Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16807 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 29/07/2011), n.16807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.I., S.M., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato STUDIO

CARLUCCIO PARDINI, rappresentate e difese dall’avvocato NENCINI

FRANCO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MEI VALVOLE INDUSTRIALI S.R.L., nonchè IMMOBILIARE FRATELLI MEI DI

MEI LORENZO & MARCELLO S.N.C. (già Fratelli MEI s.n.c), in

persona

dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CATTARO 28, presso lo studio dell’avvocato COSENTINO

GIUSEPPE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GUARNIERI GIULIO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1319/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/10/2008 r.g.n. 596/08 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lucca, in accoglimento delle domande proposte S.M. e V.I., dichiarava illegittimo il licenziamento per cessazione d’azienda intimato alle ricorrenti dalla società Immobiliare in epigrafe e quello disciplinare, comunicato alle predette ricorrenti, durante il periodo di preavviso.

Conseguentemente il precitato Tribunale ordinava alla società Mei Valvole Industriali (cessionaria della società Immobiliare) la reintegra delle lavoratrici nel posto di lavoro e condannava entrambe le società in solido al pagamento delle retribuzioni omesse sino alla effettiva reintegra.

La Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, respingeva l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e confermava la declaratoria d’illegittimità di quello disciplinare intimato durante il preavviso pronunciando sentenza di condanna, nei soli confronti della società Immobiliare ( cedente), esclusivamente per il risarcimento del danno conseguente alle retribuzioni maturate sino al termine del periodo preavviso.

La Corte del merito, premesso che i due licenziamenti dovevano essere valutati separatamente, riteneva, innanzitutto, tardiva – in quanto intervenuta oltre il termine di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6 – la impugnativa del licenziamento intimato dalla società Immobiliare per cessazione d’attività. Rilevava, poi, la Corte territoriale, che il licenziamento disciplinare, comunicato in costanza di preavviso, doveva considerarsi illegittimo in quanto intimato per una assenza di un numero di giorni superiore a quelli contestati. Pertanto la Corte di appello, reputando efficace il primo licenziamento, limitava le conseguenze della illegittimità del secondo licenziamento, intimato in costanza di preavviso, alla condanna della società recedente al risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni concernenti il rimanente periodo di preavviso che non era stato lavorato per effetto dell’intervenuto licenziamento disciplinare.

Avverso questa sentenza le lavoratrici in epigrafe ricorrono in cassazione sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso le due società intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, sostengono che la Corte del merito non ha valutato i fatti concernenti la vicenda dei due licenziamenti nel loro succedersi ed intersecarsi.

La censura per come articolata non è esaminabile da questa Corte.

Invero, oltre a mancare, ex art. 366 bis c.p.c., la chiara indicazione del fatto controverso,inteso quale sintesi omologa al quesito di diritto, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063), le ricorrenti omettono, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere nel ricorso il testo dei documenti di cui deducono la erronea mancata corretta valutazione (V. Cass. 11 giugno 2001 n. 7852 e Cass. 20 gennaio 2006 n. 1113).

Con la seconda critica le ricorrenti, allegando violazione degli att. 1324 c.c., art. 1362 c.c. e segg. nonchè vizio di motivazione, formulano, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “se il giudice investito della questione circa le conseguenze di un secondo licenziamento illegittimo, in relazione ad un primo licenziamento non impugnato, debba o meno accertare la volontà del soggetto che ha emesso i due provvedimenti risolutori dei rapporti di lavoro, al fine di verificarne la permanenza o meno degli effetti del primo licenziamento”.

Anche questa censura per come è articolata non è esaminabile in questa sede di legittimità.

Di contro, infatti, vi è, non solo il rilievo della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione la cui ammissibilità è negata da questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770), ma anche la considerazione che manca la chiara indicazione del fatto controverso nel senso innanzi indicato.

Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dal quesito di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali alla violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c..

Inoltre, pur a voler intendere la censura , limitata alla sola violazione di legge, trattandosi di denuncia di erronea interpretazione di atti d’autonomia privata quali sono i provvedimenti di licenziamento – non è sufficiente l’astratto riferimento, come nella specie, alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, la trascrizione, nel caso de quo non effettuata, del testo dell’atto (V. per tutte Cass 22 febbraio 2007 n. 4178).

Con la terza censura le ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 1324 c.c., art. 1362 c.c. e segg., art. 1328 c.c. nonchè vizio di motivazione, articolano,ex art. 366 bis c.p.c. cit., i seguenti quesiti: 1. “se il giudice, investito della questione circa le conseguenze di un secondo licenziamento dichiarato illegittimo, in relazione ad un primo licenziamento non impugnato, violi e/o falsamente applichi l’art. 1324 c.c., art. 1362 c.c. e segg. e art. 1328 c.c. ove non accerti la volontà del soggetto che ha emesso i due provvedimenti risolutori dei rapporti di lavoro, di revocare implicitamente il primo licenziamento” 2. – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – “la mancata ricostruzione della volontà della F.lli Mei snc riguardo al primo licenziamento (per g.m.o.), nel momento in cui ha inflitto alle ricorrenti il secondo licenziamento ( disciplinare), implica il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione su di un fatto decisivo”.

Anche questo motivo non è esaminabile ostandovi le stesse ragioni illustrate in occasione dell’esame della censura che precede.

Infatti, non solo difetta la chiara indicazione del fatto controverso – che non può esaurirsi nella semplice prospettazione di una omessa motivazione occorrendo invece la indicazione delle ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione ed in caso di omissione decisivo il difetto di motivazione, ma altresì non è trascritto nel ricorso il testo dei documenti di cui è dedotta la erronea interpretazione, nè è specificato il modo nel quale il giudice si è discostato dai criteri legali d’interpretazione.

Con l’ultimo motivo le ricorrenti, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 1324 c.c., dell’art. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1328 c.c., pongono il seguente quesito:”se il giudice, investito della questione circa le conseguenze di un secondo licenziamento dichiarato illegittimo, in relazione ad un primo licenziamento non impugnato,violi e/o falsamente applichi gli artt. 1324, 1362 c.c. e segg. e art. 1328 c.c. ove non accerti la volontà del soggetto che ha emesso i due provvedimenti risolutori dei rapporti di lavoro, di revocare implicitamente il primo licenziamento, allorchè ha stipulato il contratto di cessione di azienda (OMISSIS)”.

Analoghe ragioni a quelle in precedenza esposte inducono questa Corte a considerare il motivo non esaminabile.

In particolare mette conto sottolineare che le ricorrenti, tra l’altro, omettono di trascrivere nel ricorso,in violazione del principio di autosufficienza, il testo del contratto di cessione da cui si sarebbe dovuta desumere la volontà del soggetto, che ha emesso i due provvedimenti risolutori dei rapporti di lavoro, di revocare implicitamente il primo licenziamento.

Sulla base delle esposte considerazione, in conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 oltre Euro tremila/00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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