Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16816 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. III, 29/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 29/07/2011), n.16816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

SUPERMERCATO SFEA SRL (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GALLIA 86, presso lo studio dell’avvocato MANCINI MONALDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PECORELLA RENZO, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G. (OMISSIS), D.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NOMENTANA

251, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA SGARRELLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato MODESTI DIEGO, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

EDILGAMMA SRL, FONDIARIA SAI SPA, C.V. nella sua

qualità di titolare e legale rappresentante della omonima ditta;

– intimati –

avverso la sentenza n. 208/2009 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE del

26.5.09, depositata il 05/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FUCCI

Costantino.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 5/6/2009 la Corte d’Appello di Trieste, in accoglimento del gravame interposto dai sigg.ri G. ed A. D., e per l’effetto in parziale riforma della pronunzia Trib.

Udine n. 731 del 2008, condannava il SUPERMERCATO SFEA s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di prime cure, oltre che di quelle del grado.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il SUPERMERCATO SFEA s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad UNICO complesso MOTIVO. Resistono con controricorso i sigg.ri G. ed D.A..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Con UNICO complesso MOTIVO la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè vizio di motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 366-bis c.p.c. e dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Orbene, nel caso il motivo non reca invero il prescritto quesito di diritto.

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il motivo non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati- delle “ragioni” delle doglianze, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

Il motivo si palesa pertanto privo dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che le parti non hanno presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile;

considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza in favore dei controricorrenti, mentre non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge, in favore dei D..

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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