Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16805 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 29/07/2011), n.16805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILLA 91,

presso lo studio dell’avvocato MARTINELLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato DI PONZIO VINCENZO, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA CARIME S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII N.

466/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIORDANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FUSARO MAURO NICOLA VINCENZO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 135/2008 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

TARANTO, depositata il 28/07/2008 r.g.n. 136/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato FUSARO MAURO NICOLA VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità in via

principale, in subordine il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Taranto, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di R.M. avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli, in data 21 marzo 2005, dalla società Banca Carime, in ragione della scorretta ed abusiva estinzione di 290 libretti di deposito a risparmio compiuta al di fuori delle regole disciplinanti la materia e del ritrovamento, senza titolo giustificativo, nella sua scrivania della somma di Euro 810,00, somma in realtà ricavata dalla estinzione di libretti di vecchia data per l’irreperibilità dei loro destinatari.

La predetta Corte, innanzitutto, riteneva la legittimità, ex art. 36 del CCNL del settore, dell’allontanamento temporaneo del R. dal servizio per il tempo strettamente necessario all’espletamento degli accertamenti antecedenti il definitivo provvedimento disciplinare. Tanto perchè la richiamata norma contrattuale non prevedeva, nel caso de quo, l’obbligo per il datore di lavoro di fissare preventivamente la durata dell’allontanamento dal servizio.

La Corte del merito, poi, premesso che il R. non contestava la materialità degli addebiti e, rimarcato che correttamente il giudice di primo grado aveva revocato l’ordinanza ammissiva della prova orale, considerava proporzionata la sanzione del licenziamento comminata tenendo conto della portata oggettiva e soggettiva dei fatti addebitati essendo gli stessi gravemente lesivi dei doveri di un dipendente bancario, intenzionalmente posti in essere e di grave danno all’immagine della banca.

Avverso questa sentenza il R. ricorre in cassazione sulla base di sei censure.

Resiste con controricorso la Banca intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 36 CCNL, formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto:”posto che la norma del CCNL prevede che la sospensione dal servizio venga comminata per un periodo non superiore di dieci giorni (comma 1) e comunque per il tempo strettamente necessario (comma 2) sancisca la S.C. se la sospensione dal servizio per la durata di quaranta giorni integri o meno violazione o errata applicazione della norma del CCNL”.

Il motivo, il quale si riferisce direttamente ad una determinata interpretazione di norma contrattuale che si assume corretta, contrastante con l’interpretazione, ritenuta errata, data dal giudice di merito è inammissibile a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5.

Invero questa Corte ha ritenuto ( Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. Cass. 23 settembre 2009 n. 20535 e Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161) che il requisito previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, il quale sancisce che il ricorso deve contenere a pena d’inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, per essere assolto, “postula che sia specificato in quale sede processuale il documento è stato prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, allegare dove nel processo è rintracciabile”. La causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366 c.p.c., n. 6, ha chiarito inoltre questa Corte, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, in quanto quest’ultimo sia un atto prodotto in giudizio, richiede che si individui dove è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, prevedente un ulteriore requisito di procedibilità del ricorso, che esso sia prodotto in sede di legittimità.

Applicando tali principi, che il Collegio in questa sede intende ribadire in coerenza con i compiti di nomofilachia devoluti a questa Corte, al caso di specie emerge che non risulta specificata in quale sede processuale è rinvenibile il contratto collettivo nazionale sul quale il motivo si fonda.

Nè lo stesso, in violazione della prescrizione di cui al citato art. 369 c.p.c, comma 2, n. 4, risulta depositato con il ricorso.

Con la seconda censura il ricorrente, allegando errata valutazione e carenza di motivazione, indica quale fatto controverso: “la considerazione che il R. ha agito coscientemente e con volontà; tuttavia la condotta del medesimo non è mai stata diretta ad alcuna illiceità di guisa che non sussiste alcun dolo da parte dell’autore”.

La censura per come articolata non è esaminabile in questa sede di legittimità.

E’ assorbente al riguardo il rilievo che la chiara indicazione del fatto controverso richiesta dall’art. 366 bis c.p.c. cit. nel caso, come quello di specie, di denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non si esaurisce nella mera indicazione del fatto, ma esige, altresì, che il ricorrente specifichi, in una sintesi riassuntiva simile al quesito di diritto, le ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorietà, non coerente la motivazione (cfr.

Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063).

Orbene, nella specie, il R. si limita ad asserire una sua personale ricostruzione del fatto ed omette del tutto di specificare le ragioni che renderebbero inidonea o non coerente la motivazione sul punto della sentenza impugnata.

La critica, quindi, per come formulata è inammissibile.

Con il terzo motivo il R. allega violazione di legge “in relazione alla errata valutazione connessa alla ritenuta confessione”.

Il motivo è inammissibile in quanto non solo difetta il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. cit., ma anche perchè manca la indicazione delle norme asseritamente violate (Cass. 16 gennaio 2007 n. 828).

Con la quarta censura il ricorrente deduce violazione dell’art. 177 c.p.c..

Anche in questo caso la censura, che comporta la soluzione di una questione di diritto, è inammissibile non essendo stato formulato il quesito di cui all’art. 366 bis c.p.c. cit..

Con la quinta e la sesta critica il ricorrente deduce vizio di motivazione.

Tuttavia mancando la chiara indicazione del fatto controverso, nel senso sopra esposto, le censure vanno ritenute inammissibili.

Infatti, analogamente a quanto osservato relativamente all’esame del secondo motivo del ricorso, difetta, nella indicazione del fatto controverso, la specificazione delle ragioni che renderebbero la motivazione insufficiente, incoerente ovvero omessa.

Nè, e vale la pena di sottolinearlo, siffatte ragioni, come nel richiamato secondo motivo del ricorso, sono rinvenibili nella parte argomentativa delle rispettive censure, sicchè le stesse si sostanziano nella mera prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata dal giudice del merito che non è ammissibile in questa sede di legittimità.

Invero la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (per tutte V. Cass. 20 aprile 2006 n. 9233 e Cass. 30 marzo 2007 n. 7972).

Il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 42,00 per spese, oltre Euro tremila/00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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