), n.16823
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4420-2012 proposto da:
C.S., (C.F. (OMISSIS)), P.F. (C.F. (OMISSIS)),
S.D.V. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di ex
Commissari Giudiziali della MAFLOW S.P.A. IN LIQUIDAZIONE IN
AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA NIZZA 11, presso l’avvocato BEATRICE RIZZACASA, che li
rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
G.P.;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI MILANO, depositato il 22/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
30/05/2016 dal consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per i ricorrenti, l’avvocato SANDRO BRAVI, con delega avv.
RIZZACASA, che si riporta;
udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale Dott.
SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi
primo, secondo e terzo, rigetto del quarto e quinto.
Fatto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1.- Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha provveduto sulla richiesta di liquidazione del compenso presentata da C.S., P.F. e S.d.V., già commissari giudiziali della procedura di amministrazione straordinaria della s.p.a. Maflow Polska Sp.zo.o.
Il tribunale ha liquidato una somma inferiore al richiesto, applicando i criteri vigenti per il curatore fallimentare limitatamente alla sola voce “passivo accertato”, tenuto conto dello svolgimento dell’attività in un arco temporale di 2-3 mesi, alla mancanza di un vero accertamento del passivo e di una formale attività di liquidazione dell’attivo. Il tribunale, poi, ha escluso che contrariamente a quanto affermato dai commissari – nella concreta fattispecie vi fosse stata attività gestoria D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 19 rilevando che l’unico bene della società, in Italia, era costituito da un conto corrente ed escludendo la spettanza della maggiorazione dell’80%, per l’assenza di attività liquidatoria. Infine, non spettava l’indennità D.M. n. 570 del 1992, ex art. 4, comma 2. La somma liquidata è stata di Euro 60.000,00 in solido tra i commissari a fronte dell’importo minimo di Euro 39.634,55 e di quello medio di Euro 166.000,00 che sarebbero spettati a un curatore fallimentare.
Contro il decreto i tre ex commissari giudiziali hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Non ha svolto difese il curatore speciale nominato in rappresentanza della procedura di a.s.
2.- I primi due motivi sono volti, sotto il profilo sia del difetto di motivazione sia dell’errore di legge, a censurare la scelta di applicare analogicamente i criteri di liquidazione del compenso del curatore fallimentare, anzichè del commissario giudiziale del concordato.
Le doglianze sono in parte infondate ed in parte inammissibili, ove si tenga conto del principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (e con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 47 detto D.Lgs. ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 50, comma 1, lett. d), convertito con la L. 7 agosto 2012, n. 134) il compenso spettante ai commissari giudiziali per l’attività svolta nella cd. fase di osservazione propria della procedura deve essere corrisposto facendo ricorso analogico a quanto stabilito in materia di fallimento solo per il parametro del valore dell’attivo della procedura, opportunamente modulandolo tra i valori minimi e massimi, atteso che la figura del commissario giudiziale, oltre a tali eventuali (anche se probabili) attività liquidatorie, svolge principalmente quella relativa alla fase di osservazione della procedura, che, altrimenti, rimarrebbe del tutto priva di remunerazione (Sez. 1, Sentenza n. 9407 del 08/05/2015, Rv. 635342).
Ne consegue, per un verso, che correttamente il tribunale ha fatto riferimento alla disciplina del compenso spettante al curatore fallimentare, del resto avallata dal rinvio che il citato D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 15 opera alla L. Fall., art. 39, ma che, per altro verso, ha sbagliato nel riferirsi al parametro del passivo anzichè a quello dell’attivo.
Sennonchè il ricorso vorrebbe cumulare i due parametri e non chiarisce se, invece, la sostituzione di quello del passivo con quello dell’attivo porterebbe ad un esito più favorevole per i ricorrenti.
Inammissibile, inoltre, è la parte del secondo motivo che lamenta l’esclusione della maggiorazione per l’attività gestoria, risolvendosi in una censura in fatto diretta a contestare l’accertamento operato dal tribunale circa l’inesistenza di tali attività.
Il richiamo all’equità fatto dal tribunale non specificamente censurato – rende inammissibile anche la doglianza (pag. 29 del ricorso) con la quale si assume che il giudice del merito avrebbe errato nel determinare l’importo liquidato tra quello minimo e quello medio in astratto spettante. Nel resto la censura è versata in fatto (pagg. 30 e 31), oltre che infondata, posto che il tribunale non ha inteso fare applicazione diretta o analogica del decreto sui compensi del curatore, quanto piuttosto utilizzarne alcune parti come parametro di una liquidazione operata in via equitativa stante la mancanza di una norma di riferimento; se così è, l’avere liquidato un importo comunque non inferiore al minimo che sarebbe spettato al curatore non appare censurabile.
Il terzo motivo lamenta che il tribunale abbia escluso la maggiorazione del compenso nella misura dell’80% per il numero dei commissari argomentando dalla mancanza di vera e propria attività liquidatoria. Si tratta di censura infondata perchè fa riferimento a quanto previsto dal D.M. 4 dicembre 2007 per i commissari liquidatori e la specificità della previsione normativa ne impedisce l’applicazione analogica ad organi che svolgono una diversa attività.
Il quarto motivo lamenta violazione di norme di diritto e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del trattamento di missione dovuto agli impiegati dello Stato.
La censura è infondata perchè – come già rilevato nel precedente innanzi richiamato, cui si intende assicurare continuità – nel caso di specie, essendosi già fatta applicazione, in via analogica, del D.M. n. 570 del 1992, solo con riferimento ai valori dell’attivo (art. 1), non può darsi applicazione anche della regola relativa al rimborso delle spese di cui allo stesso D.M. n. 570, art. 4, atteso che quella previsione compete solo a quei professionisti cui si applichi integralmente (in via principale o analogica) la disciplina della liquidazione del compenso stabilita per i curatori fallimentari.
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto senza che occorra provvedere sulle spese di questa fase, non avendo l’intimata procedura svolto difese, in questa.
PQM
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016