Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16809 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 16/07/2010), n.16809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.F., residente in (OMISSIS),

rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso

dall’Avvocato NICCOLINI Aldo, domiciliato presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona,

rispettivamente, del Ministro e del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 49/26/07 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, depositata il 7 novembre 2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Raffaele

Ceniccola.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio:

letto il ricorso proposto da P.F. per la cassazione della sentenza n. 49/26/07 del 7.11.2007 della Commissione regionale della Toscana, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto i suoi ricorsi per l’annullamento degli avvisi di accertamento che, a fini Irpef, Irap ed Iva, gli avevano contestato, quale esercente attività di scuderia, indebita detrazione di Iva e maggior ricavi in relazione agli anni 1998, 1999 e 2000;

letto il controricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate; vista la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., dal Consigliere delegato Dott. Mario Bertuzzi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso osservando che:

– “con il primo motivo il ricorso lamenta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 2, in relazione al recupero a tassazione dei premi ricevuti dall’Unire a seguito di vittoria nelle competizioni dei propri cavalli da trotto, sostenendo che, stante l’alcatorietà della vincita, essi non costituirebbero ricavi”;

– “il motivo è inammissibile dal momento che si sostanzia in una censura avverso gli atti impugnati che, in mancanza di indicazione da parte del ricorrente circa la sua proposizione fin dal ricorso introduttivo e in assenza di qualsiasi menzione o esame di essa da parte della sentenza impugnata, non può che considerarsi nuova, come tale non più proponibile nel corso del giudizio”;

– “il secondo motivo di ricorso, che denunzia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 4, si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Pescia, negli avvisi di accertamento impugnati abbia utilizzato criteri oggetti vi, coerenti con la natura dei beni e dei servizi acquistati, per determinare l’ammontare dell’imposta detraibile e, conseguentemente, abbia o non abbia violato il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 2”;

– “il mezzo è inammissibile per manifesta genericità del quesito, atteso che in esso manca qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta dedotta in giudizio ed alle specifiche affermazioni della sentenza impugnata, nonchè l’affermazione del principio di diritto di cui si chiede l’applicazione”:

– “in merito al tema dei requisiti di contenuto del quesito che il ricorrente ha l’onere di formulare ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – applicabile nella fattispecie essendo stata la sentenza impugnata depositata dopo il 2 marzo 2006 (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) – questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il quesito di diritto consiste non già in un’affermazione di diritto astratta ed avulsa dal caso concreto, ma deve consistere in un interrogativo che deve necessariamente contenere, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto – rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato – di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l’applicazione al fine di ottenere la pronuncia di cassazione, in modo da circoscrivere l’oggetto di quest’ultima nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito stesso (Cass. S.U. n. 23732 del 2007; Cass. S.U. n. 20360 e n. 36 del 2007; Cass. n. 14682 del 2007)”;

– “il terzo e quarto motivo di ricorso, che denunziano il vizio di insufficiente ed omessa, sono entrambi inammissibili in quanto formulati in modo non conforme alla prescrizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 2, la quale, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20603 dell’1.10.2007 (poi ulteriormente confermato da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra le quali si segnalano le ordinanze n. 8897 del 2008 e n. 4309 del 2008), impone al ricorrente che denunzi il difetto di motivazione della decisione impugnata l’onere non solo di dedurre in modo specifico la relativa censura, ma anche di formulare, al termine di essa, un momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in modo da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua inammissibilità”;

rilevato che la relazione è stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti costituite, che non hanno depositato memoria;

ritenuto che le argomentazioni e la conclusione della relazione meritano di essere interamente condivise, apparendo rispondenti sia a quanto risulta dall’esame degli atti di causa che all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte in ordine agli adempimenti richiesti, a pena di inammissibilità, dalla disposizione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (ex multis: Cass. n. 8463 del 2009;

Cass. n. 7197 del 2009; Cass. S.U. n. 16528 del 2008);

che, in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, come liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e contribuii di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

 

Sommario

IntestazioneFattoP.Q.M.

Copia

 

 

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