Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16823 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 07/08/2020), n.16823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 28410 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

P.A. MARMI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’avv.to Giuseppe Tenchini e dall’avv.to Fabio Franco,

elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma, Via F. de

Sanctis n. 4;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana n. 57/13/2013, depositata in data 19 aprile

2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2019 dal Relatore Consigliera Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

Rilevato

Che:

-con sentenza n. 57/13/2013, depositata in data 19 aprile 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di P.A. Marmi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 63/02/2011 della Commissione tributaria provinciale di Massa-Carrara che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Carrara, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito dalla L. n. 427 del 1993, aveva contestato a quest’ultima, esercente attività di vendita all’ingrosso di materiali lapidei, un maggiore reddito di impresa imponibile ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno 2006, essendo emersa una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) la procedura seguita dall’Ufficio era corretta avendo quest’ultimo attivato il contraddittorio con la contrbuente, la quale era rimasta inerte; 2) nessuna rilevanza assumeva la generica asserzione della contribuente circa la non corretta notifica dell’invito al contraddittorio, essendo priva di specifico e puntuale supporto; 3) l’Ufficio aveva trasfuso nell’avviso di accertamento oltre alle risultanze dello studio di settore altri motivi quali “l’incongruenza dei ricavi per più annualità, la non coerenza del margine operativo lordo sulle vendite nel tempo, addirittura negativo per l’anno in controversia, la perdurante modestia dei redditi dichiarati” per cui risultava evidente, nel caso di specie, l’applicabilità dello studio di settore; 4) non poteva essere considerata idonea prova contraria l’assunto “obbligo contrattuale relativo all’acquisto del 50% dei materiali escavati dalla ETO s.r.l.” poichè non era dato conoscerne la “effettiva consistenza in rapporto alla quantità commercializzata dalla ricorrente e, dunque, all’ammontare dei maggiori costi eventualmente sostenuti nè appariva credibile l’accettazione di una clausola avente una forte incidenza negativa sui risultati economici aziendali”; 5) quanto alla contestazione riguardante il cluster utilizzato dall’Ufficio, la contribuente non aveva indicato quello che sarebbe, a suo avviso, risultato corretto e i benefici che avrebbe comportato la sua applicazione;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione: 1) dell’art. 2909 c.c. per avere la CTR, nel ritenere legittimo l’accertamento basato sugli studi di settore, omesso di rilevare che la questione della non riferibilità dell’attività svolta dalla contribuente al cluster imputatole dall’Ufficio era coperta da giudicato interno, non avendo costituito tale capo della sentenza di prime cure oggetto di gravame da parte dell’Amministrazione; 2) del principio di c.d. non contestazione per non avere la CTR attribuito rilievo come prova contraria al pacifico- per non essere stato oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio- rapporto contrattuale intercorso tra la contribuente e la E.T.O. s.r.l. mettendone in dubbio sia l’esistenza che gli effetti economici; 3) del divieto dello ius novorum in fase di appello del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, per avere il giudice di appello attribuito valenza presuntiva allo studio di settore dando rilievo all’asserita inerzia del contribuente nel c.d. contraddittorio istruttorio, senza che tale tema fosse stato introdotto dall’Ufficio nel giudizio di primo grado, nè tramite la motivazione dell’avviso impugnato nè mediante l’atto di controdeduzioni;

– il motivo – articolato in più sub motivi- è complessivamente infondato;

– quanto alla denunciata violazione da parte della CTR del c.d. giudicato interno che si sarebbe formato – per mancata impugnativa in appello da parte dell’Ufficio – sul capo della sentenza di primo grado circa l’asserita “incertezza” applicativa alla concreta realtà di impresa della contribuente del cluster utilizzato dall’Agenzia, premesso che “il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente mentre sono privi del carattere dell’autonomia i meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, come pure le valutazioni di meri presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione (Cass. Sez. L, n. 24358 del 04/10/2018; Cass. Sez. 1, n. 21566 del 18/09/2017), nella specie, dallo stralcio della sentenza di primo grado riportata in ricorso, si evince che l’asserita “incertezza” sull’applicabilità del cluster utilizzato dall’Ufficio costituisce un passaggio motivazionale – privo di sua autonomia- ma rafforzativo della ritenuta illegittimità dell’accertamento per inidoneità dello studio di settore a sostenere la rettifica in questione; in ogni caso, l’appello dell’Ufficio incentrato sulla assunta idoneità dello studio di settore a fondare l’accertamento in questione, avuto riguardo alla grave incongruenza dei risultati di gestione conseguiti e alla emersa antieconomicità dell’attività d’impresa, non può che intendersi con riferimento al cluster applicato dall’Ufficio;

– quanto alla assunta violazione del principio di c.d. non contestazione per non avere la CTR attribuito rilievo come prova contraria al pacifico rapporto contrattuale intercorso tra la contribuente e la E.T.O. s.r.l., ponendone in dubbio sia l’esistenza che gli effetti economici premesso che “la non contestazione, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 (v., della L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 14) a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo. Si riferisce, cioè, ai fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio; non si estende, invece, alle circostanze che implicano un’attività di giudizio (ex plurimis, Cass. n. 8629 del 2016; n. 7583 del 2015; n. 2:196 del 2015; v. anche Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 12287 del 18/05.’2018 secondo cui “Il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza”), nella specie, assume carattere dirimente la valutazione in fatto della CTR-non suscettibile di sindacato in sede di legittimità- in ordine alla asserita non conoscibilità della “effettiva consistenza in rapporto alla quantità commercializzata dalla ricorrente e, dunque, all’ammontare dei maggiori costi eventualmente sostenuti” e tanto più- in punto di esistenza del rapporto contrattuali – della non credibilità “dell’accettazione di una clausola avente una forte incidenza negativa sui risultati economici aziendali”;

– quanto alla assunta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 per avere l’Ufficio dedotto solo in sede ii appello la questione della omessa partecipazione della contribuente al contraddittorio regolarmente attivato, quale elemento legittimante l’emissione dell’atto impositivo sulla base del solo studio di settore- premesso che “nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili” (Cass. 11223/16; in termini, Cass. 21889/17; 8275 del 2018 ed altre), dallo stralcio dell’avviso di accertamento riprodotto nel controricorso- in cui l’Ufficio dà atto della regolare notifica dell’invito alla contribuente, evaso da quest’ultima per non essersi presentata – si evince la non novità del thema inerente la asserita validità della instaurazione del contraddittorio istruttorio costituendo quest’ultimo il presupposto fondante la pretesa impositiva basata sugli studi di settore;

-con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonciè del principio di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’Ufficio avesse asso to al proprio onere probatorio sulla base delle risultanze dello studio di settore, dell’allegazione del conseguimento di una marginalità Inferiore a quella media e dell’asserita antieconomicità aziendale, ancorchè: a)l’Amministrazione non avesse fornito la prova di avere attivato il contraddittorio istruttorio finalizzato a verificare l’aderenza dello studio di settore alle concrete caratteristiche aziendali; b) si fosse formato un giudicato interno sulla non riconducibilità dell’attività della contribuente al cluster attribuitole dall’Ufficio; c) la marginalità reddituale media di settore fosse un dato statistico estrapolato dallo studio di settore, in quanto tale inidonea ad implementare la valenza probatoria dello studio di settore; d) l’attività della contribuente non potesse qualificarsi antieconomica, essendo stata, nell’arco di tempo considerato, costantemente in utile e I socio avesse conseguito un reddito oltremodo congruo; e) la contribuente avesse giustificato i motivi della maturazione di utili non elevati e tale dato fosse incontestato in giudizio;

– il secondo motivo, articolato in più profili, è, in parte, inammissibile, e, in parte, infondato;

– quanto alla contestazione inerente la asserita erronea rilevazione da parte del giudice di appello della corretta attivazione da parte dell’Ufficio del contraddittorio, trattasi di censura inammissibile, in quanto-in disparte il difetto di specificità in mancanza di una critica specifica della decisione sul punto, con rinnovazione di generiche contestazioni – la ricorrente, denunciando, apparentemente, una violazione di legge chiede, in realtà, a questa Corte una inammissibile rivisitazione di un accertamento di fatto, avendo la CTR dato chiaramente atto della correttezza della procedura, per avere l’Ufficio attivato il contraddittorio con la contribuente ed essendo quest’ultima rimasta inerte – disattendendo, peraltro, sul punto in quanto generica l’eccezione della contribuente circa la non regolarità della notifica dell’invito al contraddittorio; nè, la ricorrente ha dedotto a fondamento della censura ulteriori ragioni che non sarebbero state prese in considerazioni sul punto dal giudice di merito;

– richiamando le osservazioni svolte in ordine al primo profilo del primo motivo con riferimento alla censura della mancata rilevazione da parte del giudice di appello del giudicato interno circa la non riconducibilità dell’attività della contribuente al cluster attribuitole dall’Ufficio, infondate si profilano le censure concernenti la mancata idoneità della “marginalità reddituale media di settore” ad integrare un concreto ulteriore elemento probatorio rispetto alle risultanze dello studio di settore e la erronea qualificazione dell’attività della contribuente come “antieconomica”, essendo stata quest’ultima, nell’arco temporale in questione, costantemente in utile;

-questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato il principio secondo cui “i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedure di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”, Cass. sez. V, sent. 20.0.2.2015, n. 3415. La legittimità dell’accertamento tributario fondato sugli studi di settore, ed il ricordato orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, è stato confermato anche in sede sovranazionale, cfr. CGUE, 21.11.2018, in causa C-648-16. Se ne deduce che l’onere della prova fra le parti risulta così ripartito: all’ente impositore spetterà la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre al contribuente farà carico la prova della sussistenza d condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce;

-questa Corte ha già avuto modo di specificare che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” Cass. sez. V30.10.2018, n. 27617 (conf., Cass. sez. V, 20.9.2017, n. 21754);

-con la sentenza impugnata, la CTR, premessa la mancata partecipazione attiva della contribuente al contraddittorio regolarmente attivato, ha precisato- anche in questo caso con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità- come l’Ufficio avesse trasfuso nell’avviso di accertamento in questione oltre che le risultanze dello studio di settore anche altri motivi quali “l’incongruenza dei ricavi per più annualità, la non coerenza del margine operativo lordo sulle vendite nel tempo, addirittura negativo per l’anno in controversia, la perdurante modestia dei redditi dichiarati”; invero, premesso che come da ultimo affermato da questa Corte, “Il calcolo del reddito effettuato mediante lo studio di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idoneo ad integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per l’accertato, di fornire la prova contraria, in fase predibattimentale ed anche in sede contenziosa” (Cass. n. 23252 del 2019), stante la regolare attivazione del contraddittorio cui la contribuente non ha partecipato, il semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai parametri ha integrato, nella specie, le presunzioni legali sufficienti a garantire la validità dell’accertamento tributario in questione;

– inammissibile si profila, infine, la censura con la quale la contribuente denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non giustificati i non elevati utili conseguiti, in quanto, se è vero che l’omessa partecipazione attiva al contraddittorio predibattimentale del soggetto destinatario dell’accertamento tributario non gli impedisce di far valere le proprie ragioni in fase contenziosa, dovendo allegare e provare elementi che siano sufficienti a vincere le presunzioni legali -che nelle circostanze descritte, assistono l’operato dell’Ente impositore, e sono comunque idonee a fondare, anche da sole, la validità dell’accertamento- nella specie, la CTR con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità ha escluso la idoneità come prova contraria dell’assunto obbligo contrattuale relativo all’acquisto del 50% dei materiali escavati dalla ETO s.r.l. “poichè non dato conoscerne la effettiva consistenza in rapporto alla quantità commercializzata dalla ricorrente e quindi l’ammontare dei maggiori costi eventualmente sostenuti nè appare credibile che possa essere accettata una clausola avente una forte incidenza negativa sui risultati economici aziendali”; pertanto, le argomentazioni sottese alla proposta censura tendono ad una inammissibile rivalutazione di fatti e risultanze probatorie come accertate dal giudice di appello;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per non avere la CTR argomentato in ordine alla contestata mancanza di prova circa l’attivazione del contraddittorio, alla esistenza di un giudicato interno circa la non riferibilità dell’attività della contribuente al cluster indicato dall’Ufficio, alla congruità del reddito conseguito dal socio della contribuente, al carattere pacifico dell’effettività del rapporto contrattuale esistente tra la contribuente e ETO s.r.l. e delle relative condizioni economiche;

– con il quarto motivo, in subordine, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) – l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio in ordine ai medesimi vizi motivazionali denunciati con d terzo motivo;

– sia il terzo che il quarto motivo sono inammissibili;

– il terzo motivo è inammissibile, denunciando l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fattc controverso e decisivo della controversia, vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 19 aprile 2013; (in tal senso, Cass. n.:30948 del 2018);

– quanto al quarto motivo, va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie i; Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a, questa Corte;

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte:

– rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, el pagamento in favore della Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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