Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16806 del 07/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2020, (ud. 28/02/2019, dep. 07/08/2020), n.16806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25793-2013 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. PAULUCCI

DE’ CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato PIERO SANDULLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA TARQUINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2013 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA,

depositata il 22/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2019 dal Consigliere Dott. RENATO PERINU.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle Entrate notificava in data 11/9/2009, a C.A., un avviso di accertamento con il quale rideterminava in via sintetica il reddito del contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38;

il contribuente, in data 31/12/2009 presentava istanza in sede di autotutela che, l’Ufficio rigettava con provvedimento del 13/01/2010 sulla base della tardiva impugnazione dell’avviso di accertamento in questione;

il giudice di prime cure adito dal C., rigettava il gravame, ed il contribuente proponeva, quindi, appello avverso la sentenza di prime cure, mentre l’Agenzia delle Entrate interponeva appello incidentale, insistendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo, e per la conferma della pretesa tributaria;

la CTR dell’Abruzzo con sentenza n. 21/3/2013, depositata il 22/4/2013, accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio e rigettava quello principale proposto dal contribuente;

il giudice di secondo grado, per quanto qui rileva, fondava la pronuncia di rigetto con richiamo alla previsione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, che contempla un numero chiuso di atti impugnabili autonomamente, tra i quali non rientra il rigetto di autotutela adottato dall’Amministrazione, soprattutto se relativo, come nel caso di specie, all’ipotesi di istanza del contribuente relativa a richiesta di riforma dell’atto (avviso di accertamento) divenuto definitivo per omessa impugnazione entro i termini di legge;

avverso tale pronuncia ricorre per cassazione C.A. affidandosi a quattro motivi;

l’Agenzia delle Entrate, ritualmente intimata, resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con i primi due motivi viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, per avere la CTR errato nel ritenere non impugnabile l’atto amministrativo di diniego di autotutela, in quanto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non conterrebbe un numero chiuso di atti, essendo, invece, possibile una interpretazione estensiva delle singole voci e, in particolare della lett. i, del comma 1 di tale disposizione;

2. con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, per non avere, il giudice di secondo grado tenuto in debita considerazione le regole di ragionevolezza e di buona fede ai quali devono ispirarsi i provvedimenti adottati dall’Amministrazione in sede di autotutela;

3. con il quarto motivo viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39;

4. vanno esaminati congiuntamente i primi tre motivi di ricorso in quanto oggettivamente connessi;

5. la questione posta dai primi tre mezzi di gravame, consiste nello stabilire i presupposti e l’ambito di applicabilità dell’istituto dell’autotutela amministrativa nella materia tributaria;

6. sull’argomento che occupa la giurisprudenza di questa Corte (“ex plurimis” Cass. n. 7616/18) si è consolidata nel ritenere che il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare “soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria”, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”;

7. il Collegio ritiene di dover dare continuità a tale orientamento, specificando, ulteriormente, che l’interesse generale idoneo a supportare l’adozione del provvedimento di secondo grado sollecitato dal contribuente non consiste nella valutazione di legittimità dell’atto impositivo e dei presupposti che lo giustificano, bensì nella violazione dei principi di interesse generale strettamente correlati all’esercizio concreto dell’attività impositiva, tenuto conto, anche, della natura di quest’ultima che si colloca, normalmente, nell’ambito dell’attività amministrativa vincolata;

8. nel caso in disamina, inoltre, posto che l’istanza di autotutela è stata rivolta nei confronti di un atto di accertamento divenuto definitivo, si deve fare applicazione del principio secondo cui l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perchè, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Sez. U. n. 3698 del 16/02/2009) in quanto non assoggettato a gravame; ed in considerazione di ciò, la sussistenza dei presupposti di interesse generale necessitava di una deduzione specifica e concreta da parte del contribuente, in riferimento al principio generale della certezza dell’attività di riscossione, che è direttamente correlato alla tutela di fondamentali valori di rilevanza costituzionale; mentre, come si evince dal ricorso in disamina, il contribuente si è limitato, esclusivamente a proporre una diversa connotazione dell’istituto dell’autotutela, citando genericamente i principi generali che la sottendono;

9. alla stregua delle considerazioni che precedono, vanno, pertanto rigettati i tre motivi di ricorso divisati, con assorbimento del quarto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza;

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 6000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2020

 

 

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