Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16805 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/07/2017, (ud. 25/05/2017, dep.07/07/2017),  n. 16805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28262-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.C.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 505/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 12/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO AMATORE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la parte ricorrente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 505/40/2009 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio – Sez. dist. Latina, depositata il 12 ottobre 2009, affidando la sua impugnativa a quattro ragioni di doglianza;

che l’Agenzia delle entrate provvedeva ad eseguire nei confronti di T.C., socio della società B.M.R. & co. Snc e a quest’ultima un accertamento in relazione all’annualità 1999 con il conseguente rilievo del maggiore imponibile Irap a carico della società ed imponibile Irpef in capo ai soci proporzionalmente alle loro quote, oltre ad una evasione Iva pari ad Euro 38.982,17;

che il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Frosinone che gli accordava ragione, ritenendo gli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza non costituissero prova certa del maggiore imponibile; del pari, anche la Commissione tributaria Regionale di Roma accordava ragione al contribuente, respingendo l’appello con la sentenza sopra indicata;

che avverso quest’ultima sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidando la sua impugnativa a quattro ragioni di censura:

con il primo motivo si deduceva la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 102 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, e del principio del litisconsorzio necessario; si assumeva violato il predetto principio perchè i due accertamenti relativi alla società di persone e al socio erano stati proposti separatamente e neanche riuniti tra loro; si affermava che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, sussiste un litisconsorzio necessario tra le società di persone ed i singoli soci per gli accertamenti riguardanti i redditi prodotti dalla società e le relative quote di partecipazione agli utili; ne discende – secondo gli assunti difensivi della ricorrente – la nullità delle due sentenze di merito, stante la mancata disposta integrazione del contraddittorio nel presente giudizio nei confronti della società e degli altri soci;

con il secondo motivo si deduceva comunque violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: si assumeva che, ricorrendo un nesso di pregiudizialità necessaria tra il contenzioso riguardante l’accertamento della pretesa tributaria della società e quello relativo al socio, quest’ultimo doveva essere sospeso in attesa della decisione sul primo contenzioso indicato;

con il terzo motivo si deduceva la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41 bis, dell’art. 5 del TUIR n. 917/1986 e dell’art. 2697 c.c.: si osservava che, trattandosi nel caso di specie di un accertamento induttivo contabile ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, il giudice impugnato aveva errato nell’applicazione del regime della ripartizione dell’onere della prova tra le parti, giacchè era il contribuente a dover dimostrare la sussistenza dei fatti impediti ed estintivi della pretesa tributaria di cui l’Ufficio erariale aveva fornito la prova;

con il quarto motivo si censurava la motivazione impugnata per vizio argomentativo, in quanto fondante la ratio decidendi su affermazioni apodittiche e prive di riscontro, mentre l’amministrazione finanziaria aveva fornito elementi di valutazione in appello per fondare ragionevolmente la pretesa tributaria non accolta;

che la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 25.5.2017.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che sebbene sia principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui “In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio” (Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008, Rv. 603330 – 01); tuttavia, il principio qui ricordato non è applicabile al caso di specie atteso che l’altro procedimento che avrebbe dovuto essere riunito all’odierno giudizio in riferimento al dedotto litisconsorzio necessario è stato ormai definito con sentenza passata in giudicato e dunque il relativo decisum è ormai intangibile;

che pertanto anche il secondo motivo risulta infondato, in ragione di quanto affermato nel precedente capoverso;

che, all’evidenza, anche il terzo e quarto motivo di doglianza sollevati dalla difesa erariale sono infondati, atteso che, per un verso, i giudici di merito hanno accertato, con motivazione logica e scevra da contraddizioni, che gli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza non costituivano prova certa del maggiore imponibile richiesta dall’Ufficio e che, per altro, non è comunque rintracciabile alcun vulnus al regime della ripartizione dell’onere della prova tra le parti in relazione alla dimostrazione della sussistenza dei fatti impediti ed estintivi della pretesa tributaria, e ciò in ragione del fatto che l’Ufficio erariale non aveva fornito la prova del suo preteso credito tributario;

che nessuna statuizione è dovuta per le spese di giudizio stante la mancata costituzione in giudizio della parte resistente vittoriosa.

PQM

 

Rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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