Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16807 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 02/07/2019, dep. 07/08/2020), n.16807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 7675 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Swinger International s.p.a. s.r.l., in persona legale rappresentante

pro tempore F.M., DHL Express (Italy) s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore P.A., Schenker

Italiana s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore

G.F.L.M., SEBI s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore B.C., CAD Ba.

s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore

Ba.Fi.Em., Italsempione Spedizioni Internazionali s.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore V.P.,

rappresentate e difese, giusta procure speciali a margine del

controricorso, dall’avv.to Piero Bellante, e dall’avv.to Roberto

Bragaglia, elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo

difensore in Roma Piazzale Ardigò n. 42;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, sezione staccata di Verona n. 1251/12/2017,

depositata il 15 dicembre 2017, notificata il 28 dicembre 2017.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2

luglio 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido

di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 1251/12/2017, depositata il 15 dicembre 2017 e notificata il 28 dicembre 2017, la Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione staccata di Verona (hinc: “CTR”), accoglieva l’appello proposto da Swinger International s.p.a. s.r.l., DHL Express (Italy) s.r.l., Schenker Italiana s.p.a., SEBI s.r.l., CAD Ba. s.r.l., Italsempione Spedizioni Internazionali s.p.a., in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 349/03/2016 della Commissione tributaria provinciale di Verona (hinc: “CTP”), che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla suddetta società importatrice Swinger International s.p.a. e dai coobbligati rappresentanti indiretti in dogana avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) – e i corrispondenti atti di contestazione di sanzioni- con i quali l’Ufficio delle dogane aveva rettificato il valore doganale di prodotti di abbigliamento- riproducenti loghi di noti marchi registrati – importati da Swinger International s.p.a., nel 2012, da fabbricanti extracomunitari, includendovi, ai sensi del Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 32, comma 1, lett. c), e del Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454, art. 157, paragrafo 2, i diritti di licenza che quest’ultima corrispondeva al licenziante titolare del marchio (“(OMISSIS)”);

– in punto di diritto, la CTR osservava che: 1) non sussistevano nella fattispecie i presupposti per configurare i diritti di licenza versati da Swinger International s.p.a., come condizione di vendita delle merci importate in quanto dall’analisi del contratto di licenza le clausole ivi previste – concernenti la fornitura dei modelli degli articoli da parte del licenziante e l’obbligo del licenziatario di rispettare le modalità e i termini dello sviluppo della collezione, la facoltà di controllo del licenziante sui criteri di produzione, la possibilità del licenziante, con motivato giudizio, di escludere produttori terzi che non offrano idonee garanzie di affidabilità, la fissazione da parte del licenziante dei prezzi di vendita praticabili dal licenziatario, la facoltà del licenziante di verificare la contabilità del licenziatario o di società del gruppo di quest’ultimo – regolavano esclusivamente il rapporto tra licenziante e licenziataria e non denotavano un controllo del licenziante sulla produzione;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, cui resistono con controricorso la società importatrice e i coobbligati rappresentanti indiretti in dogana;

– l’Agenzia ha depositato memoria ex art. 380bis 1 c.p.c., – con allegata documentazione – insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis. 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– va preliminarmente rigettata l’istanza di omissione delle generalità e degli altri dati identificativi avanzata dai controricorrenti, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 1, per i motivi di seguito indicati;

– l’art. 52 cit. definisce i casi nei quali è garantito il diritto all’anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati. Ai sensi del detto art., comma 1, – che disciplina l’ipotesi in cui l’anonimizzazione delle generalità e degli altri dati identificativi è affidata all’intervento del giudice – fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado (sicchè le pronunce, nel momento in cui sono redatte e depositate in cancelleria, devono contenere l’indicazione del nome delle parti, dei loro difensori e del giudice ex art. 133 c.p.c., e artt. 536 e 545 c.p.p.), “l’interessato” può chiedere per “motivi legittimi”, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell’ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento;

– la qualità di “interessato” legittimato a presentare la domanda di cui al cit. art. 52, comma 1, è definita direttamente dal medesimo D.Lgs., art. 4, comma 1, lett. i), disposizione che, se nella originaria formulazione includeva non solo la persona fisica, ma anche la persona giuridica, l’ente o l’associazione cui si riferivano i dati personali, coincidendo il concetto di “dato personale” di cui alla lett. b) del medesimo articolo con “qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”, a decorrere dal 6/12/2011, in forza della novella del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, ex art. 40, include solo la persona fisica, cui si riferiscono i dati personali, coincidendo il modificato concetto di “dato personale” di cui all’art. 4, lett. b), con “qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”. Questa diversa ampiezza del termine “dato personale” orienta anche la lettura dei concetti di “dati identificativi” di cui alla lett. c) dell’art. 4, quali “dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato” e di “dati sensibili” di cui alla lett. d) dell’art. 4, quali “dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonchè i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” (v. ora Reg. (UE) n. 679 del 2016, art. 9);

– la domanda di oscuramento dei dati personali presentata dall’interessato deve essere sostenuta dalla indicazione dei “motivi legittimi” che segnano all’evidenza il discrimine fra l’accoglimento ed il rigetto della relativa domanda. Il concetto utilizzato dal legislatore, per certo non felice, abbisogna di un’opportuna interpretazione. Va innanzi tutto escluso che l’espressione possa essere intesa nell’accezione di “motivi normativi”: in tal senso depone sia la clausola di riserva che figura nell’incipit del citato articolo di legge (“Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado…”), sia il ricorso ad elementari criteri esegetici, in ragione dell’evidente superfluità di una disposizione che si limiti a fare riferimento a quanto già previsto da altre norme. Dunque, per dare un significato compiuto all’espressione che ne occupa – che, ovviamente, non può neppure discendere da un’interpretazione a contrario, non potendosi ammettere l’esito positivo di una richiesta di oscuramento dati per motivi illegittimi – non resta che apprezzarla come sinonimo di “motivi opportuni”: donde la particolare ampiezza, opportunamente non predeterminata dal legislatore all’interno di schemi rigidi, delle ragioni che possono essere addotte a sostegno della richiesta che qui interessa, fermo restando che l’accoglimento della richiesta medesima interverrà ogniqualvolta l’autorità giudiziaria ravviserà un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di riservatezza del singolo e il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica. In tal senso, interessanti indicazioni conformi si traggono dalle linee guida dettate dal Garante della privacy il 2 dicembre 2010, “in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica”, pubblicate sulla G.U. 4 gennaio 2011, n. 2, in cui al punto 3, con specifico riferimento alla c.d. “procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali” di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, commi da 1 a 4, si indicano possibili “motivi legittimi”, in grado di fondare la relativa richiesta (ovvero di indurre l’A.G. a provvedere d’ufficio), nella “particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)”, ovvero nella “delicatezza della vicenda oggetto del giudizio”. (Cass. pen. 13 marzo 2017, n. 11959);

– nella specie, la richiesta dei controricorrenti di omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ad essi riconducibili è da rispingere, in quanto, ancorchè la si possa intendere riferita ai legali rappresentanti delle società controricorrenti (con ciò non rilevando, quindi, la mancata inclusione delle persone giuridiche nel concetto di “interessato” in base alla formulazione – con decorrenza dal 6/12/11 – dell’art. 4, comma 1, lett. i, e la restrizione di quello di “dato personale” di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), difettano i presupposti per la detta domanda, non essendo stati indicati i “motivi legittimi” a giustificazione della medesima. Infatti, premesso che la materia trattata nel presente giudizio (atto di contestazione di sanzioni a seguito di rettifica del valore doganale delle merci importate) non può ritenersi di per sè sensibile, e come tale, assoggettata al cogente regime di tutela della riservatezza delle parti in causa, nè tantomeno la vicenda oggetto di controversia può ritenersi caratterizzata in re ipsa da una particolare “delicatezza”, era fatto onere ai richiedenti di specificare l’esistenza e la natura dei motivi che avrebbero dovuto qui apportare deroga alla regola generale di cui alla stessa Disp., comma 7, secondo la quale: “Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali” (nello stesso senso v. Cass., sez. 5, 29 marzo 2019, n. 8829); al riguardo, i controricorrenti si sono limitati a richiedere l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi ad essi riconducibili “avendone motivo legittimo”, senza esternare il medesimo;

– con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in combinato disposto con il Reg. CE 2454 del 1993, art. 143, par. 1, lett. e), art. 157, comma 2, artt. 159 e 160, per avere la CTR erroneamente escluso, nella fattispecie, la sussistenza dei presupposti per configurare i diritti di licenza versati da Swinger International s.p.a. come “condizione di vendita” delle merci importate, ravvisando un mero controllo del licenziante sulla qualità della merce prodotta; con ciò, senza interpretare secondo i canoni ermeneutici civilistici le clausole dei contratti di licenza (concernenti ad es. il controllo preventivo e l’approvazione scritta di tutti i prodotti; il controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il diritto dei licenzianti di controllare le scritture contabili della licenziataria e dei fornitori degli articoli sottoposti a licenza, etc.) denotanti un controllo indiretto del licenziante sulla produzione e commercializzazione;

– assume carattere preliminare e assorbente l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività della notifica che è fondata. In merito costituisce, infatti, circostanza incontestata la spedizione del ricorso, mediante posta elettronica certificata (PEC), della L. n. 53 del 1994, ex artt. 3bis, e della L. n. 69 del 2009, art. 55, in data 27 febbraio 2018, ovvero il giorno successivo alla scadenza (26 febbraio 2018) del termine breve di sessanta giorni ex art. 325 c.p.c., comma 2, decorrente dalla notificazione, in data 28 dicembre 2017, della sentenza di secondo grado;

– al riguardo, non è dato a questa Corte potere tenere conto del D.M. Giustizia 13 marzo 2018, – allegato alla memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., depositata dalla ricorrente -in forza del quale i termini per gli atti di notificazione scadenti nei giorni 26-27 febbraio 2018 erano rimasti sospesi per effetto del verificarsi di un evento eccezionale quale quello della abbondante nevicata a (OMISSIS) e del conseguente irregolare funzionamento dell’Ufficio Nep presso la Corte di Appello di Roma;

– ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2, “il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti”;

– questa Corte, ha, al riguardo, affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui: “Nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, il decreto del Ministro della Giustizia, che, attestando il periodo di mancato funzionamento di un pubblico ufficio, disponga la proroga dei termini per la notificazione del ricorso, deve essere prodotto nel rispetto delle regole che valgono per i documenti il cui deposito è ammissibile in sede di legittimità, ed in particolare della Disp. di cui all’art. 372 c.p.c., il quale impone di notificare ai controinteressati l’elenco dei documenti prodotti, poichè esso ha natura di atto amministrativo meramente ricognitivo delle circostanze a cui la legge ricollega la proroga, come tale privo di valore normativo e perciò sottratto all’operatività del principio “iura novit curia” (Cass. Sez. 6 – 3, n. 26784 del 13/12/2011);

– nella specie, non avendo l’Agenzia provveduto alla notifica ai controricorrenti della memoria contenente l’allegazione del decreto ministeriale di proroga dei termini di notificazione, stante l’inutilizzabilità del detto documento per irritualità del relativo deposito, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per tardività della notifica dello stesso;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 12.000,00 a titolo compensi, oltre alle spese forfettarie al 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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