Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16818 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 15/06/2021), n.16818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4201-2018 proposto da:

ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA, V. DEL TEMPIO DI

GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO ROSSI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO CIAVARELLA;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE RELIGIOSA S. SOFIA PER CATTOLICI UCRAINI, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 15, presso lo studio dell’avvocato

CARLO TARDELLA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3873/2017 della COMM. TRIB. REG. LAZIO,

depositata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Associazione Religiosa S. Sofia per Cattolici Ucraini proponeva ricorso avverso quattro avvisi di accertamento notificati da Roma Capitale, con riferimento agli anni di imposta dal 2008 al 2011, per omesso versamento ICI.

L’Istituto religioso sosteneva di avere diritto all’esenzione D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 7, comma 1, lett. i) in quanto il complesso immobiliare sito in (OMISSIS), con ingresso da (OMISSIS) e da (OMISSIS), era insediato nella parte storica della città e, quindi, essendo sottoposto a vincolo di tutela monumentale, ai sensi della L. n. 1089 del 1939, usufruiva della riduzione prevista dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2. Inoltre, l’Associazione contestava l’applicazione della sanzione per omessa presentazione della dichiarazione I.C.I..

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 10376/17/16, accoglieva in parte il ricorso, rilevando che per gli immobili utilizzati dall’ente ricorrente ad accessori della Chiesa, come la parrocchia, la sagrestia e l’abitazione del parroco, andava applicata l’esenzione, mentre per il complesso immobiliare sito alla (OMISSIS) andava applicata l’imposta con la riduzione della base imponibile nella misura prevista dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, trattandosi di beni sottoposti a vincolo di tutela monumentale.

L’Ufficio appellava la pronuncia dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che, con sentenza n. 3873/17, accoglieva parzialmente l’appello, ritenendo di escludere l’esenzione solo per gli immobili censiti come negozi e botteghe per i quali non potevano ricorrere i presupposti previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7.

Roma Capitale ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. Associazione Religiosa S. Sofia per Cattolici Ucraini si è costituita con controricorso e deposita memoria. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha presentato memorie, concludendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con il D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, convertito con L. n. 75 del 1993 e la L. n. 449 del 1997, art. 1, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non sussistendo un vincolo sull’immobile in virtù del suo interesse storico o artistico. Roma Capitale deduce che nel corso del giudizio l’Associazione non avrebbe prodotto il Decreto con il quale il Ministero avrebbe disposto il vincolo diretto sugli immobili oggetto di accertamento, ma solo la comunicazione della Sovraintendenza, in virtù del particolare interesse storico e culturale vantato dagli stessi, sicchè non sarebbe stata fornita la documentazione idonea a provare il diritto a beneficiare dell’agevolazione, di cui al combinato disposto della L. n. 1089 del 1939, artt. 1 e 3, con conseguente legittimità della differenza di imposta richiesta con l’atto impositivo.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 174, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, del Regolamento ICI del Comune di Roma, art. 19 e dell’art. 112 c.p.c. (nonchè delle norme a questo connesse e correlate), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Roma Capitale contesta che i giudici di appello si sarebbero pronunciati ultra petita, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto con il ricorso introduttivo del giudizio l’Associazione non aveva mai invocato l’applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, essendosi limitata ad invocare un’erronea applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, da parte dell’Amministrazione, in quanto nella fattispecie avrebbe doveva trovare applicazione il c.d. cumulo giuridico.

La Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente affermato che, con il venir meno per gli enti non commerciali degli obblighi di dichiarazione a decorrere dal 1.1.2007, in forza del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, nessuna sanzione era dovuta dalla contribuente Associazione.

Invero, il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, non potrebbe disporre per l’avvenire, atteso che la contestazione dell’Amministrazione avrebbe attinenza a situazioni e variazione di fatto precedenti al 1.1.2007, in quanto l’omessa dichiarazione risaliva ad annualità di imposta precedenti, anche se accertate e contestate a partire dagli anni 2008, 2009, 2010, 2011.

3. Il primo motivo di ricorso è infondato per i principi di seguito enunciati.

3.1. In tema di ICI, l’agevolazione prevista dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, convertito in L. n. 75 del 1993, per gli immobili dichiarati di interesse storico o artistico ai sensi della L. n. 1089 del 1939, art. 3, persegue l’obiettivo di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili vincolati. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, precisato che: “In tema di tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico, il D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, comma 5, convertito nella L. 24 marzo 1993, n. 75, come interpretato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 6, prevede un regime di natura speciale – giustificato dai pesanti oneri manutentivi che il riconoscimento della specifica qualità comporta per tale tipologia di immobili” (Cass. SS.UU. n. 5518 del 2011).

Pertanto, la ratio dell’agevolazione va individuata in una esigenza di equità fiscale, derivante dalla considerazione della minore utilità economica che presentano i beni immobili di interesse storico artistico in conseguenza del complesso di vincoli e limiti cui la loro proprietà è sottoposta (Corte Cost. n. 345 del 2003).

In tema di vincoli apposti agli immobili di interesse storico – culturale, il D.Lgs. n. 42 del 2004, non ha abrogato il Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali disciplinato dal D.Lgs. n. 490 del 1999, ma ha inciso sulla disciplina della L. n. 1089 del 1939, introducendo, per quanto qui interessa, un sistema di tutela misto a seconda che si tratti di beni, ovviamente sempre di rilievo culturale, di proprietà privata oppure di proprietà pubblica, nel senso che la proprietà pubblica gode sempre delle disposizioni di tutela previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, mentre la proprietà privata ne gode solo allorquando sul bene sia intervenuta una dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico, da parte della Soprintendenza (Cass. n. 19878 del 2016).

La giurisprudenza di legittimità, con la suddetta pronuncia, ha chiarito che: “siffatta scelta interpretativa, la quale risulta senz’altro la più convincente, non può che partire dal dettato normativo, come modificato dal richiamato D.Lgs. n. 42 del 2004, che, infatti, all’art. 10, qualifica quali “beni culturali” le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato (e ad altri enti territoriali, persone giuridiche pubbliche e private) che “presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”; i successivi commi 2 e 3 individuano poi gli altri beni qualificati culturali senza la dichiarazione prevista dal successivo art. 13, o a seguito di questa, ovvero della dichiarazione che accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse richiesto”.

Per il patrimonio culturale di proprietà pubblica, dunque, è previsto un sistema di tutela che può definirsi reale, in quanto vige una presunzione di interesse storico ed artistico ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 12, comma 1, il quale prevede che siano da considerarsi beni culturali ai fini del godimento della tutela codicistica, le cose mobili o immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonchè ad ogni altro ente o istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro ivi compresi gli enti ecclesiastici che presentino un semplice “interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico”.

La presunzione di culturalità dei suddetti beni, che si ricava dal complesso di norme in esame, può essere definita provvisoria, in quanto sussiste fino a quando non sia stata effettuata una verifica da parte del Ministero competente che può avvenire d’ufficio o su istanza dei soggetti a cui le cose appartengano, circa l’effettiva sussistenza dell’interesse culturale del bene (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 12, comma 2).

Qualora, infatti, all’esito di tale verifica sul bene, non dovesse essere riscontrato alcun interesse culturale, lo stesso non godrebbe affatto delle norme di protezione.

La Corte ha precisato che per meglio cogliere il diverso regime esistente tra il patrimonio culturale di proprietà pubblica, e tra questo i beni appartenenti agli enti ecclesiastici, e quello di proprietà privata è appena il caso di rilevare che per i beni di proprietà privata vige un sistema di tutela del solo patrimonio culturale dichiarato, nel senso che essi godono di tutela solo in presenza della “dichiarazione di interesse culturale” prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 13, rilasciata dalle competenti autorità, che ne attesti il valore storico e archeologico.

Per tali beni non è sufficiente la presenza del ricordato “interesse storico, artistico o etnoantropologico”, così come previsto per i beni di proprietà pubblica, ma occorre che questo interesse venga dichiarato formalmente seguendo le procedure di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 14.

Ne consegue che: “La questione concernente l’applicabilità del beneficio fiscale previsto dal D.L. n. 16 del 1993, citato art. 2, comma 5, agli immobili di interesse storico o artistico di cui alla stessa legge, art. 4, e successive modifiche, appartenenti ad uno dei soggetti oggi individuati dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, comma 1, non può che essere data risposta positiva essendo da escludere la necessaria preesistenza di un formale provvedimento che riconosca il loro interesse culturale, emesso dall’autorità amministrativa ai sensi del citato D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 13, provvedimento, invece, necessario per i beni di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, comma 3, e, cioè, per quei beni che risultino appartenere a privati in base a un titolo che ne legittimi la disponibilità” (Cass. n. 19878 del 2016; Cass. n. 20131 del 2020).

3.2. Nella fattispecie non è contestato che nel corso del giudizio l’Associazione non ha prodotto il Decreto con il quale il Ministero avrebbe disposto il vincolo diretto sugli immobili oggetto di accertamento, ma ha allegato due comunicazioni: a) lettera della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio 12.5.2003 recante “Oggetto: Roma: (OMISSIS) – Edificio de iure sottoposto a vincolo di tutela monumentale ai sensi della L. n. 1089 del 1939 ora D.Lgs. n. 490 del 1999” (v. pag. 3 ricorso); b) certificazione della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio del Comune di Roma 7.1.2016, con cui si attesta che “la (OMISSIS) con tutte le sue decorazioni esterne ed interne sita in (OMISSIS), segnata al Vecchio Catasto al Rione (OMISSIS) lettere (OMISSIS) riveste interesse culturale con lettera del 04.04.1950 (ex L. n. 1089 del 1939, ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, comma 1)” (v. ricorso pag. 3).

Tale documentazione, trattandosi di un immobile adibito all’uso pubblico di proprietà di un ente ecclesiastico, attribuisce allo stesso una tutela reale, in ragione della presunzione di interesse storico ed artistico ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 12, comma 1, essendo stata espressa dalla competente Soprintendenza la “dichiarazione di interesse culturale” prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 13, che ne attesta il valore storico e archeologico.

Non è, infatti, contestata la natura di persona giuridica dell’Associazione (provata comunque da certificato della Prefettura di Roma del 17.2.2014 v. allegato 3f), nè la natura di ente ecclesiastico (circostanza dedotta con controdeduzioni in appello v. allegato 3 I) della stessa.

Ne consegue che correttamente i giudici di appello hanno ritenuto l’idoneità di tale certificazione al fine dell’applicazione del trattamento agevolativo, escludendo la necessaria preesistenza di un formale provvedimento che riconosca l’interesse culturale, emesso dall’autorità amministrativa ai sensi del citato D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 13.

4. Privo di rilievo anche il secondo motivo di ricorso.

Nella fattispecie non sussiste l’invocato vizio di motivazione della sentenza impugnata ex art. 112 c.p.c., atteso che il giudice di appello, immutati il petitum e causa petendi, ha risolto la questione della sussistenza del trattamento sanzionatorio in ragione della omessa dichiarazione ai fini ICI, facendo applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, norma eccepita negli atti difensivi dalla contribuente.

La disposizione, infatti, è stata richiamata dall’Associazione nel corso del giudizio di appello, come risulta dalle controdeduzioni in appello dalla stessa depositate (il cui contenuto è stato anche riportato in controricorso in ossequio al principio di autosufficienza), in cui si precisa che “nell’ottica della semplificazione degli adempimenti connessi all’applicazione ICI, il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 53, convertito in L. n. 248 del 2006, ha sancito la soppressione dell’obbligo di presentare la dichiarazione ICI di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 10, comma 4, con effetti dal 18 dicembre 2007 (quindi a valere dalle dichiarazioni presentate dal 2008)”.

Quanto alla critica secondo cui i giudici di appello avrebbero fatto erronea applicazione del citato art. 37, va rilevato che la norma stabilisce che gli obblighi dichiarativi ICI per gli enti non commerciali sono venuti meno a decorrere dal 1.1.2007, mentre gli avvisi di accertamento per cui è causa riguardano gli anni successivi, ossia dal 2008 e seguenti.

5. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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