Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16820 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 07/08/2020), n.16820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18466/14 R.G. proposto da:

DURST PHOTOTECHNIK S.P.A., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, giusta delega a margine del ricorso,

dall’avv. Maurizio Leo, con domicilio eletto presso lo Studio Leo e

Associati, in Roma, Piazza SS. Apostoli, n. 66;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale di secondo

grado di Bolzano n. 9/1/14 depositata in data 23 gennaio 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate emetteva a carico della Durst Phototechnik s.p.a. avviso di accertamento al fine di recuperare a tassazione IRES e IRAP per l’anno 2008, deducendo che la contribuente, in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, aveva dedotto, come costo di esercizio, sia le spese di manutenzione straordinaria riguardanti l’edificio presso il quale era situata la sede della società, sia le spese relative alla demolizione e ricostruzione di un capannone facente parte dello stabilimento di produzione.

L’avviso di accertamento veniva impugnato dalla contribuente, la quale eccepiva che le spese di ristrutturazione dell’immobile non avevano natura incrementativa, ma erano destinate a ripristinare parti dell’immobile che risultavano usurate e che, non avendo proceduto alla ricostruzione del capannone, le relative spese di demolizione del manufatto esistente erano integralmente addebitabili al conto economico.

La Commissione tributaria di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso, annullando l’atto impositivo limitatamente alla ripresa a tassazione delle spese di manutenzione straordinaria dell’immobile, respingendolo nel resto.

Interposto appello principale dalla contribuente ed appello incidentale dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano accoglieva i gravami.

Con riguardo al capannone, rilevava che i lavori avevano riguardato soltanto la demolizione del manufatto, per cui le relative spese dovevano essere ritenute integralmente addebitabili al conto economico dell’anno 2008; riteneva, inoltre, fondata la pretesa fiscale con riguardo al recupero delle spese di manutenzione dell’immobile, trattandosi di ristrutturazione integrale e, quindi, di manutenzione straordinaria, avendo gli interventi eseguiti certamente incrementato il valore dell’immobile e la sua durata nel tempo.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione la società contribuente, con due motivi.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso e spiega ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

La contribuente ha depositato controricorso al ricorso incidentale e memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta che la decisione impugnata è affetta da grave vizio motivazionale perchè si è limitata ad affermare che i lavori in questione costituiscono “manutenzione straordinaria che ha certamente aumentato il valore dell’immobile”, senza valutare se tali lavori abbiano violato un possibile obbligo di capitalizzazione, che imponeva alla società di contabilizzare tali spese in base alla procedura di ammortamento; la denunciata omissione riguarda un fatto decisivo per il giudizio, che, ove fosse stato considerato, avrebbe portato ad una diversa decisione.

2. Con il secondo motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, comma 6.

Precisa che nel 2008 aveva sostenuto spese in relazione a specifici interventi di manutenzione dell’immobile presso cui aveva sede la società e, in sede di redazione del bilancio, dopo avere escluso che detti interventi si riferissero ad un rinnovo dei cespiti esistenti, tale da comportare un incremento significativo e misurabile di produttività, aveva ritenuto non sussistenti le condizioni per iscrivere detti costi ad incremento del valore in bilancio del fabbricato e li aveva contabilizzati, sotto il profilo civilistico, quali costi di esercizio; dal punto di vista fiscale, aveva applicato la disciplina prevista dall’art. 102 t.u.i.r., comma 6, che, con specifico riguardo alle spese non capitalizzate, prevede che “Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili”. Aveva, quindi, integralmente dedotto tali spese nell’anno 2008 e nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili.

Considerato che le spese in esame erano finalizzate a ripristinare lo stato di deperimento e consumo di diversi elementi interni dello stabile e non avevano generato alcun aumento di produttività dell’immobile, ma piuttosto ripristinato il suo valore originario, unitariatamente considerato, le motivazioni addotte a supporto della mancata capitalizzazione delle spese erano perfettamente coerenti con una valutazione rispettosa degli artt. 2423 c.c., e ss., posto che l’Amministrazione finanziaria non poteva disconoscere la classificazione dei predetti costi operata in sede di redazione di bilancio.

L’art. 102 del t.u.i.r., ad avviso della ricorrente, prevede un meccanismo forfettario in relazione a tutte le spese di manutenzione e ristrutturazione e non distingue la natura delle spese, per cui la sua applicazione non richiede, ai fini fiscali, alcuna indagine volta alla discriminazione delle spese di manutenzione (ordinaria o straordinaria), avendo il legislatore inteso soltanto porre un limite quantitativo alla deducibilità, rappresentato dal tetto del cinque per cento annuo del valore/costo dei beni ammortizzabili; inoltre, anche secondo i principi contabili OIC n. 16 e IAS n. 16, risulta evidente la natura non incrementativa delle spese in oggetto, in quanto spese di natura sostitutiva, che surrogano investimenti già effettuati su un immobile preesistente.

3. Il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo motivo.

L’art. 102 stabilisce al comma 6 (con formulazione identica al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 67, comma 7) che “le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili (…) L’eccedenza è deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi. Per specifici settori produttivi possono essere stabiliti, con decreto del Ministro delle Finanze, diversi criteri e modalità di deduzione (…)”.

Come già affermato da questa Corte (Cass. n. 7885 del 20 aprile 2016; Cass. n. 18810 del 28 luglio 2017; Cass. n. 3170 del 9 febbraio 2018), “la disposizione normativa consente all’imprenditore di esercitare l’opzione tra la capitalizzazione delle spese incrementative, quale aumento del costo del bene ammortizzabile, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati (deduzione di importo non superiore al 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili; deduzione dell’eccedenza per quote costanti nei cinque esercizi successivi)”.

La questione che si pone ai fini della deducibilità della spesa, ai sensi dell’art. 102 del t.u.i.r., comma 6, non è quindi quella prospettata concernente la natura incrementativa o meno della spesa, circostanza che non può essere sindacata dall’Amministrazione fiscale, ma piuttosto quella della sua imputazione o meno in bilancio ad incremento del bene cui si riferisce (Cass. n. 274 del 10 gennaio 2001), posto che l’art. 102 fa riferimento alle spese che dal bilancio risultano non capitalizzate e quindi applica la regola della derivazione del reddito fiscale dal bilancio di esercizio.

Ne discende che non è corretta in diritto l’interpretazione adottata dalla Commissione regionale, la quale, aderendo alla prospettazione della Amministrazione, senza specificare se nel caso in esame risultassero dal bilancio imputate ad incremento del costo del bene cui si riferiscono, ha affermato che le spese di manutenzione sostenute dalla società contribuente, in quanto di natura incrementativa del valore dell’immobile interessato che obbligatoriamente ammortizzabili.

Il contenuto ritenere che la sua è stato integralmente ristrutturato, essere imputate ad aumento dei costi letterale della norma in questione impone, applicazione non richiede, ai fini fiscali, una indagine in merito alla natura delle spese sostenute (incrementativa o meno) e che è lasciata alla parte contribuente, alla quale compete in via esclusiva e non sindacabile la redazione del bilancio ai fini civilistici, la libertà di scelta tra imputare le spese di manutenzione a incremento del costo ammortizzabile oppure dedurle integralmente entro il plafond fissato dalla legge.

La sentenza sul punto va, pertanto, cassata.

4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la difesa erariale denuncia violazione dell’art. 102 del t.u.i.r. e del principio contabile n. 16 nella parte in cui la decisione impugnata ritiene correttamente addebitabili al conto economico le spese di demolizione del capannone.

Spiega, al riguardo, che tutti i beni strumentali sono fiscalmente ammortizzabili a condizione che persista il carattere di strumentalità e che, in applicazione dei principi contabili richiamati, trattandosi di spese sostenute per lavori su bene strumentale materiale (lo stabilimento), la contribuente avrebbe dovuto portare in deduzione la relativa quota di ammortamento, calcolata sulla base dei coefficienti stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988; conseguentemente la statuizione della sentenza impugnata sarebbe errata perchè i giudici di merito, sulla base della circostanza che la ricostruzione del capannone non era stata portata a termine, hanno ipotizzato una diversa natura delle spese sostenute dalla società, le quali non sarebbero più qualificabili come spese di un bene strumentale, ma rappresenterebbero un costo d’esercizio, deducibile secondo le regole generali delle spese e dei componenti negativi di cui all’art. 109 del t.u.i.r..

4.1. La censura è infondata.

4.2. Risulta ormai accertato che la società contribuente ha demolito il capannone e non ha poi proceduto alla sua ricostruzione, sicchè le relative spese sostenute non hanno natura incrementativa del bene strumentale, ossia del capannone, che, non essendo più esistente e non potendo più essere utilizzabile, ha ormai un valore pari a “zero”.

E’ pur vero che i lavori di demolizione, rimuovendo il manufatto, hanno fatto riemergere il valore del terreno su cui lo stesso insisteva, ma ciò non comporta che dallo smantellamento dell’immobile sia derivata una spesa che, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, deve essere capitalizzata e portata in deduzione mediante quote di ammortamento.

Infatti, le spese di demolizione oggetto di contestazione, ove fossero considerate relative al bene strumentale (fabbricato), ormai distrutto e non più esistente, non potrebbero essere portate in deduzione mediante quote di ammortamento, ma sarebbero anzi totalmente deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute a norma dell’art. 102, comma 4, del t.u.i.r., che prevede che in caso di eliminazione di un bene non ancora completamente ammortizzato dal complesso produttivo, il costo residuo è ammesso in deduzione; neppure è consentita la capitalizzazione e deduzione mediante quote di ammortamento, se si ritengono le spese di demolizione relative al terreno, in quanto, dal punto di vista fiscale, i terreni sono privi del requisito della strumentalità e non sono soggetti ad ammortamento ai sensi dell’art. 102 del t.u.i.r..

La decisione dei giudici di appello non incorre, pertanto, nel dedotto vizio di violazione di legge.

5. In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo motivo, e va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza va, quindi, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p.c., con l’accoglimento integrale dell’originario ricorso della contribuente.

Le spese dei gradi del giudizio di merito, in considerazione dello svolgimento del processo, vanno integralmente compensate, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Quanto all’obbligo legale del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, si osserva che esso non può avere luogo nei confronti di quelle parti, come le amministrazioni dello Stato, che sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U, n. 26280 del 25/11/2013, in motivazione; Cass. n. 9974 del 15/5/2015).

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il primo motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie integralmente il ricorso originario della contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito.

Condanna la controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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