Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16818 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/07/2017, (ud. 23/06/2017, dep.07/07/2017),  n. 16818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26182/2010 R.G. proposto da:

G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. M.P. Gigliola

Matarrese, con domicilio eletto in Roma, Palazzo Tettamanti, via

Nizza, n. 92, presso Io studio dell’Avv. Cosimo Damiano Mastro Rosa;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, n. 108/14/09 depositata il 1 settembre 2009.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23 giugno

2017 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che, con sentenza depositata il 1/9/2009, la C.T.R. della Puglia ha rigettato l’appello proposto dal contribuente G.G. ritenendo legittimo l’avviso di accertamento nei suoi confronti emesso per il recupero a tassazione, ai fini Irpef e SSN, per l’anno d’imposta 2000, del maggior reddito determinato a seguito di rettifica di quello dichiarato dalla società (F.lli G. S.r.l.) dallo stesso partecipata per la quota del 50%;

che avverso tale decisione propone ricorso il contribuente sulla base di otto motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

considerato che con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324, 325 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, rilevando che la sentenza impugnata si pone in contrasto con il giudicato formatosi sulla sentenza n. 38/11/2009, depositata il 24/11/2009 e divenuta definitiva in data 9/5/2010, con la quale la C.T.R. della Puglia ha annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società;

ritenuto che la censura è fondata;

che risulta invero ritualmente documentato il passaggio in giudicato della sopra menzionata sentenza, attraverso la produzione di copia conforme della stessa, recante l’attestazione di cancelleria di mancata impugnazione nei termini;

che, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, perchè possa operare la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili occorre, fra l’altro, che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (Cass. n. 11680 del 2016; Cass. n. 9711 del 2015; Cass n. 9341 del 2015; Cass. n. 20870 del 2010);

che ne discende che il giudicato formatosi sulla sentenza di merito che ha annullato l’accertamento posto a carico della società -giudicato opponibile per la prima volta in cassazione, ove debitamente documentato, se formatosi, come nel caso di specie, successivamente alla sentenza impugnata (cfr. Cass. 23/12/2010, n. 26041) – non può non riverberare i propri effetti anche su quello conseguentemente emesso a carico del socio per il recupero a tassazione del maggior reddito di capitale induttivamente determinato in ragione della presunzione della distribuzione dei maggiori utili; ciò in virtù dell’efficacia riflessa del giudicato, estesa ai soggetti estranei al processo, ma titolari di diritti dipendenti o subordinati alla situazione giuridica in esso definita, sicchè risulta infondato l’avviso di accertamento verso quest’ultimo, di cui è venuto meno il presupposto (v. Cass. n. 23899 del 2015; Cass. n. 24793 del 2015);

che il ricorso merita pertanto accoglimento, rimanendo assorbito l’esame dei rimanenti motivi con i quali si deducono errores in procedendo (per la mancata sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello relativo all’accertamento nei confronti della società: motivi secondo e terzo); errores in iudicando (per avere la C.T.R. omesso di rilevare l’illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione, in mancanza della previa notifica o quanto meno della riproduzione al suo interno dell’accertamento condotto nei confronti della società e, comunque, in mancanza di un accertamento definitivo sulla legittimità della rettifica relativa al reddito di quest’ultima: motivi secondo, quarto e quinto); altro error in iudicando (per avere i giudici di merito confermato la legittimità dell’accertamento in mancanza di prova, il cui onere incombeva sull’ufficio impositore, che la società avesse effettivamente realizzato un utile extrabilancio: sesto motivo); altro error in procedendo (per omessa pronuncia sul motivo d’appello con il quale si era dedotto essere onere dell’Ufficio provare la distribuzione dei presunti utili extracontabili in capo ai soci anche in presenza di una società a ristretta base partecipativa: settimo motivo); altro error in iudicando e vizio di motivazione (per avere la C.T.R. deciso nei termini suddetti sulla base di presunzioni assolute, sia per ciò che concerne la sussistenza di un maggior utile in capo alla società, sia in ordine alla effettiva distribuzione di questo ai soci: ottavo motivo);

che la sentenza va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con l’accoglimento del ricorso introduttivo;

che alla soccombenza segue la condanna dell’amministrazione controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza; decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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