Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16804 del 05/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16804 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 13046-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende,
ope legis;
– ricorrente contro

2013
5452

DAVELI SRL;
– intimata –

avverso la sentenza n. 103/40/2010 della Commissione
Tributaria Regionale di ROMA – Sezione Staccata di
LATINA del 17.3.2010, depositata il 31/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

Data pubblicazione: 05/07/2013

consiglio del 12/06/2013 dal Consigliere Relatore
Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Giancarlo Caselli
che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del

l’inammissibilità del ricorso.

Dott. RAFFAELE CENICCOLA che ha concluso per

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva
La CTR di Roma ha accolto l’appello di “Daveli srl” -appello proposto contro la
sentenza n.178/04/2008 della CTP di Frosinone che aveva solo parzialmente accolto
il ricorso della contribuente- ed ha così integralmente annullato l’avviso di
accertamento relativo ad IVA-IRAP per l’anno 2004 a mezzo del quale erano stati
recuperati a tassazione maggiori redditi ritenuti maturati a mezzo di omessa
dichiarazione di ricavi e di detrazione di costi non inerenti.
La predetta CTR ha motivato la decisione aderendo agli argomenti valorizzati dalla
Commissione di prime cure, la quale aveva evidenziato che l’Ufficio aveva
erroneamente confrontato i prezzi di acquisto delle merci rilevati dalle fatture 2004
con i prezzi di vendita della stessa merce alla data dell’accesso e cioè il 16.4.2007,
così di fatto falsando il computo della percentuale di ricarico. D’altronde anche
l’applicazione degli studi di settore era avvenuta in maniera fuorviante, giacchè il
ricarico ipotizzato dall’Ufficio del 28,47% risultava inapplicabile alla realtà socialeeconomica locale nella quale, a causa della presenza della grande distribuzione, si
sarebbe dovuto correttamente applicare un ricarico del 15,35%. La Commissione di
primo grado aveva però errato a procedere alla sola riduzione dei ricavi accertati (pur
senza disporre di qualsivoglia elemento utile di quantificazione), sicché appariva
necessario provvedere all’integrale annullamento del provvedimento.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La parte contribuente non si è costituita.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore – può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.

g,

3

letti gli atti depositati

Infatti, con i primi due motivi di impugnazione (il primo improntato alla violazione
degli art.39 e 40 del DPR n.600/1973 nonché dell’art.62-sexies del D.L. n.331/1993;
il secondo improntato al vizio di motivazione contraddittoria della sentenza di
appello) la ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia fondato il proprio
convincimento su una questione non pertinente al thema decidendum, supponendo

nel mentre si era trattato di un accertamento di genere analitico induttivo, con
applicazione di un “ricarico medio ponderato” superiore a quello desunto dai dati
contabili della società accertata. Da qui anche l’intima contradditorietà della
motivazione del provvedimento giudiziale.
Entrambi i motivi appaiono da rigettarsi.
Invero, si desume dalla pur confusa e non perspicua motivazione della sentenza qui
impugnata che il giudicante (nel richiamare gli argomenti valorizzati dalla sentenza di
primo grado e condivisi dal giudice di appello) ha ritenuto che l’ufficio abbia
utilizzato gli studi di settore ai soli fini della determinazione della percentuale di
ricarico da applicarsi in vece di quella indicata dalla parte contribuente, ciò che è
tutt’altro rispetto al giudizio di coerenza statistica su cui si fonda l’accertamento
supportato dagli studi di settore.
Entrambi i motivi di impugnazione devono perciò essere ritenuti privi di specifica
attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, ciò che comporta l’inammissibilità
dei menzionati profili di ricorso, per mancanza di motivi che possono rientrare nel
paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. (in termini
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17125 del 03/08/2007).
Con il terzo motivo di ricorso (centrato sul vizio di insufficiente motivazione) la parte
ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia omesso di specificare la fonte da
cui aveva tratto l’esistenza di un divario tra i prezzi praticati sul mercato tra il 2004
ed il 2007; d’altronde la contribuente aveva allegato l’esistenza di uno squilibrio tra i
costi delle merci nel raffronto tra il 2004 ed il 2007, senza fare alcun riferimento ai
prezzi di vendita, sicchè dette allegazioni non potevano costituire elementi utili a

4

che l’Ufficio avesse fatto applicazione degli studi di settore ai fini dell’accertamento,

supportare la decisione; i giudici di appello non avevano neppure chiarito in che cosa
consistesse la carenza di “elementi certi” da porre a base dell’accertamento, così
finendo per omettere la debita considerazione degli elementi presuntivi sui quali
poteva essere legittimamente basato l’accertamento.
Anche il motivo ora in rassegna appare formulato con modalità inammissibili.

formulare generiche critiche nei confronti delle modalità argomentative dal
giudicante adottate ma non identifica quel necessario “fatto decisivo” solo con
riferimento al quale il vizio denunciato potrebbe essere prospettato: lo stesso aspetto
del divario tra i prezzi di vendita (o i costi di acquisto) delle merci verificate
costituisce un argomento di mera critica nei confronti della decisione, mentre sarebbe
spettato alla parte ricorrente allegare le specifiche modalità con le quali
l’Amministrazione ha ritenuto di avere correttamente identificato il “ricarico medi
ponderato” da applicare ai ricavi oggetto di accertamento, così dimostrando con
l’obiettività dei fatti che le basi numeriche e logiche del computo effettuato non
consentivano al giudicante di ravvisare vizi di sorta.
Nulla avendo allegato in proposito la parte ricorrente, non resta che ritenere che il
motivo sia inammissibile proposto.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 30 dicembre 2012.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, il cui contenuto non
induce la Corte a rimeditare gli argomenti su cui è fondata la proposta del relatore;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa

5

Censurando la motivazione per insufficiente esame, la parte ricorrente si limita a

non si è costituita.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma il 12 giugno 2013.

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