Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16802 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 09/08/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 09/08/2016), n.16802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5511-2012 proposto da:

M.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO 7, presso lo studio dell’avvocato RODOLFO CORONATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO DI LAURO;

– ricorrente –

B.M., MO.SA. COSTITUITA CON C/RIC INC IL 19.4.2012

(OMISSIS), MO.MI. COSTITUITA CON C/RIC INC IL 19.4.2012

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI ANTONELLI

50, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO NACHIRA, rappresentati e

difesi dagli avvocati EDOARDO ZUCCA, ALESSANDRO FONTANA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

EREDI MO.DA. IMPERSONALMENTE E COLLETTIVAMENTE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2102/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato Federica STOPPANI, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Gennaro DI LAURO, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato NACHIRA Alberto, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato FONTANA Alessandro, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso (l’Avvocato NACHIRA Alberto si era

costituito con delega a margine non valida);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2 febbraio 2007 il Tribunale di Monza annullava per vizio del consenso il verbale di conciliazione con cui M.G. e i coniugi Mo.Da. e B.M., proprietari di due appartamenti posti rispettivamente al primo piano e al piano terra di una villetta bifamiliare ubicata in (OMISSIS), definivano in data 21 marzo 2002 la causa promossa dal primo nei confronti dei secondi per addivenire alla divisione delle parti comuni dell’immobile, costituite da giardino, cantina, piano seminterrato e sottotetto.

Proponevano appello Mo. e B.: lamentavano che il primo giudice avesse ritenuto che l’accertata impossibilità di recuperare a fini abitativi il sottotetto assegnato in sede di divisione all’appellato integrasse un errore essenziale su una qualità dell’oggetto del contratto, inidoneo, come tale, a giustificare l’annullamento di quest’ultimo a norma dell’art. 1429 c.c., n. 2; si dolevano, altresì, del fatto che la sentenza impugnata avesse omesso di considerare che in presenza di una divisione l’eventuale errore sulla qualità dell’oggetto avrebbe al più legittimato un’azione di rescissione ex art. 764.

Con sentenza depositata il 12 luglio 2011 la Corte di appello di Milano, in accoglimento dell’impugnazione proposta, dichiarava inammissibile la domanda di annullamento per errore. Osservava il giudice distrettuale che col verbale di conciliazione impugnato le parti avevano dato vita a una divisione transattiva, posto che con detto strumento non solo era stata posta fine alle controversie in atto, ma si era addivenuto alla divisione delle parti comuni, procedendosi all’attribuzione dei beni nel rispetto delle rispettive quote di pertinenza. Ne ricavava che il negozio potesse essere impugnato solo col rimedio speciale della rescissione per lesione di cui all’art. 763 c.c., qualora l’errore di valutazione sui beni da dividere, sulla loro essenza o sul loro valore, avesse inciso nella misura prevista da quest’ultima norma.

Contro questa pronuncia ricorre per cassazione M.G. che ha fatto valere un solo motivo di impugnazione. Resistono con controricorso B.M., in proprio e nella qualità di erede di Mo.Da., nonchè Mo.Mi. e Sa., pure eredi del predetto. Le controricorrenti hanno proposto un ricorso incidentale basato su di un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 763, 764, 1429 e 1969 c.c.. Sostiene che benchè la causa avesse ad oggetto lo scioglimento di una comunione, essa era stata definita con un verbale di conciliazione, il quale poteva essere impugnato per errore; infatti, il giudice di prime cure aveva ritenuto la transazione contenuta nel predetto verbale di conciliazione annullabile per tale vizio del consenso, avendo riguardo a una qualità dell’oggetto del contratto, e cioè alla “recuperabilità o meno del sottotetto”: evenienza, quest’ultima, che costituiva 11 motivo determinante dell’accordo. Infatti, come rilevato dal Tribunale, le parti avevano attribuito al sottotetto, oggetto del contratto, una qualità ben precisa, vale a dire l’idoneità dello stesso ad essere sfruttato ai fini abitativi. L’istante richiama gli svolgimenti argomentativi contenuti nella sentenza di primo grado ribadendo il rilievo che doveva assumere l’errore ai fini dell’annullamento del contratto transattivo.

Il motivo va disatteso.

Costituisce insegnamento risalente (cfr. Cass. 23 gennaio 1971, n. 150; in senso conforme Cass. 11 febbraio 1995, n. 1529) quello per cui la divisione possa essere impugnata solo attraverso l’azione di annullamento, per dolo o violenza, ovvero attraverso l’azione di rescissione per lesione (però non ammessa, ex art. 764 c.p.c., comma 2, quando vi e stata transazione sulle questioni insorte). Sicchè, per il vigente sistema, è inammissibile una azione di annullamento per errore, quando questo cada sulla determinazione delle quote, sull’oggetto della divisione, sui beni da dividere, sulla loro essenza e sul loro valore.

A questo speciale regime soggiace anche la c.d. divisione transattiva, che deve essere tenuta distinta dalla c.d. transazione divisoria.

Pur nell’esistenza di un originario contrasto fra le parti, comune alle due ipotesi, sussiste una divisione transattiva ove si riscontri la preminente contemporanea esistenza degli elementi dell’attribuzione di valori proporzionali alle quote e dello scioglimento della comunione, mentre ricorre la transazione divisoria quando con l’atto che pone fine alla comunione i condividenti, allo scopo di evitare una lite che potrebbe insorgere o di comporne una già insorta, si accordano sull’attribuzione di beni senza procedere al calcolo delle porzioni corrispondenti alle quote di partecipazione alla comunione. Il discrimine fra le due figure negoziali non è, dunque, la composizione di una controversia insorta in sede divisionale, ma, essenzialmente, l’obliterazione o meno delle ragioni proporzionali di partecipazione alla comunione che comunque si intende, anche parzialmente, sciogliere (Cass. 2 febbraio 1994, n. 1029; in senso conforme: Cass. 7 maggio 1997, n. 3969; Cass. 6 agosto 1997, n. 7219; Cass. 29 settembre 2009, n. 20256; Cass. 3 agosto 2012, n. 13942).

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi. Ha infatti sottolineato che l’accordo consacrato nel verbale di conciliazione aveva natura di divisione transattiva, in quanto aveva disposto in ordine all’attribuzione dei beni nel rispetto delle quote di ciascuno dei condividenti; la stessa Corte ha rilevato, in particolare, che il verbale di conciliazione aveva dato atto che ciascuna parte era titolare di 500/1000 dei beni comuni e che l’assegnazione delle porzioni, specificamente individuate in due parti del giardino, in due sezioni del vano scantinato e del sottotetto, concerneva compendi immobiliari di pari valore, tanto che non era previsto alcun conguaglio in denaro. Di qui l’affermazione secondo cui il verbale di conciliazione conteneva una vera e propria divisione transattiva, come tale insuscettibile di annullamento, ma solo di rescissione per lesione a norma del cit. art. 763 c.c..

Rispetto a tale impianto argomentativo non vale opporre quanto ritenuto dal Tribunale, il quale aveva erroneamente ammesso l’esperibilità, nella fattispecie, dell’ordinaria azione di annullamento ex artt. 1427 ss.

Il ricorso principale è dunque infondato.

Col ricorso incidentale è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè l’erronea ed illogica motivazione. La controricorrente censura la statuizione di compensazione delle spese di giudizio, la quale è stata motivata avendo riguardo al fatto che la questione posta a fondamento della decisione era stata sollevata solo in fase di gravame. Rileva, in particolare, che l’eccezione vertente sulla inammissibilità dell’azione di annullamento non era stata proposta avanti al Tribunale in quanto quella di rescissione non era ancora prescritta; osserva, altresì, che il giudice dell’impugnazione non avrebbe potuto considerare vittoriosa la controparte in una fase del giudizio in cui la questione della inammissibilità dell’azione non era stata sollevata.

Il motivo non può essere accolto.

In tema di spese processuali, la valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa), o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (ex plurimis: Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 14 aprile 2000, n. 4818; Cass. 2 febbraio 2001, n. 1485; cfr. pure Cass. 4 luglio 2011, n. 14542). In particolare, poichè il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esula dai limiti commessi all’accertamento di legittimità e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. 19 giugno 2013, n. 15317).

Nè l’impugnata decisione può ritenersi carente in punto di motivazione. Infatti, la motivazione del giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi ai sensi dell’art. 92 c.p.c. può essere censurata in sede di legittimità solo se sia accompagnata dall’indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza od la evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (ad es.: Cass. 2 luglio 2007, n. 14964; Cass. 20 ottobre 2006, n. 22541). Non è il caso della motivazione spesa dal giudice del gravame – incentrata sulla condotta processuale della controricorrente – che è dotata di una sua congruità e non è, pertanto, sindacabile avanti al giudice di legittimità.

I due ricorsi, principale e incidentale, sono quindi da rigettare.

Tenuto conto della soccombenza reciproca dei contendenti e del rilievo che assume ciascuna delle impugnazioni con riferimento alla vicenda processuale portata all’esame della Corte, le spese di lite vengono compensate per metà, riversandosi il residuo sui ricorrenti.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa per metà le spese di giudizio e, liquidate le stesse in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, condanna parte ricorrente al pagamento della metà del detto importo nei confronti della controparte.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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