Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16807 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 09/08/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 09/08/2016), n.16807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9274-2012 proposto da:

T.V., T.A., C.A., T.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, V. CESARE BECCARIA 84, presso lo

studio dell’avvocato LUCREZIA MARIA MALVONE, rappresentati e difesi

dagli avvocati DAVIDE BALDINI, FELICE SCOTTO;

– ricorrenti –

contro

D.L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 289, presso lo studio dell’avvocato MARIA GLORIA DI LORETO,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA PASTORE CARBONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1132/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato SCOTTO Felice, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria;

udito l’Avvocato DI LORETO Maria Gloria, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo

ed il rigetto del resto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – D.L.M. convenne in giudizio C.A., T.V., T.A. e T.M., chiedendo – per quanto qui ancora rileva – la condanna dei medesimi all’arretramento, fino alla distanza legale, del capannone da essi edificato sul fondo finitimo a quello attoreo, nonchè al risarcimento dei danni.

Nella resistenza dei convenuti, che eccepirono l’usucapione del diritto di mantenere il capannone a distanza inferiore a quella legale (risalendo il medesimo all’anno 1970, seppure nel 1987 il fabbricato era stato demolito e ricostruito sull’originario sito), il Tribunale di Torre Annunziata accolse le domande attoree, condannando i convenuti all’arretramento del capannone fino alla distanza legale e al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede.

2. – Sul gravame proposto dai convenuti, la Corte di Appello di Napoli confermò la pronuncia di primo grado.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono C.A., T.V., T.A. e T.M., sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso D.L.M..

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. e artt. 2697, 873, 877, 1142 e 1158 c.c., per avere la Corte di Appello escluso che il nuovo capannone fosse una ricostruzione di quello precedente demolito, che era stato edificato ad inizio degli anni ‘70.

Il motivo non è fondato.

I giudici di merito hanno accertato che l’originario capannone era costituito da una struttura aperta, priva di pareti perimetrali; si trattava di una copertura in lamiera ondulata sorretta da pali in legno Hanno ancora accertato che, a seguito della demolizione di tale originaria struttura, i convenuti hanno edificato un capannone chiuso, munito di pareti perimetrali, del tutto diverso per tipologia da quello precedente.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di opere edilizie, qualora siano venute meno, per eventi naturali o per demolizione, le preesistenti strutture edilizie, si ha “mera ricostruzione” se l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle strutture precedenti, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, senza aumenti della volumetria nè delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro; in presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (Sez. 2, Sentenza n. 3391 del 11/02/2009, Rv. 606635; Sez. U, Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011, Rv. 619608; Sez. 2, Sentenza n. 17043 del 20/08/2015, Rv. 636135).

Nella specie, risulta che il nuovo capannone ha una tipologia diversa dal precedente e un diverso ingombro volumetrico. Il primo capannone, infatti, mancava di pareti perimetrali, pareti che invece esistono nel secondo.

Pertanto, con la costruzione delle pareti, si è dato luogo ad un volume che prima non esisteva e si sono poste le condizioni per creare quella intercapedine dannosa che la legge – stabilendo la distanza minima tra le costruzioni – intende evitare. E sotto tale punto di vista, rimane irrilevante la circostanza che il nuovo capannone è stato edificato nel medesimo sito del preesistente e alla stessa distanza legale dal fondo attoreo.

Esattamente, pertanto, i giudici di merito hanno ritenuto che il nuovo capannone costituisce una nuova costruzione, soggetta alle distanze legali, e non invece una ricostruzione del precedente.

2. – Nel rigetto del primo motivo rimangono assorbiti il secondo motivo (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte territoriale escluso che fosse maturato l’usucapione della servitù di tenere il fabbricato a distanza non legale in forza di possesso decorrente dalla costruzione del primo manufatto) e il terzo motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte di Appello errato nel ritenere che l’abbattimento del primo manufatto avesse interrotto il possesso ad usucapionem), in quanto – una volta ritenuto che il nuovo capannone costituisce nuova costruzione – è esclusa anche la configurabilità di un possesso della servitù di tenere il fabbricato a distanza non legale decorrente dalla costruzione del primo capannone e proseguito ininterrottamente fino alla data di inizio della causa.

3. – Col quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113, 116 e 278 c.p.c. e art. 2043 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto legittima la condanna generica al risarcimento dei danni in difetto di apposita istanza della parte e in difetto di qualsiasi allegazione probatoria della stessa.

Questa censura è inammissibile.

Trattasi infatti di censura nuova, che non è stata dedotta con l’atto di appello, come risulta dall’esame dello stesso, cui la Corte può accedere laddove – come nel caso di specie – sia denunciato un error in procedendo.

4. – Col quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 113 c.p.c., per non avere la Corte territoriale compensato le spese processuali tra le parti, pur in presenza di soccombenza reciproca.

La censura è inammissibile.

Invero, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013, Rv. 627183)

Del tutto legittima risulta, pertanto, la pronunciata condanna al pagamento delle spese processuali, sulla base di una valutazione del giudice di merito che non è sindacabile nel presente giudizio di legittimità.

5. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.700,00 (duemilasettecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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