Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16798 del 05/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16798 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 13777-2011 proposto da:
MERLI ANTONELLA MRLNNL56D61C933S, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA MARIO FANI 106, presso lo studio
dell’avvocato ROSSI MASSIMILIANO, rappresentata e difesa
dall’avvocato ADELASCO TIZIANO giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 7, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 05/07/2013

avverso la sentenza n. 153/49/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 12/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;

Adelasco) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che
nulla osserva.

Ric. 2011 n. 13777 sez. MT – ud. 23-05-2013
-2-

udito l’Avvocato Rossi Massimiliano (delega avvocato Tiziano

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva
La CTR di Milano ha respinto l’appello di Merli Antonella -appello proposto contro
la sentenza n.187/07/2008 della CTP di Como che aveva respinto il ricorso della
medesima contribuente- ed ha perciò confermato l’avviso di accertamento per il
periodo di imposta 2002 relativo ad IRPEF-IRAP-IVA, con il quale il quale erano
state rettificati i ricavi del periodo sulla scorta dell’applicazione degli studi di settore.
La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che -sulla premessa che la
specifica metodologia di accertamento adoperata si fonda su un sistema di
presunzioni semplici la cui gravità precisione e concordanza nasce
procedimentalmente in esito al contraddittorio- il contribuente non aveva fornito
elementi di prova utili a far ritenere non applicabile lo studio di settore ed in
particolare non aveva dimostrato la fondatezza dell’assunto circa la cessazione
dell’attività al termine dell’anno 2002, assunto smentito dalle prove documentali
prodotte dall’Agenzia.
La contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia si è costituita con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di ricorso (informato alla violazione degli art.7 della
legge n.212/2000; 42 del DPR n.600/1973; 62-bis e 62-sexies del D.L. n.331/1993) la
parte ricorrente si duole che la CTR non abbia considerato la violazione del dovere
dell’Agenzia di indicare nell’avviso di accertamento gli elementi presuntivi (le gravi

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letti gli atti depositati

incongruenze) su cui il provvedimento medesimo avrebbe dovuto fondarsi,
erroneamente supponendo che detto accertamento contenesse elementi gravi precisi e
concordanti nel semplice scostamento statistico, atteso che anche in ipotesi di
accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore occorre avere riguardo alla
capacità contributiva effettiva del soggetto verificato, con esclusione di ogni
meccanismo automatico di determinazione del reddito imponibile.

modalità di conformazione del motivo è tale da far risultare violato il canone della
necessaria autosufficienza del ricorso sancito nell’art.366 cpc.
Ed invero, è principio costantemente recepito nella giurisprudenza di questa Corte
che, allorquando qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione
tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla
motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì
amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle
ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di
legittimità dell’atto stesso- è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso
riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi della motivazione
di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di
merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in
proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (v. Cass. n. 15867 del 2004).
Non resta che concludere che il motivo è a questo riguardo deficitario.
Con il secondo motivo di ricorso (centrato sulla violazione dell’art.2697 cod civ oltre
che su vizio di motivazione) la parte ricorrente si duole del fatto che —a fronte delle
censure mosse dalla parte contribuente- il giudicante abbia ritenuto di invertire
l’onere della prova, pretendendo dal contribuente la dimostrazione contraria agli
assunti dell’Amministrazione prima che quest’ultima avesse comprovato il
fondamento della propria pretesa.
Il motivo appare manifestamente infondato.

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Il motivo ora in rassegna appare inammissibile e se ne propone il rigetto, atteso che la

A questo proposito non è possibile prescindere dall’indirizzo interpretativo adottato
ripetutamente da questa Corte (per tutte Cass Sez. U, Sentenza n. 26635 del
18/12/2009 secondo cui:”La procedura di accertamento tributario standardizzato
mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di
presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege”

considerati -meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale
redditività- ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente,
pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha
l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di
condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono
essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo
di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi
nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione
dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali
sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del
contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il
giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso
concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal
contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del
procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a
presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede
amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di
questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola
base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il
contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può
valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.
Alla luce del predetto indirizzo, ed alla luce del fatto che è pacifico in causa che la
parte contribuente ha disertato il contraddittorio al quale era stata debitamente

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determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé

invitata da parte dell’Ufficio, il giudice del merito ha dato conto del fatto che l’iter
procedimentale predisposto dall’Ufficio corrisponde alla fattispecie normativa ed ha
poi inquadrato il difetto di collaborazione della parte contribuente nel quadro
probatorio rilevante ai fini del processo, pervenendo alla corretta conclusione che
l’accertamento, sulla scorta delle semplici ragioni giustificative dell’attività

D’altronde, il giudicante ha anche valutato funditus le ragioni allegate dal
contribuente per giustificare l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui
possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica
nel periodo di tempo in esame, senza limitarsi a considerare esclusivamente il
mancato adeguamento agli standard di settore. Su questi argomenti la parte
contribuente (sotto l’effige del vizio di motivazione) chiede sostanzialmente alla
Corte di sostituire a quella del giudice del merito la propria potestà di valutazione,
con estensione dei poteri processuali che a questa Corte non è dato di compiere.
Con il terzo motivo (incentrato sull’assunto di nullità della sentenza per omessa
pronuncia sulle specifiche domande proposte in giudizio) la parte ricorrente si duole
che il giudicante non abbia riscontrato i motivi di censura proposti in appello
relativamente al “ricorso di altri elementi di riscontro ricavabili da altri dati e
documenti inerenti l’attività d’impresa”; “mancata pronuncia sull’eccezione
sollevata, in prima istanza, riguardante la cessazione dell’attività nell’anno successivo
a quello a cui si riferisce l’accertamento”.
Su entrambe le censure la parte ricorrente non fornisce alcun elemento provvisto di
analiticità autosufficiente circa le modalità con cui le censure sarebbero state proposte
nel grado di appello, così come non dettaglia le fonti di conoscenza poste a sostegno
delle questioni prospettate che —peraltro ed a prima vista- appaiono già comprese nel
thema decidendum proposto con il motivo che precede.
Non resta che concludere che anche il motivo ora in esame è da considerarsi
inammissibile.

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compiuta, doveva ritenersi adeguatamente motivato.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità e manifesta infondatezza.
Roma, 10 ottobre 2012

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati

che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa il cui contenuto non
induce la Corte a rimeditare le ragioni su cui si fonda la proposta del relatore;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in € 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 23 maggio 2013.

delle parti;

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