Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16795 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 15/06/2021), n.16795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 21764 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Unisport s.p.a., in persona del curatore, rappresentata e difesa, per

procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Giancarlo

Zoppini, Giuseppe Russo Corvace e Giuseppe Pizzonia, elettivamente

domiciliata in Roma, via della Scrofa, n. 57, presso lo studio del

primo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 32/11/13, depositata in data 19

febbraio 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 18 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata e dagli atti difensivi delle parti si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Unisport s.p.a. un avviso di accertamento, contenente anche l’irrogazione delle sanzioni, con il quale aveva contestato alla società che, nell’ambito del rapporto di concessione per la costruzione di un complesso funzionale in favore dell’Università di Pavia (tramite la stazione appaltante S.I.I.T.) e di successiva gestione per la durata di trenta anni, aveva emesso fatture senza applicazione dell’Iva a fronte del ricevimento delle quote di contributo ad essa corrisposte secondo le previsioni contrattuali; avverso l’avviso di accertamento la società aveva proposto ricorso, evidenziando che le quote di contributo ricevuto costituivano mera elargizione di denaro, effettuata dal concedente a fondo perduto, e non il prezzo di unq controprestazione all’interno di un rapporto obbligatorio; la Commissione tributaria provinciale di Pavia aveva rigettato il ricorso; avverso la sentenza del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: gli importi che l’Università di Pavia aveva corrisposto alla società, con versamenti quasi rateali, non costituivano contributi o mere sovvenzioni, ma un corrispettivo per l’acquisto del complesso e della struttura che la società si era obbligata a realizzare, unitamente alle opere di urbanizzazione, e successivamente a cedere alla scadenza della durata della concessione; il rapporto di concessione, in particolare, aveva dato luogo a reciproche prestazioni;

la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per essere stato confezionato con la tecnica del c.d. “assemblaggio”, in quanto, invero, nel ricorso sono state chiaramente specificate le ragioni della pretesa dell’amministrazione finanziaria nonchè del ricorso prospettate dalla società, gli esiti dei giudizi di merito e le rispettive posizioni delle parti, consentendo a questa Corte di apprezzare il contenuto delle diverse censure, non limitando, quindi, il ricorso alla sola riproduzione del contenuto del proprio atto di appello e del contratto di concessione, come invece dedotto dalla controricorrente;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 1362 e 1363, c.c.;

in particolare, secondo parte ricorrente, il giudice del gravame ha errato nel ritenere che il contributo erogato dalla concedente ha natura di controprestazione per le prestazioni di servizi effettuata dalla società in forza del contratto di concessione, in quanto basata su di una errata interpretazione delle clausole contrattuali e quindi del regime impositivo Iva;

deduce, più specificatamente, parte ricorrente che, secondo le previsioni contrattuali, la corresponsione delle somme non traeva fondamento giustificativo su di uno specifico rapporto ad effetti obbligatori, essendo state le stese elargite non a titolo di compenso per il servizio effettuato, ma a fondo perduto, costituendo, pertanto, una semplice messa a disposizione di fondi in favore della concessionaria, come era ricavabile dal complessivo assetto di interessi che si era formato in forza del contratto di concessione e, in particolare, dalla circostanza che gli importi erano stati corrisposti solo per consentire alla concessionaria di raggiungere l’equilibrio economico-finanziario nello svolgimento delle opere; tale ricostruzione, peraltro, trovava conforto nel comportamento tenuto dalle parti successivamente alla stipula del contratto di concessione, in particolare nel fatto che la concedente aveva rifiutato la fattura emessa prudenzialmente dalla società con addebito dell’Iva, dimostrando, in tal modo, che la erogazione era effettuata a fondo perduto;

il motivo è infondato;

va precisato che, secondo la Corte di giustizia (C-94/19, 11 marzo 2020), nell’ambito del sistema dell’Iva le operazioni imponibili presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore. Così, quando l’attività di un prestatore consista nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette all’IVA (sentenza del 22 giugno 2016, Cesky rozhlas, C-11/15, punto 20 e giurisprudenza ivi citata);

ne risulta che una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva, e configura pertanto un’operazione imponibile soltanto quando tra il prestatore e il beneficiario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto (v., in tal senso, sentenze del 22 giugno 2016, Cesky rozhlas, C-11/15, punti 21 e 22 nonchè giurisprudenza ivi citata; del 22 novembre 2018, MEO – Servicos de Comunicacoes e Multimedia, C-295/17, punto 39, nonchè del 3 luglio 2019, UniCredit Leasing, C-242/18, punto 69);

più in particolare, la Corte di Giustizia ha precisato che, al fine della verifica di un rapporto di connessione tra un servizio realizzato ed il corrispettivo ricevuto, sussiste un nesso diretto quando due prestazioni si condizionano reciprocamente (v., in tal senso, sentenze del 3 marzo 1994, Tolsma, C-16/93, punti da 13 a 20, e del 16 ottobre 1997, Fillibeck, C-258/95, punti da 15 a 17), vale a dire che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa (v., in tal senso, sentenze del 23 novembre 1988, Naturally Yours Cosmetics, 230/87, punto 14, e del 2 giugno 1994, Empire Stores, C-33/93, punto 16);

va quindi osservato che, nel caso di specie, il giudice del gravame ha accertato, tenuto conto del complesso delle previsioni contrattuali in esame, che gli importi erogati dalla concedente non costituivano meri contributi (in quanto tali del tutto estranei al rapporto contrattuale stipulato tra le parti), ma il corrispettivo versato in favore della concessionaria in conseguenza della prestazione di servizi che la società si era obbligata a realizzare;

non rilevano, sotto tale profilo, le considerazioni espresse dalla ricorrente in ordine alla violazione delle regole di interpretazione del contratto esposte sotto il duplice profilo: a) della specifica previsione contrattuale di cui agli artt. 4 e 5 del contratto di concessione; b) del comportamento tenuto dalle parti dopo la stipula del contratto;

con riferimento al primo profilo, correttamente parte ricorrente evidenzia che la riconduzione dell’erogazione degli importi versati dalla concedente in favore della concessionaria nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1, esige di limitare l’operatività della norma ai soli casi in cui la prestazione di servizi si inquadra in un rapporto obbligatorio, sicchè la corresponsione di somme che non traggano fondamento giustificativo su di uno specifico rapporto ad effetti obbligatori rappresenta un’operazione priva di rilevanza ai fini Iva;

va anche detto, tuttavia, che proprio al fine di procedere alla individuazione della funzione della corresponsione degli importi, anche alla luce della pronuncia della Corte di giustizia cui si è fatto riferimento, occorre indagare quale sia il concreto assetto di interessi ricavabile dal contenuto del regolamento negoziale stipulato tra le parti, in modo da accertare la sussistenza di un reciproco condizionamento tra le prestazioni;

con riferimento al caso di specie, va evidenziato che con il contratto di concessione (interamente riprodotto dalla ricorrente nel ricorso) la società si era obbligata alla progettazione ed esecuzione della struttura polifunzionale nonchè di tutte le infrastrutture necessarie e alla realizzazione delle dotazioni necessarie (arredi e attrezzature), con conseguente diritto alla gestione delle strutture e relativi spazi commerciali ed infrastrutture per l’intero periodo di durata della concessione (art. 2) e che la concessione aveva durata di trenta anni (art. 3);

nel successivo art. 4) era previsto che: “Il concedente, e per esso il S.I.I.T. Servizi Integrati Infrastrutture e Trasporti – settore Infrastrutture, riconosce al concessionario, al fine di assicurare allo stesso il perseguimento dell’equilibrio economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione, in relazione alla qualità del servizio da prestare, avuto riguardo alla natura predeterminata dei corrispettivi di concessione di cui all’art. 15 della presente convenzione: a) un “Prezzo” predeterminato, fisso ed immodificabile di Euro 4.660.000,00 (Euro quattromilaseicentosessantamila) oltre Iva di legge se dovuta (…); b) un corrispettivo annuo di Euro 330.000,00 (diconsi trecentotrentamila Euro), oltre all’Iva di legge se dovuta, per tutta la durata della concessione;

nell’art. 8), inoltre, era specificato che la regolarità del pagamento del predetto importo rappresenta “espressa condizione di equilibrio economico della concessione, come attestato dal Piano Economico Finanziario”;

infine, nell’art. 15), era specificato che il concessionario per l’erogazione del servizio in favore degli utenti, nonchè per la copertura degli oneri per la realizzazione delle strutture polifunzionali ed ammortamento dei relativi impianti ed attrezzature, “applicherà le tariffe previste nel Piano Economico Tariffario”;

in sostanza, nell’ambito del regolamento pattizio desumibile dal contenuto delle previsioni contrattuali indicate, era stata espressamente presa in considerazione la circostanza che l’erogazione del servizio in favore degli utenti dovesse sottostare all’applicazione delle tariffe previste nel Piano Economico Tariffario; proprio in considerazione di tale obbligo, correlativamente, si era ritenuto di dovere riconoscere in favore della concessionaria, al fine di assicurare alla stessa il perseguimento dell’equilibrio economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione, in relazione alla qualità del servizio da prestare, l’erogazione degli importi indicati nell’art. 4) del contratto;

sotto tale profilo, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, l’erogazione dei corrispettivi, proprio in relazione alle specifiche previsioni contrattuali, costituiva parte del complessivo assetto di interessi derivanti dalla stipula del contratto di concessione, avendo la finalità di consentire alla concessionaria di potere adempiere agli obblighi contrattuali in ragione della predeterminazione delle tariffe che la stessa era tenuta ad applicare in favore dell’utenza;

la rilevanza dell’erogazione del corrispettivo, ai fini della complessiva individuazione dell’assetto di interessi conseguenti alla stipula del contratto di concessione, è, del resto, sottolineata dalla stessa previsione dell’art. 8) del contratto, ove era chiaramente precisato, come visto, che la regolarità del pagamento del predetto importo rappresenta “espressa condizione di equilibrio economico della concessione, come attestato dal Piano Economico Finanziario”, riconducendosi, in tal modo espressamente, il suddetto corrispettivo, ad uno stretto rapporto di connessione con le prestazioni di servizi svolte dalla società, in linea con quanto richiesto dalla Corte di giustizia, secondo quando segnalato, cioè che è pur sempre necessario verificare, ai fini della sussistenza di un rapporto di connessione tra un servizio realizzato ed il corrispettivo, il fatto “che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra”;

nè rileva la ritenuta violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, in relazione al comportamento complessivo tenuto dalle parti, in particolare alla circostanza che la concedente aveva rifiutato la fattura emessa prudenzialmente dalla società con addebito dell’Iva, dimostrando, in tal modo, che la erogazione era effettuata a fondo perduto;

invero, il criterio interpretativo di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, dunque il riferimento al comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipula del contratto, non tende a completare la portata e la rilevanza giuridica della dichiarazione negoziale, ma solo a chiarire l’interpretazione del contenuto del contratto, cioè il contenuto delle reciproche prestazioni ed il complessivo assetto di interessi che le parti hanno voluto realizzare; il suddetto criterio interpretativo, dunque, non può valere al fine di verificare se una determinata prestazione sia o meno imponibile ai fini Iva, trattandosi di questione che attiene, invero, alla corretta applicazione della disciplina di riferimento non sottoponibile alla volontà delle parti;

del resto, proprio con riferimento a tale profilo, le parti avevano previsto che il “prezzo” predeterminato, fisso ed immodificabile di Euro 4.660.000,00 doveva essere corrisposto “oltre Iva di legge se dovuta”, sicchè già in sede di espressa regolamentazione pattizia si era prospettata la possibilità che il suddetto importo dovesse essere sottoposto ad Iva;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non avere pronunciato sulla questione della illegittimità dell’avviso di accertamento nella parte in cui aveva disconosciuto la natura di rimborso spese delle somme anticipate dalla società in nome e per conto di soggetti terzi, relative, in particolare: a) alle spese sostenute per l’acquisizione di una consulenza per il frazionamento catastale del terreno oggetto del contratto di concessione; nonchè: b) al rimborso degli interessi di preammortamento, derivanti dal contratto di mutuo stipulato dalla società per la costruzione del complesso polifunzionale, in parte posti a carico della società affittuaria del ramo di azienda finalizzato allo svolgimento dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande;

il motivo è fondato, nei limiti che si precisano;

si evince dal ricorso che parte ricorrente aveva censurato in appello la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto legittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria relativa alla emissione di fatture per costi addebitati alla concedente senza applicazione dell’Iva, relativi, in particolare, alla acquisizione di una consulenza per il frazionamento catastale del terreno oggetto del contratto di concessione, anticipati dalla società in nome e per conto della concedente, nonchè agli interessi di preammortamento corrisposti dalla società in nome e per conto della società Unigest s.r.l. alla quale era stato dato in affitto il ramo di azienda finalizzato allo svolgimento del servizio mensa;

dallo stesso ricorso, tuttavia, si evince che “con riferimento alla fattura n. 4 dell’8 ottobre 2007 rubricata “Rimb. Spese per consulenza”, va ribadito che, diversamente da quanto sostenuto dai primi giudici, la stessa ha ad oggetto costi (pari a Euro 1.883,829 sostenuti dalla società in nome e per conto dell’Università degli Studi di Pavia, come tali correttamente addebitati dalla prima alla seconda senza l’applicazione dell’Iva (…)”;

sotto tale profilo, parte ricorrente ha assolto all’onere di specificità del motivo, evidenziando che la questione non solo era stata prospettata al giudice del gravame ma anche che aveva costituito oggetto di controversia nell’ambito del giudizio di primo grado;

rispetto a tali ragioni di doglianza della pronuncia del giudice di primo grado la sentenza censurata non si è pronunciata, con conseguente violazione dell’art. 112, c.p.c.;

diversa considerazione deve essere compiuta con riferimento alle fatture n. 6 del 5 dicembre 2007 e n. 7 del 31 dicembre 2007, relative agli interessi di preammortamento corrisposti dalla società in nome e per conto della società Unigest s.r.l. alla quale era stato dato in affitto il ramo di azienda finalizzato allo svolgimento del servizio mensa;

seppure la questione risulta prospettata al giudice del gravame, parte ricorrente non ha assolto all’onere di specificità del motivo, non risultando in alcun modo che la questione fosse stata proposta dinanzi al giudice di primo grado;

va precisato, sul punto, che questa Corte (Cass. civ., 25 settembre 2019, n. 23834) ha più volte affermato che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, onde presume che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, così da consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale;

più in particolare, con specifico riferimento ai casi di denunzia del vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112, c.p.c., è statcl, reiteratamente affermata la necessità, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto dei loro contenuto, nel ricorso per cassazione;

analogamente, laddove l’error in procedendo denunciato inerisca alla falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l’autosufficienza del ricorso per cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d’appello con cui le censure sono state formulate (Cass. civ., 8 giugno 2016, n. 11738);

sotto tale profilo, questo ulteriore profilo di censura è inammissibile; con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non essersi pronunciata sulla applicabilità al caso di specie della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2;

il motivo è inammissibile;

anche in questo caso, parte ricorrente si è limitata ad esporre di avere prospettato in appello la doglianza relativa alla applicabilità, al caso di specie, della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2;

tuttavia, parte ricorrente non ha assolto all’onere di autosufficienza del motivo, cui lo stesso è tenuto in considerazione dei principi esposti in sede di esame del secondo motivo di ricorso, non avendo in alcun modo riprodotto o allegato il contenuto del ricorso originario da cui evincere che la questione era stata prospettata anche dinanzi al giudice di primo grado;

in conclusione, è fondato il secondo motivo, nei limiti precisati, è infondato il primo e inammissibile il terzo, con conseguente cassazione della sentenza per il motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo, nei limiti di cui in motivazione, infondato il primo e inammissibile il terzo, cassa la sentenza censurata per il motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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